U4-06: Stella cadente

Creato Lunedì, 22 Ottobre 2012 00:20
Visite: 1788

"DUE BIRRE" di Cichetto

Una volta perso il controllo di una moto probabilmente si sbanda, è difficile poi non subire conseguenze fisiche. Infatti non riusciva più a muoversi. Uno strano torpore lo aveva avvolto, se non sapesse di essere conciato così male, poteva anche dire di sentirsi bene, nessun dolore, che strano! C'era anche altro che aveva già identificato. Quella strana sensazione alla gamba era probabilmente dovuta al sangue che se ne andava via; via da lui per sempre, per rifugiarsi tra l'erba alta di quel campo.

La notte era appena iniziata.
In quella strada molto poco trafficata non sarebbe passato nessuno fino al mattino successivo per vederlo e soccorrerlo, non poteva resistere così a lungo. 
Con il passare dei minuti, i momenti di lucidità si alternavano a pensieri sconclusionati, accettabili in una chiacchiera fra amici al bar ma non ora. Il freddo e soprattutto il vino ancora in circolo annebbiavano maggiormente i suoi pensieri, sempre meno limpidi.


_Sì è finita, il cuore si fermerà tra poco. È la notte di San Lorenzo, la notte delle stelle cadenti, un nome nel destino il mio. Sto per morire nella notte di San Lorenzo, lungo su un prato con lo sguardo in aria, proprio io che mi chiamo... Marco. Si capisce anche da qui che non è la mia serata, mi chiamassi Lorenzo farei una fine degna e invece..._

La stelle cadenti.
Un fenomeno al quale aveva dato sempre poca importanza. Anche da bambino quando sarebbero dovute andare per la maggiore, lui le aveva bistrattate ogni estate. Adesso, lì, era l'unica compagnia che potesse avere. Pronto a domandarle parecchie cose se ne avesse vista una. Sai com'è... il desiderio.

A essere sincero non sapeva neanche cosa le avrebbe chiesto. Forse di portarlo via da lì, era un freddo cane, si gelava; oppure di metterlo sotto, come un insetto fermo sulle strisce pedonali; più probabilmente solo di scaldarlo. Avvolgerlo nel tepore fino a fargli chiudere gli occhi con dolcezza, come faceva da bambino quando lo abbracciava la mamma. Ma qualsiasi cosa andava bene se avesse fatto migliorare quella situazione.

_Te la ricordi la strada per Il Quadrato? VENTIQUATTRO! Sì esatto, ventiquattro tornanti, contati. Talmente ubriaco che era impensabile farli tutti, così vado fuori al primo. Di sicuro ho guadagnato tempo. Beh è denaro anche quello. Ahah_

Sbuffava per riprendere fiato – ora lucido - guardando un insetto che camminava davanti al suo naso. Il respiro si era fatto difficoltoso e innaturale, doveva sforzarsi di mandar dentro aria. Con il corpo immobile forse per una frattura alla colonna vertebrale, riusciva soltanto a muovere la testa. Girando e rigirando il capo notò non distante da lui, un riflesso. Socchiuse le palpebre per focalizzare meglio... Cos'era? Capì e gli occhi ripresero vita, lì a pochi metri da lui c'era il cellulare, la salvezza.

_Pancia all'aria a guardar la stella cadente, il cavalier disarcionato mente. Bello eh? Potrebbe essere il titolo per il libro della mia fine, un libro di due pagine, copertina compresa. E poi mente su cosa? Dovrei trovare un'altra parola al posto di mente. 

Si Pente? Sarebbe da approfondire.
Indipendente? Fa rima ma che vuol dire. 
Forse la parola giusta è crepa, almeno è coerente.
E sti cazzi se la rima è latente.
_

La moto era li da qualche parte ma non riusciva a vederla. Ora il suo unico obiettivo era il cellulare e come fare per raggiungerlo. La stanchezza vinse, Marco chiuse gli occhi con il viso tra i fili d'erba. Nell'ultimo sprazzo di lucidità capì che stava per cedere, sperava solo che fosse sonno o un mancamento, e poter rinsavire più tardi.

Non lo sapeva Marco, ma si stava perdendo uno spettacolo unico. Quando passava una stella cadente il cielo si accendeva per un attimo, un bagliore in quel modo avrebbe fatto passare un brivido a chiunque. Nella buia campagna senza le luci cittadine ad offuscare la vista le stelle erano tantissime, milioni, ed il passaggio veloce di una era una delizia che almeno una volta nella vita andava visto. Ma non dal terrazzo del quinto piano, andava visto così, nel buio completo, con i grilli intorno che facevano da colonna sonora.

Il senno ritornò in lui più tardi, con gli occhi ancora chiusi se ne rallegrava e ringraziava sentitamente, non si sa chi. 

Il telefono!
Immediatamente provò a voltarsi verso l'amato congegno e fece meglio di prima, ora poteva anche muovere una gamba. Debolmente, lentamente, supino, raccoglieva il più possibile la gamba a sé e poi la stendeva per muoversi all'indietro di qualche centimetro, in direzione del telefono. Altro non riusciva a fare: L'altra gamba era immobile, probabilmente sanguinava meno di prima o forse aveva smesso. Le braccia duramente colpite nella caduta non si muovevano se non con grandissimo sforzo, di girarsi non se ne parlava.

Una stella si accese proprio sopra di lui, e poi un'altra e un'altra ancora. Tre consecutive, di una luminosità incredibile.

_Che spettacolo_ pensò.

Fu colpito in così grande maniera che per la prima volta in vita sua si chiese perché finora non le aveva mai viste così. Erano meravigliose. Come aveva potuto ignorare una delizia del genere? Cosa aveva fatto durante tutti i giorni della sua vita?

Continuava a spingere sulla gamba, pochi centimetri alla volta, con certezza. Il movimento però era diventato quasi meccanico, la sua attenzione era rivolta alle stelle con la mente in pieno sconvolgimento.

Era valsa la pena vivere in quel modo? Per finire poi in quel modo... solo. Come quasi tutte le sere, solo come un cane. Aveva avuto degli amici sì, ma lui non li aveva curati il necessario e prima o poi se ne erano andati tutti. Tranne Andrea, lui era rimasto sempre al suo fianco. Sincero ed amico vero era stato ripagato con ben altra moneta. Marco gliene aveva combinate di cotte e di crude, spesso a sua insaputa.

Il suo “essere una brava persona” era stato molto approssimativo: quelle che per lui potevano essere state piccolezze, erano delle vere e proprie bastardate viste obiettivamente. Arrivista, e sfruttatore.

La gamba continuava a fare il suo lavoro, spinta dopo spinta il telefono era vicino, la mente sempre più lontana. Le stelle sarebbero cadute per tutta la notte e ogni passaggio lo metteva più a nudo nell'anima. Sembrava che la sua corazza interiore si assottigliasse ad ogni bagliore. Avere paura di rimanere nudo rafforzava in lui la certezza del suo esser stato meschino.

_Sai Andrea, quante te ne ho fatte? Sul lavoro, con le donne... TI ho tradito parecchie volte, non so bene perché, forse invidia. Pensavo che fossero cose di poco conto e che tu anche se lo avessi scoperto ci saresti passato sopra. Forse lo avresti fatto pure ma non significa, non è questo che si fa. Neanche con chi non conosci, figurarsi tra amici_

Fece una pausa con la gamba, non riusciva più a tenere il ritmo dei primi “passi”. La sua forte fibra era messa duramente alla prova questa volta. Approfittava allora di questi momenti per guardare meglio il cielo, immenso, nero. Anche senza stelle cadenti era bellissimo, sconfinato. Non se ne accorse, ma i momenti di meditazione erano diventati molto più lunghi dei momenti di spinta.

Il cavalier disarcionato alla fine si pente sul serio, chi l'avrebbe mai detto?

Altre due stelle... gli sembrarono dei fuochi artificiali, fantastico.

_Che poi alla fine, dei momenti sinceri insieme li abbiamo passati, la prima vacanza insieme te la ricordi? In Puglia. Quattro bei giorni. Che stupido sono stato, ora mi preme solo chiederti scusa, scusami tanto, sono stato un pessimo amico. Ha poco senso farlo dopo tanto tempo lo so, ha zero senso farlo lontano da te, parlando da solo su questo prato._

Il cellulare, la salvezza era lì. Con la testa era arrivato a toccarlo. Avanzò ancora qualche centimetro e arrivò a metterci sopra il naso. Sfinito, mise tutte le energie per muovere un braccio e finalmente riuscì a prendere il telefono.

Nonostante, non riusciva a gioirne.
Stava per tornare alla vita sì, ma alla solita, quella di sempre, e proprio questo lo rendeva perplesso.

Una vita fatta di lavoro al giorno e televisione la sera, senza una famiglia, senza uno straccio di persona da poter chiamare. Con i conoscenti si vantava di non aver mai preso moglie perché almeno si era risparmiato il tempo di doverla tradire. Ora rideva amaramente di quella sua stupidità.

Telefono in mano con lo sportellino aperto, pronto alla chiamata. Un attimo per rifiatare.

_Quanto sarebbe bello ora stare tutti e due qui sdraiati a parlare e a farci due risate... senza silenzi imbarazzanti. Mi piacerebbe poterti scrivere queste parole, che tu le possa leggere. Mi piacerebbe che tu potessi sentire questi miei pensieri. Mi piacerebbe poterti parlare, chiarire e poter ricominciare a stare bene insieme, a sapere di avere un amico sul quale poter contare sempre.

Ma tu non ci sei più da tanti anni._

Ultima stella.
Una coccinella se ne stava silenziosa lì vicino. Camminava su un ramoscello secco quando venne scaraventata via da quell'enorme massa nera che le era caduta accanto: il telefono che la mano aveva lasciato cadere. Sempre pronto per quella chiamata d'emergenza che non farà mai.

_Ora - se va come dicono in tanti – le scuse te le vengo a fare di persona.
Apri due birre
_