"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)
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[#4] Il popolo della notte (racconti)
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ARGOMENTO: [#4] Il popolo della notte (racconti)

[#4] Il popolo della notte (racconti) 01/04/2014 00:05 #11411

"La notte è più bello, si vive meglio,
per chi fino alle 5 non conosce sbadiglio,
e la città riprende fiato e sembra che dorma,
e il buio la trasforma e le cambia forma..."
Gente della Notte - Jovanotti



Il popolo della notte è il tema della quarta tornata di UniVersi, c'è tempo fino al 15 maggio compreso per postare il proprio racconto in gara.


REGOLE
- Il limite massimo di battute consentito per questa tornata è 12000 (spazi compresi, titolo escluso). Potete controllare il numero esatto di battute dei vostri racconti su questo sito gratuito; utilizzate Firefox dato che con altri browser il conteggio non risulterà esatto.
- I racconti devono avere un proprio titolo e devono essere postati in forma anonima, effettuando il login con nome utente Titivillus e password universi.
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RACCONTI IN GARA

- Notte prima dei rottami (10859)
- Il club (10938)
- The dark side of sun (7128)
- Disinfestazione (2457)
- Me ne vado di casa (7374)
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Ultima modifica: 16/05/2014 09:06 Da gensi.
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Re: [#4] Il popolo della notte (racconti) 15/05/2014 14:01 #11622

Notte prima dei rottami

Marco, classe 1964, nato a Lodi, un'adolescenza passata principalmente a Milano durante il periodo scolastico. Poi qualche lavoretto saltuario fino all'apertura della partita IVA ed alla decisione di diventare agente di commercio.
Un amico del padre, infatti, era appena diventato direttore commerciale di una società piuttosto importante ed affermata del settore dei prodotti abrasivi per metalli preziosi ed aveva bisogno di forze giovani per macinare chilometri e portare i propri prodotti quanto più lontano possibile sul territorio italiano.
Qualche anno dopo, quando il lavoro girava, incontrò Carolina, neo assunta negli uffici commerciali.
Le litigate e le incomprensioni furono molte i primi tempi al punto che Marco domandò ripetutamente al direttore amico del padre di non far più seguire i propri clienti da quella che definì "pazza psicopatica".
Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che poco meno di dieci anni dopo, proprio Marco e Carolina, si sarebbero sposati. Lei aveva già cambiato lavoro da qualche anno mentre lui era rimasto in quella società che nel frattempo era stata comprata da una multinazionale tedesca.
Nonostante l'età piuttosto avanzata per gli standard di quelli della sua classe, erano arrivate anche due bambine.
Quando quest'ultime avevano rispettivamente 8 e 5 anni gli venne proposto di diventare Area Manager.
Marco accettò di buon grado.
Quel matrimonio e quelle figlie erano venute più per dovere sociale che per vero desiderio. Carolina l'era parsa come l'ultimo treno utile della vita ed era per questo che aveva fatto di tutto per evitare di farsela sfuggire. D'altronde consumarono la prima volta dopo una pesante ubriacatura d'entrambi e la stessa dichiarazione di matrimonio avvenne nell'antibagno della multinazionale tedesca e la risposta affermativa di lei fu, probabilmente, per le stesse motivazioni di lui. Era l'ultimo treno visto che Carolina ci teneva a diventare madre e la sua età, che tendeva più ai quaranta che ai trenta, aveva giocato un ruolo fondamentale nella decisione affrettata.
Marco passava così le proprie notti chiuso al cesso, unico luogo della casa rimasto a lui riservato. Si piazzava con il portatile che nel corso degli anni era diventato poi un Iphone ed infine un tablet e si ritagliava il suo tempo. Da quando era diventato Area Manager però, era riuscito ad averne molto di più. Doveva stare fuori settimane intere, fare molto presto al mattino ed alla fine, quel rapporto frutto più degli anni passati che d'un vero amore, aveva trovato anche un giusto equilibrio. A Marco non importava di avere altre storie o chissà cosa. Già avere una moglie così rompicoglioni e due figlie voleva dire avere più d'un problema. Inutile scervellarsi per cercarne altri. Semplicemente, questa nuova carriera che calzava a pennello con la necessità di guadagnare quanto più possibile per pagare il mutuo-macigno, era arrivata al momento giusto.
Da frustrato della notte Marco s'era trasformato in Manager con la voglia di scappare da tutto e da tutti.


Fabio, classe 1980, era nato e vissuto a Pieve Emanuele. Dopo le scuole dell'obbligo aveva deciso di lavorare con il padre nella sua carrozzeria non distante da casa. Quando si è giovani e si ha qualche soldo in tasca è facile ficcarsi in guai più grandi. Lui ne aveva avuto più d’uno con la droga. S’era messo a fumare e poi ad incipriarsi il naso e, per fortuna, era riuscito almeno fino a quel momento ad evitare di fumare l’eroina come stavano facendo altri della sua compagnia. Ma qualcosa cambiò in lui quando una sua cara amica, Lucia, morì di overdose. Nonostante non avesse più avuto molti rapporti con lei negli ultimi anni, il senso di colpa del non aver fatto nulla lo attanagliò al punto che decise di adoperarsi nel fare qualcosa di concreto per sdebitarsi col mondo.
Cominciò così a fare il volontario della Croce Verde sulle ambulanze. Diede la sua disponibilità principalmente per la sera e per la notte.
Quando capitava il sabato notte non passava ora che bisognasse intervenire proprio per aiutare ragazze e ragazzi in tutto e per tutto simili alla sua rimpianta amica Lucia.
Gente che si ubriacava, si faceva di acido e, nella migliore delle ipotesi, si lanciava in risse furiose che portavano solo ferite o leggere escoriazioni. Peggio erano gli incidenti in macchina per non parlare poi delle ragazze in preda all'ittero che necessitavano di donazioni urgenti per scongiurare il peggio. Per quanto lui provasse a spiegare ad ognuno di loro quanto era capitato a Lucia, si rendeva conto che nella vita ci vuole comunque molta fortuna. Perché le cazzate le facciamo tutti e, talvolta, il confine che separa la cazzata da un dramma è così sottile e così aleatorio che è praticamente impossibile da definire e far comprendere veramente. Nonostante tutto ciò non colmasse appieno il vuoto che lo aveva investito dopo quell'episodio, Fabio si riteneva comunque soddisfatto delle nuove conoscenze fatte e dell'ambiente amichevole che lo circondava. Perciò, anche se le notti erano pesanti, non disdegnava di farle.


Enrico, classe 1969, aveva un sogno nel cassetto. I bambini sono strani. Perché quando si è piccoli si sogna di fare tanti lavori più o meno banali come l'attore, il calciatore, ecc...
Beh, Enrico no. Lui era rimasto completamente affascinato dall'omino che la notte restava aggrappato al camion che raccoglieva l'immondizia.
Sì, proprio quello che scende, attacca il cassonetto al camion, lo stacca e poi rimonta sulla pedana e sfreccia fino alla fermata successiva.
Enrico non voleva guidare il camion. A lui interessava fare il secondo, quello che rimaneva appeso dietro perché provava una vera e propria ammirazione per quel tizio con la tuta verde che viaggiava appeso.
Nonostante gli sforzi dei genitori nel convincerlo a fare l'Università lui, preso il diploma, fece l'impossibile per svolgere quanti più concorsi possibili ed entrare finalmente proprio nella municipalizzata del suo comune, l'AMSA di Milano.
Nel frattempo il lavoro era un po' cambiato perché l'omino attaccato ai camion non esisteva praticamente più ma lui si riteneva comunque soddisfatto. Nel corso degli anni aveva cominciato ad apprezzare sempre di più quel mestiere, aveva preso le patenti necessarie e provava sincera soddisfazione nel lavorare di notte, con il suo camion, a svuotare cassonetti di vari colori. La cosa che più lo entusiasmava era quella di godersi la città nei momenti migliori, quasi nel pieno della notte, quando pochi potevano permettersi questo lusso. Certo, guidare un camion e parcheggiarsi con telecamere ed aggeggi vari proprio di fianco al cassonetto non era come sognava da bambino. Aveva dovuto accantonare il sogno di sfrecciare con i capelli al vento attaccato al palo ma era sicuramente meglio che far la fine del padre, avvocato, a logorarsi l’anima per il traffico e gli impegni sempre più opprimenti.


Era notte per tutti e tre: la notte dell’area manager, la notte del volontario e la notte dell’operatore ecologico.
Proprio quella notte divenne il momento in cui i destini di Marco, Fabio ed Enrico si sarebbero incrociati.
Marco sarebbe dovuto andare a Pescara per una fiera di settore. Non era riuscito a partire il giorno prima in virtù di un altro appuntamento. Era così rimasto sveglio l'intera giornata, era passato di casa per cena ed aveva deciso di ripartire intorno all'una di notte, così da essere lì per le sei del mattino a verificare che l'allestimento dello stand fosse adeguato. Ma soprattutto per evitarsi la moglie, alterata per non si era capito bene cosa e pronta a vomitare l’anima contro la suocera per l’intero arco della cena.
Difficile dare la colpa ad una sola causa ma Marco, probabilmente distratto dal tablet sul sedile del passeggero che continuava a suonare per i messaggi furiosi della moglie su Whatapps ancora in preda alla collera e, molto più probabilmente non proprio lucido per la stanchezza accumulata, non s'accorse del camion dell'immondizia proprio sulla sua corsia finendo per sbatterci dentro senza neanche tentare la frenata. Per fortuna la velocità di crociera cittadina non era elevata e non riportò danni.
Enrico era appena risalito e stava ripartendo quando sentì il rumore di lamiere. Vide nello specchietto quella macchina infilatasi sotto il suo camion e faticò a capire come poteva essere successo. Ovviamente la prassi imponeva d'avvisare in centrale, chiamare i soccorsi ed attendere che l'ambulanza portasse via l’incidentato prima di continuare la serata di lavoro.
Così fece anche perché, nonostante l'incidente di Marco non fosse grave, lui sembrava piuttosto sotto-shock e non aveva avuto reazioni di alcun tipo dopo lo scontro. Era rimasto più o meno paralizzato con le mani come se tenesse ancora il volante ma senza proferire parola.
Per fortuna respirava e quindi doveva trattarsi solo d’un momento di shock mentale.
Quando arrivò la chiamata in Croce all'ambulanza, Fabio era più che convinto di trovarsi di fronte all’incidente di qualche giovane alcolizzato o drogato.
Quando arrivò sul posto s'accorse che non era così. Anzi, il ferito era un adulto, d’un certo tono e non puzzava d’alcool ne sembrava sotto effetto di stupefacenti.
“Com’era possibile non vedere un camion dell’immondizia sulla propria strada?” continuò a domandarsi tra se e se...
Ma capitava anche questo nella notte di una città come Milano.

Un frustrato distratto s'era salvato e, solo per miracolo, non aveva ucciso un testardo sognatore.
Il tutto utile solo per far ricredere delle proprie convinzioni stereotipate, il perbenista vigliacco.

Marco vista la reazione della moglie che corse nel pieno della notte, visibilmente spaventata e preoccupata al pronto soccorso, comprese che la sua vita non era così sbagliata. Anzi, lui si sentiva frustrato ma nonostante le rotture di coglioni era bello sapere d'essere comunque importante per qualcuno. Fosse anche solo perché eri il bancomat dal quale prelevare i soldi del mutuo; Enrico ringraziò il cielo d’aver realizzato solo parte del suo sogno. Se quell'incidente fosse capitato solo qualche anno prima quando sognava di fare le scorribande appeso al palo, sarebbe molto probabilmente morto schiacciato dal distratto guidatore; Fabio si consolò: capii che non ci vuole solo fortuna in adolescenza ma anche nel resto della vita. Quel confine sottile ed aleatorio che separa la vita dalla morte non era un rischio solo per i giovani sbandati e questo ne consolò in parte l’animo: Lucia sarebbe morta lo stesso e nessuno poteva davvero sentirsi in colpa per l'imponderabile che non è mai completamente prevedibile. Dopo quell’incidente riuscì a colmare il vuoto. Ora, per lui, fare il volontario, non era più l’atto di egoismo di qualcuno che deve dimostrare qualcosa ma il semplice desiderio di rendere meno opprimente la notte al popolo degli sbandati, dei distratti e degli sfortunati di turno.
Fragmina verborum titivillus colligit horum
Quibus die mille vicibus se sarcinat ille.
Ultima modifica: 15/05/2014 14:10 Da Titivillus.
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Re: [#4] Il popolo della notte (racconti) 15/05/2014 15:41 #11624

Il club

Lisa arrivò sul palco direttamente dalle quinte, con un movimento sinuoso e repentino. Dagli spettatori si alzò un soffuso gemito di sorpresa, immediatamente rafforzato da una eccitazione del tutto palpabile. Lisa sapeva di avere in pugno tutti gli astanti, di dominarli completamente, non solo con il suo splendido corpo, così slanciato eppure incredibilmente procace, ma soprattutto con il suo carisma animale. Da quando era diventata la Regina dei Giochi, il Club aveva registrato un'impennata delle iscrizioni e delle donazioni, anche solo per vederla in azione. Alla fine tutti avevano cominciato a partecipare: Lisa era straordinariamente brava a comprendere quali fossero i desideri di ognuno, i desideri più occulti, e a metterli in atto.
Lisa continuò a muoversi, vestita con una tuta aderente che pur comprendo integralmente il suo corpo non faceva altro che metterlo in mostra ancor più che se fosse stata coperta, il viso truccato sapientemente, degno di una dominatrice, di una predatrice. Si avvicinò in cerchi sempre più stretti alla sedia che troneggiava sul palco, sulla quale era legato il protagonista della serata, il dottor Ermanno Ghezzoni, manager d'impresa, uno dei principali sovvenzionatori del Club. L'uomo era vestito elegantemente, con un completo tre pezzi tipico della sua professione, una cravatta di Armani al collo che risaltava come un faro sul palco. Lisa cominciò a carezzare l'uomo con mani veloci ed esperte, morbide come il velluto, crudeli come una lama. L'eccitazione nella sala aumentò ancora e alcuni degli spettatori cominciarono a muoversi, allungando le mani o le gambe verso il vicino o la vicina, senza però perdersi lo spettacolo. Lisa salì in braccio all'uomo, seduto con le braccia dietro alla schiena, fronte al pubblico. Cominciò a sfregare i seni sul volto di Ghezzoni, con movimenti lenti e sinuosi, poi si girò di scatto, rimanendo in equilibrio col sedere sulle cosce del suo partner, allargando le proprie gambe. Fu allora che tutti si avvidero che la tuta della donna non era del tutto completa: una fessura si apriva in perfetta corrispondenza della vagina, fessura dalla quale la Regina estrasse una chiave, quella delle manette che costringevano il suo compagno alla sedia. Questi cominciò a sudare copiosamente e quando Lisa si alzò, tutti si resero conto dell'erezione evidente che gonfiava i pantaloni dell'uomo in corrispondenza dell'inguine.
Lisa girò alle spalle di Ghezzoni, e nel liberargli le mani, per un attimo, un'immagine passò davanti ai suoi fiammeggianti occhi blu ghiaccio, l'immagine di un tavolo basso in una stanza spoglia, loro due seduti uno di qua l'altra di là dal tavolo, una coda di persone in attesa, gli occhi dell'uomo freddi e arroganti, uomo da “Lei non sa chi sono Io”. Lisa sorrise tra se: Ghezzoni non aveva mai sospettato nulla e mai l'avrebbe fatto, così egocentrico e pieno di se.
Lo spettacolo continuò con la Regina che cominciò a spogliare la preda, sempre lentamente, ma con decisione, fino a quando il suo partner non fu completamente nudo. Fu allora che lei si coricò a terra e che il Ghezzoni, un cinquantenne dal giro vita un po' troppo ampio e dai muscoli flaccidi, entrò frettolosamente dentro di lei, temendo che tutto il vi agra che aveva ingerito poco prima non gli permettesse di portare a termine il suo desiderio. In quel momento accaddero molte cose nella sala: gli astanti cominciarono a spogliarsi e a toccarsi con maggiore frenesia e molti salirono sul palco andando a aggiungersi alla coppia che già vi stava copulando, dando il via a un'orgia frenetica, accompagnata da una musica piena di adrenalina e ben ritmata. E dalle quinte uscì la signora Ghezzoni, nuda e con un prodigioso strap-on agganciato alla vita e all'inguine: quella era la fantasia del marito, essere scopato da sua moglie mentre si scopava un'altra donna.
Lisa provava piacere nonostante il pene del suo compagno non fosse certo granché, né per quanto riguardava le dimensioni né per rigidità, ma quello che la faceva godere era quell'aria orgiastica, il sapere come le fantasie di molte persone fossero realizzate, su quel palco un venerdì notte al Club.
Gli iscritti a quell'autentico faro del piacere cittadino erano tutti ricchi professionisti, per la maggior parte moglie e marito, scambisti e bisessuali. Vi era anche qualche single, ma solo di comprovata fiducia, per lo più amici o amanti semi ufficiali degli aderenti: non si entrava al Club senza almeno una raccomandazione di chi vi era già iscritto. Mischiati a quei danarosi sostentatori del locale, vi erano prostitute, donne e uomini, scelti e pagati in maniera discreta dal proprietario, un uomo che nessuno conosceva se non per uno strano soprannome, Uncino, anche se in realtà partecipava a ogni orgia e a ogni nottata organizzata al Club.
Lisa aveva cominciato a frequentare quel luogo come prostituta, appunto, ma ben presto Uncino si era reso conto di quanto lei fosse speciale, che era la Regina giusta per organizzare i giochi. Lei era stata con tutti, uomini e donne, e sembrava che scopandoseli, avesse capito quali fossero i loro desideri occulti, senza dover parlare. La fantasia di Lisa era sfrenata, inesauribile, e mischiando quello alla naturale empatia, riusciva a centrare sempre l'obiettivo: far godere il più possibile i ricchi associati, in modo che non si stancassero mai del Club e che continuassero a pagare.
Ghezzoni e la moglie finalmente vennero e lacrime di gioia scesero dalle loro guance. Per un attimo l'uomo guardò Lisa negli occhi e la donna temette che lui potesse riconoscerla, che potesse comprendere dove l'avesse già vista fuori dal Club. In realtà lui voleva solo ammirarla ancora un attimo. “Grazie Regina!” Poi scivolò a lato e si girò verso la propria moglie, una cinquantenne ancora in ottima forma: i coniugi si baciarono appassionatamente, condividendo quell'attimo per loro meraviglioso con intensità assoluta.
Lisa li guardò e sentì una nuova eccitazione crescere dentro di lei. Si liberò dalla sua tuta total body e cominciò ad avvicinarsi a ogni focolaio dell'orgia, dirigendo, partecipando, semplicemente contemplando. Alla fine di quella serata, un venerdì notte come molti al Club, non sapeva nemmeno quanti orgasmi avesse avuto, quante volte qualcuno fosse venuto dentro di lei, nella sua vagina o nel retto: non riusciva più a immaginarlo, un'autentica bomba di piacere finalmente espresso. Alle sei gli ultimi clienti se ne andarono e se ne andò anche lei, non senza passare da Uncino che le diede cinque biglietti da 500€.
“Lisa” il proprietario era l'unico a conoscere la sua vera identità “Non so come farei senza di te! Sei straordinaria, sei davvero una Regina”.
Lei rise in modo squillante e provocante e per un attimo mise la mano sul pube dell'uomo, ormai non più giovane.
“No, ti prego basta! Se provo ancora a farmelo venire duro sicuramente mi scoppia il cuore, lasciamo stare. Vai a casa, che tra poco devi andare al lavoro, no?”
Lisa sorrise e annuì. Sapeva di doversi sbrigare: non poteva fare tardi e il lavoro esterno al Club, per quanto non le facesse guadagnare che una minima parte di quello che prendeva da Uncino, per lei era importante perché le permetteva di realizzare l'altra grande passione della sua vita oltre al sesso.
Andò nel suo camerino e dopo una doccia veloce si vestì, senza però struccare il viso: quel trucco incredibile era la sua maschera, quella che le permetteva di non essere riconosciuta, di non rischiare di essere identificata.
Salì sulla sua bella macchina sportiva e la guidò fino al parcheggio privato dove la teneva durante la settimana, usandola solo di notte per raggiungere il Club oppure di domenica. Scivolò verso casa, passando dalle cantine: era ancora presto, ma già qualcuno dei condomini avrebbe potuto incrociarla, chiedendosi chi potesse essere quella vamp pazzesca che mai avevano visto a una riunione condominiale o per le scale, almeno di giorno.
Per fortuna non incontrò nessuno e salì in casa, precipitandosi in bagno: erano ormai le 6 e 30 e avrebbe dovuto essere pronta ad uscire esattamente un'ora dopo, al più tardi. Si lavò accuratamente, per mandare via l'odore di quella notte di sesso: ogni volta lo faceva con rammarico, avrebbe voluto continuare a sentire l'odore di sperma e di sudore, di secrezioni femminili, di saliva, per sempre, ma sapeva che non era possibile, che non poteva. Nel mentre cominciò a utilizzare un liquido struccante per eliminare quel trucco incredibile che coloriva il suo volto. Chi l'avesse vista in quel momento si sarebbe reso conto di quanto potesse cambiare il suo viso, di come quel volto da dominatrice, dagli zigomi esagerati, gli occhi blu ghiaccio fossero solo un prodotto dell'estetica, di quanto dolce e apparentemente ordinaria apparisse al naturale.
Uscita dal box doccia si guardò nel grande specchio e vide che era tornata l'insignificante trentenne di tutti i giorni, quella a cui nessuno dava una seconda occhiata, almeno per quanto riguardava il volto. Ora doveva nascondere il prorompente corpo, grazie al quale altro che seconde occhiate avrebbe ricevuto! Dopo aver asciugato velocemente i capelli, prese una fascia e cominciò a comprimere il seno il più possibile: era una sofferenza, ma apparire meno procace era un ottimo sistema per scomparire dai radar maschili. Andò in camera e indossò un reggiseno dozzinale e delle mutande bianche ben poco erotiche, una camicetta fuori moda da almeno un lustro, con una gonna grigio topo a metà polpaccio, studiata appositamente affinché nascondesse il più possibile le forme. Per un attimo ripensò a Ghezzoni e a sua moglie e sentì la vagina inumidirsi, ma ricacciò indietro l'eccitazione. Infilò un golfino infeltrito, uno di quei cosi che facevano sì che le sue allieve femmine la chiamassero l'”anticazzo”.
Legò i capelli in una crocchia strettissima e poco attraente e inforcò gli occhiali spessi come fondi di bottiglia. Prima di mettersi il cappotto prese una pastiglia di un qualche eccitante: doveva essere lucida, oggi avrebbe spiegato Gauss. Non voleva deludere Ghezzoni Junior, il primo della classe: sapeva che il ragazzo aveva una cotta per lei, non certo per l'aspetto fisico, ma solo perché adorava la matematica e la fisica e lei era un'insegnante davvero molto brava. Era anche una che sapeva scopare e ne era fiera, anche se non voleva che si sapesse in giro: se qualcuno avesse saputo delle sue nottate sicuramente avrebbe avuto difficoltà a scuola e per quello temeva che il dottor Ghezzoni la riconoscesse, avendolo incontrato diverse volte nel corso degli anni per parlare dei progressi del figlio. Ma ingannare un uomo del genere non era poi così difficile, evidentemente.
Uscì in strada e corse verso la fermata dell'autobus: una volta salita sul mezzo di trasporto guardò fuori dal finestrino e si avvide che la notte invernale stava cedendo il posto a un pallido giorno. Era ora di cominciare la seconda vita della Regina della Notte.
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Ultima modifica: 15/05/2014 15:54 Da Titivillus.
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Re: [#4] Il popolo della notte (racconti) 15/05/2014 21:14 #11626

The dark side of the sun

Caro Jackie mio nonno mi raccontava tante storie, ma la mia preferita è sempre stata quella che aveva la morale più forte di tutte: non si giudica dalle apparenze. Lui la chiamava “La mia prima volta”. Non essere impaziente, non ci metterò molto.
La mia famiglia ha sempre abitato nel Maine. Negli anni in cui il nonno Abraham era poco più che ventenne, ti parlo del 1850 circa, Derry era un piccolo villaggio attorniato da terra brulla, non molto accogliente né particolarmente gioioso. Tuttavia, essendo un paese minuscolo, i suoi abitanti si conoscevano tutti fra loro, condividevano il pane, i buoi e qualche volta le mogli. Chissà quanti bastardi ha lasciato in giro il vecchio sporcaccione! Nonostante questa forte comunanza all’improvviso due coppie decisero di trasferirsi con i rispettivi figli in aperta campagna, lontano dal paese, con spiegazioni grossolane e francamente fasulle.
Il nonno era un tipo sveglio e non si accontentò di quelle che gli apparvero come futili scuse. Riflettendoci per qualche tempo gli venne in mente un particolare in comune alle due famiglie. In realtà secondo me ci arrivò subito, ma era un tale modesto! Comunque da come me la raccontava lui le coppie avevano entrambe un bambino che non facevano mai esporre alla luce del sole. Sembravano così normali, li aveva avuti vicino per tutta la vita. Eppure dovevano far parte del popolo della notte.
A Derry viveva una famiglia venuta dall'Europa che aveva portato con sé varie storie su taluni Nosferatu affetti da fotofobia. Scusami, forse sto usando termini incomprensibili per te. Dicevo: questi europei ci parlavano di non morti, di vampiri che evitavano la luce del sole perché altrimenti si sarebbero gonfiati fino a esplodere, succhiatori di sangue che prosciugavano le loro vittime. A quanto pare le loro descrizioni erano talmente orrorifiche da incutere paura anche agli uomini più robusti. Fatto sta che erano racconti troppo ben impressi nella mente di mio nonno per non creare un’associazione subitanea fra fotofobia e vampirismo.
In una famiglia, i Westenra, c’era una bambina che in 5 anni era stata vista di giorno in villaggio soltanto due volte, entrambe nei suoi primi sei mesi di vita. I genitori dicevano che la piccola Lucy fosse cieca e idiota.
Fra le coppie in questione inoltre c’era stato un concepimento derivato da un’orgia (chissà che non avessero molti altri rapporti) e in villaggio tutti pensavano che fosse quello il reale motivo del loro allontanamento. Così sembrava che il signor Westenra avesse messo incinta Cheryl, la moglie di Victor. La cosa più strana è che i quattro si trasferirono poco dopo la nascita del bambino, il cui vero nome rimase ignoto al nonno, non quando si accorsero del concepimento. Perché allora credere che fosse quello il motivo del loro allontanamento? Inoltre il piccolo bastardo venne visto solo una volta in paese di giorno, proprio come Lucy. Il nonno non aveva più dubbi, doveva trattarsi di famiglie maledette, portatrici del male. Non importava che i genitori apparissero normali, i loro figli erano mostri e loro li proteggevano; tanto bastava a fare anche di loro delle bizzarrie della natura. Bizzarrie pericolose.
Dopo che il nonno confidò le sue ipotesi al padre questi convocò una riunione di tutti i capifamiglia. Seguirono un paio di giorni di accese discussioni al villaggio. La gente dette fiducia al giovane Abraham, ma c’era pur sempre un’ombra di dubbio. Gli europei, invece, tralasciavano le incertezze per passare ai piani d’attacco. Tutti i sei componenti delle famiglie maledette dovevano essere impalati o perlomeno bisognava estirpare loro il cuore con dei pali di frassino. Se coloro che conoscevano meglio i vampiri alla sola possibilità della loro presenza volevano agire in fretta, significava che il pericolo era grave e che bisognava estirparlo quanto prima. Questo convinse ancora di più il nonno della necessità di un’azione rapida. Inutile perdersi nelle chiacchiere degli adulti. Serviva l’impeto del giovane uomo.
Al mattino, dopo essersi procurato dei paletti di frassino intagliando pezzi di legno che sapeva dove trovare, si diresse verso la campagna con l’intenzione di uccidere. Non aveva ben in mente un piano, la sua cieca audacia scaturiva dalla paura. Si sentiva come un animale messo alle strette e come tale si comportò.
Raggiunse la casa dei Westerna sapendo che Lucy doveva essere sola. I genitori uscivano per lavorare nei campi. Era lei la prima vittima designata, lei che sicuramente era una vampira. A questo punto della storia gli occhi del nonno Abraham si facevano cupi eppure intrisi di malcelata malvagità. Quando vide la piccola fu assalito dal terrore più puro che avesse potuto provare, rimase atterrito e sgomento davanti all’immagine di una bambina ricoperta interamente da rigonfiamenti cutanei, ulcere, aree della pelle più scure e grinze e cicatrici dappertutto. Ma gli occhi furono la cosa che gli rimase impressa fino alla morte. Due sfere vitree che fissavano senza vedere, come se guardassero al di là della sua persona, come se scrutassero la sua vita dopo la morte. Al terrore iniziale si sovrappose l’incredulità. Probabilmente Lucy era davvero cieca e idiota perché rimase ferma e impassibile. Quando quello stato quasi catatonico continuò anche dopo che il paletto di frassino le trapassò il corpo la prima volta, il nonno ricadde vittima dell’orrore animalesco che l’aveva spinto fino a quel punto e continuò a infliggerle colpi con il legno nonostante l’evidenza della sua morte. E nella sua mente ci fu il caos. Da questo punto in poi il nonno aveva due finali diversi a cui credeva ciecamente e contemporaneamente.
In quello più credibile e plausibile gli altri abitanti del villaggio, accortisi della mancanza di Abraham e di alcuni pezzi di legno, sopraggiunsero prima del ritorno dei Westenra e misero al sicuro il nonno. I capifamiglia, armati di ben altro che paletti di frassino, misero a ferro e fuoco la campagna impalando i membri superstiti delle due famiglie, ma solo dopo aver accuratamente estratto il cuore del piccolo vampiro bastardo.
Nel finale più fantasioso, quasi leggendario, all’assalto degli uomini sopravvissero (in modi sempre diversi secondo il nonno) Cheryl e il figlio. Per paura che la notizia che l’associava ai vampiri raggiungesse qualsiasi posto nelle vicinanze, Cheryl partì per l’Europa assumendo il nome di Cneajna e ribattezzando il figlio Dracula. Incredibile, eh?
D’altronde la cosa importante è che il nonno da allora si autoproclamò Abraham Van Helsing, cacciatore di vampiri. E ne uccise parecchia di gente nei suoi viaggi per gli Stati Uniti.
Il titolo di cacciatore di vampiri è poi passato a mio padre fino a giungere a me. Ci crederesti? Io, medico di dichiarata fama, dovrei credere ai vampiri. No, no. Non sono un cacciatore di vampiri. Sono un cacciatore di mutazioni genetiche. Questo paletto di frassino lo uso solo per tradizione perchè tu, mio caro Jackie, porti gli stessi geni di quella prima vittima del nonno, anche se lui non poteva saperne niente di questa malattia.
Hai lo Xeroderma Pigmentoso e il mio compito è di debellarlo. Addio.
Fragmina verborum titivillus colligit horum
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Re: [#4] Il popolo della notte (racconti) 15/05/2014 22:12 #11633

Disinfestazione


“Ciao Al”
“Ehi Fred...eccoci qui, anche stanotte.”
“Già, stesso treno, stessa ora, stessa vita. Di merda, aggiungerei.”
“Dobbiamo guadagnarci da mangiare in qualche modo, o no?”
“Sì va beh, lo so...ma non ne posso più di questa routine: stesso lavoro di sempre, stessi posti, stessi tempi, stessa gente. Vorrei cambiare, vorrei viaggiare un po'.”
“Stesso, stesso, stesso, sei palloso! Ma poi ah ah ah, viaggiare? Tu? Ma se non sei mai stato neanche fuori città! Non dire cavolate su. Questa è la vita, abbiamo i nostri figli, goditi quelli.”
“Bah, i figli, non li tirare in ballo per favore. Ancora mi chiedo come ho potuto farne sette, uno sarebbe bastato e avanzato.”
“Se ti sentisse tua moglie non sarebbe molto d'accordo.”
“Lascia perdere anche lei! Tutte le volte che torno a casa mi riempie di domande neanche fossi ad un interrogatorio. Dove sei stato? Con chi eri? Hai lavorato? Che ci hai portato? E che cazzo!”
“Si preoccupa per la famiglia, è normale.”
“Però non si preoccupa per la sua pancia, che cresce sempre di più; hai notato quanto sta diventando grassa? Spero che non sia di nuovo incinta!”
“Non te lo auguro! E non lo auguro neanche a me, dato che poi dovrei sopportare le tue lamentele...piuttosto, hai visto che sono arrivati i soliti visitatori?”
“Dove? Non li vedo.”
“Sporgiti un po', sono laggiù: proprio in mezzo al corridoio, tra i sedili. Guarda come zampettano allegramente.”
“Ma dai, che schifo. E' davvero vergognoso essere costretti a viaggiare in queste condizioni, con i treni che pullulano di scarafaggi; ci vorrebbe una bella disinfestazione. La farei io se mi pagassero bene.”
“Sì certo! E come pensi di poterla fare?”
“Semplice: chiamerei tutta la famiglia, anche i parenti più lontani. Ripuliremmo il treno in mezzora o poco più.”
“Mi fai ribrezzo solo a pensarci, sono disgustosi.”
“E che ne sai? Ne hai mai mangiato uno? Io no, ma sinceramente mi piacerebbe provarci. Ora che ci penso: con uno di quelli darei da mangiare ai miei figli per un sacco di tempo.”
“Falla finita, altrimenti mi fai vomitare! Dai su, diamo un senso alla serata cercando un po' di cibo; mi sembra che sotto quei sedili ci sia qualche briciola, andiamo a vedere?”
“Va bene, però stiamo attenti a non farci beccare da quegli orrendi scarafaggi, perché girano voci che alcuni di loro si divertano a schiacciarci ogni tanto, me l'ha detto mio zio.”
“E di che hai paura? Noi siamo sicuramente più veloci: abbiamo sei zampe mentre loro solo due!”
Fragmina verborum titivillus colligit horum
Quibus die mille vicibus se sarcinat ille.
Ultima modifica: 15/05/2014 22:13 Da Titivillus.
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Re: [#4] Il popolo della notte (racconti) 15/05/2014 23:25 #11634

ME NE VADO DI CASA

Ed eccoli che se ne escono anche questa notte, per l'ennesima volta senza di me. Ormai sono ventitre notti che non mi unisco ai miei compagni per andare a caccia. Ai loro occhi sto diventando quasi un appestato. Un paria. Non li posso biasimare per questo. Non è normale, hanno ragione. Dovrei uscire con loro e andare a caccia di insetti. Già perchè io sono un pipistrello. Un chirottero. Per la precisione il mio nome scientifico è RHINOLOPHUS EURYALE BLASIUS. Bello eh? Forse preferite quello più semplice di "Ferro di cavallo Eurìale". Faccio parte della famiglia dei Rinolofidi. Sono nato, come quasi tutti i miei compagni di caverna che sono appena usciti per la caccia, qui in Liguria. In una grotta sopra il bel paesino delle Cinque terre chiamato Vernazza. Perchè non esco con loro? Non lo so bene il perchè, ma non mi va più.

Ogni notte è la stessa storia. Via di corsa tutti insieme. Tutti che lottano per prendersi la zanzara migliore, la falena, la farfallina. Un caos di sali scendi, picchiate, controsterzate per arrivare prima dell'altro. Tutti a sfidarsi e a fare bella mostra di se davanti alle chirotterine. Non ne ho più voglia. Son stufo. E poi sempre di notte, mai una volta che si possa con calma svolazzare al dolce tepore del sole. Senza il bisogno di fare a gara e a spintonarsi l'un l'altro, al rientro in caverna, per trovare un buon posto per dormire. Dormire di giorno! Mentre fuori c'è la vera vita, noi ci rintaniamo al buio della caverna. Ma vi pare possibile? Usciamo di notte. Dormiamo al buio durante il giorno! Ma che vita eh? Non siamo mica vampiri. Poi è chiaro che nascono le leggende metropolitane che noi ci attacchiamo ai capelli delle povere signore, che beviamo il sangue e che siamo i migliori amici di Dracula. Non ci facciamo conoscere. Non abbiamo un buon addetto stampa. L'ho sempre detto io. Che poi, proprio in Italia dovevo nascere? Un posto dove storicamente siamo sempre stati visti come fumo negli occhi! Fin dai tempi dei Romani e dei primi cristiani ci hanno accostati al Diavolo. Pensate un po'! Quanti artisti hanno rappresentato i demoni con le nostre ali! Senza mai pagarci i diritti tra l'altro. Magari fossi nato in Cina! La si i miei esimi colleghi pipistrelli se la sono sempre spassata! Sono considerati sinonimo di felicità e longevità! Pensate che la parola felicità in cinese si pronuncia allo stesso modo di pipistrello! Un pipistrello significa felicità, due pipistrelli sono auspicio di buona fortuna. Ah, l'ho sempre detto che i cinesi sono una civiltà superiore a tutte le altre! Beh poi non sarebbe mica male essere nato anche ai tempi dei Maya. A quei tempi e in quelle zone il pipistrello era considerato una divinità. Zotz la chiamavano. Divinità che governava le caverne e il regno delle tenebre. Un po' più lugubre del credo cinese ma insomma, meglio che qua. Me la sarei spassata, ne sono certo. In quelle immense foreste avrei certamente avuto tutto lo spazio che volevo evitando quindi di unirmi a questi enormi gruppi così rumorosi e stressanti. Che poi non gliene faccio mica una colpa. Questo siamo e così ci hanno insegnato ad essere. Però se a me da fastidio che ci devo fare? E' un po' che sto valutando l'ipotesi di farmi la mia batbox personale. Così me ne andrei da qua ed eviterei di far vergognare i miei genitori poveretti. Non ne hanno colpa. Mi hanno sempre trattato bene e non mi hanno mai fatto mancare nulla, proprio bravi Eurìali. Ho sentito dire che alcuni abitanti dalle parti di Monterosso ne hanno messe fuori alcune. Potrei farci un salto e vedere come si sta o se sono già occupate. Così potrei farmi gli affari miei, uscirei di giorno, alla luce del sole, volteggiando assieme agli uccellini che mi stanno tanto simpatici. Magari trovo una batbox vicino alla finestra che da sul salotto di qualche casa. Così guarderei gli episodi di quel ragazzotto in calzamaglia nera che tutti chiamano Batman. L'uomo pipistrello! CHe pare sia un supereroe. Ma di quelli sui generis a cui piace stare per i fatti propri, sempre un po' scontroso ma in fondo in fondo buono. Un po' come me. Almeno qualcuno che ha pensato di vederci in maniera positiva anche in occidente in questi tempi moderni! Non se ne poteva più di morti, diavoli, demoni, vampiri! Anche noi abbiamo la nostra dignità! Ecchediamine! Chiaramente la parola che mi era venuta alle labbra era un'altra, ma evito per questioni di buon gusto. Ho già dato tante preoccupazioni alla mia mamma, non vorrei mai che qualcuno andasse a spifferarle che sono anche maleducato. Sia mai. Comunque, tornando a noi, si, sto pensando di andarmene. Anche la mia ragazza ormai non è più tanto convinta della nostra storia. Le sue amiche continuano a dirle di lasciare perdere un Ferro di cavallo rotto e strano come me. Che porto tutto fuorchè fortuna. Forse hanno ragione loro, chissà. Però son delle gran pettegole, questo lasciatemelo dire. Una volta vorrei tanto spaventarle a morte portando qua nella nostra colonia una volpe volante! Un mio amico dice che in Australia ci sono pipistrelli più grandi di noi di ben quindici volte! Vi pensate che spavento prenderebbero? Beh, non so comunque se crederci. Io mi sono sempre considerato un bel pipistrello, ben piantato. Sarei invece un nano rispetto a
queste fantomatiche volpi volanti. CHe poi mangerebbero addiritura la frutta invece che gli insetti come noi. Ma Voi ci credete? Da quando in qua un pipistrello si ciba di frutta? Se ne sentono di tutti i colori in giro e io l'ho detto al mio amico di non fidarsi troppo dei chiacchieroni. D'altra parte non è che abbiamo chissà quanto da fare quando stiamo in gruppo appesi a testa in giù, è chiaro che si chiacchera del più e del meno e a qualcuno può scappare di spararla grossa. La cosa ovviamente che a me sta più a cuore è l'aver sentito dire che questa specie è anche diurna. Loro si che hanno capito come si vive. Sempre se sia vero. Dite che se partissi per l'Australia e mi unissi a loro mi accetterebbero? Non so. QUindici volte più grandi di me. E' una bella differenza. E se poi mi scambiano per qualche succulenta prugna del posto? E poi come ci arrivo in Australia? C'è il mare di mezzo, quello grosso, tanta acqua dicono. Sicuramente non sarà come andare da qua a Monterosso. La settimana scorsa la mia ragazza parlava di andarcene assieme. Metter su famiglia. Una caverna tutta nostra. In fondo è una brava chirottera. Mi vuole bene, ha sempre chiuso un occhio sulle mie stranezze, in primis quella di voler lasciar stare tutte le farfalle. Lei dice che sono il piatto più prelibato. Ma a me dispiace. Sono così belle e delicate. Preferisco cibarmi di zanzare e altri insetti, che c'è di male? Ah, sfatiamo un altro mito che si sente in giro. Noi ci vediamo. Non siamo ciechi. Solo perchè possiamo sparare un po' di ultrasuoni dal naso e dalla bocca per orientarci anche al buio mica vuol dire che siamo ciechi. Ci vedo e anche bene grazie. E' un altro dei motivi per cui vorrei svolazzare di giorno per i fatti miei, ci son così tante belle cose da vedere alla luce del sole. Evviva la luce, il giorno, il sole. Abbasso il popolo della notte!! Libertà!! Libertà!!

Oh, stanno rientrando, meglio che me la svigni. Non ho la forza di sorbirmi un'altra paternale da tutti sul perchè dovevo uscire con loro e bla bla bla, bla bla bla.

Acqua in bocca sulla batbox, loro non sanno, è un segreto! Peace and love!
Fragmina verborum titivillus colligit horum
Quibus die mille vicibus se sarcinat ille.
Ultima modifica: 15/05/2014 23:34 Da Titivillus.
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