"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)
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ARGOMENTO: [#5] La grande opera (racconti)

[#5] La grande opera (racconti) 16/05/2014 00:03 #11638

Per lavorare, per creare serenamente un'opera, una grande opera, bisognerebbe non vedere nessuno, non interessarsi a nessuno, non amare nessuno, ma allora per quale ragione fare un'opera?
Cronaca dei Pasquier - Georges Duhamel



La grande opera è il tema della quinta tornata di UniVersi, c'è tempo fino al 15 giugno compreso per postare il proprio racconto in gara.


REGOLE
- Il limite massimo di battute consentito per questa tornata è 6000 (spazi compresi, titolo escluso). Potete controllare il numero esatto di battute dei vostri racconti su questo sito gratuito; utilizzate Firefox dato che con altri browser il conteggio non risulterà esatto.
- I racconti devono avere un proprio titolo e devono essere postati in forma anonima, effettuando il login con nome utente Titivillus e password universi.
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RACCONTI IN GARA

- La diabolica tragedia (1757)
- Le gemelle (3126)
- Telefonata infernale (3725)
- Silicone (2279)
- La rosa di Westminster (4471)
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Ultima modifica: 16/06/2014 08:40 Da gensi.
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Re: [#5] La grande opera (racconti) 04/06/2014 01:09 #11725

La diabolica tragedia

Maestri, ingegneri e magistrati
per mesi riuniti in pompa magna
si scambiano commenti smaliziati;

"cos'è quello schifo sulla lavagna?"
domanda l'ingenuo appena entrato
ed al corrotto s'alza la carogna:

"chi è costui che parla esagitato?
Dall'alto di che esperienza, commenta?
Sarà mica il solito infiltrato?"

"No, son architetto di anni trenta,
non vivo di silenzi a suon di ori,
né di spintarelle del mi consenta"

"Ma dimmi un po', da dove salti fuori?"
Domanda inviperito a squarciagola
"chi cazz'è sto stronzo figlio dei fiori?

Arriverà un giorno la tagliola
e metterà a tacere un po' tutti
e guai a chi proferirà parola

parer contrari inopportuni e brutti
saran soltanto ricordi sgualciti
di chi parlava a vanvera per motti".

La grande opera: soldi scuciti
alle tasche d'ignari poveretti
destinati a vite da eremiti

e all'ingrassaggio di sporchi colletti
che pur d'avere agio e un culo d'oro
s'inventano follie e meri trucchetti.

Facile dar colpe soltanto a loro
l'Italia è cultura di tangente
e delle leggi che hanno sempre un foro

di chi col grano muove veramente
tutto e tutti restando poi impunito
divenendo anche martire innocente.

E guai a chi osa puntare il dito
"è solo una vittima del sistema
in fondo chi di noi è poi pulito?"


Della corona italica il diadema
dovreste esserne già servitori
e invece siete feccia senza tema.

Quandunque ruberete anche i colori
Divin Giustizia guarderà in viso
non ci saranno vinti e vincitori

ma solo ladri e invidia del sorriso
e fuori resterete a rimirare
ciò che sogniamo esser Paradiso.

Almen su questo fatemi sognare
un po' speranza, un po' consolazione
"Onnipotente: riesci ad ascoltare?"

Non cerco risposte o spiegazione
sia fatta volontà del Signore
che chiuderà per sempre la questione.
Fragmina verborum titivillus colligit horum
Quibus die mille vicibus se sarcinat ille.
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Re: [#5] La grande opera (racconti) 12/06/2014 23:45 #11744

LE GEMELLE

Buonasera.
Probabilmente avete poco tempo e state leggendo questo racconto in un ritaglio di tempo.
In treno? In fila alle poste? Mi piace comunque immaginarvi comodi; su una bella poltrona, con i fogli stampati in mano.
Magari di notte, quando il silenzio ci tende la mano e fa sembrare tutto più vero.

Bene.
Ora anche voi dovreste immaginarmi comodo.
Su uno sgabello al bancone di una birreria sarebbe perfetto, mentre sto iniziando la mia storia.
Se il posto in poltrona non vi piace allora potreste essere qui con me, un mio vicino di sgabello o anche il barista che mi ha appena servito una rossa doppio malto, scegliete voi.

Ascoltate...

Vi ho mai parlato dei Termin? Vivevano in fondo a questa via, dove ora c'è quel piccolo ufficio postale.
Famiglia classica, padre madre e due figlie.
Ester e Paola, gemelle.

Ester, gran bella donna, matta come un cavallo. Due figli da due mariti diversi e tre matrimoni falliti quando ancora non aveva venticinque anni erano il suo biglietto da visita. L'unica costante della sua vita era la voglia di divertirsi, viva come in una classe in gita del quinto.
Quando vivevano qui aveva superato i venti da una ventina di anni.
Una bellezza inusuale con un solo elemento di spicco.
Gli occhi. Marroni dal taglio affusolato, fantastici.
Filtravano tutte la altre parti del viso lontane dalla perfezione. Le orecchie piccine e troppo in alto, il mento leggermente storto e le labbra sottili non erano poi così sgraziati lì vicino. Quante volte avete sentito parlare di occhi magnetici? Beh... eccoli.
Corti capelli neri come lo schermo di uno smartphone in stand by e centosettantanove centimetri senza neanche un rettilineo, davano il tocco finale a quella che - unanimemente - era considerata una grande gnocca.

Paola invece era l'anonimato in persona.
Se ci andavi a sbattere ti potevi accorgere di lei, non prima. Era la più grande in quanto uscita qualche minuto prima e lo sentiva veramente di essere la sorella maggiore, tutte e due si comportavano esattamente come se tra loro corressero cinque anni e non cinque minuti.
C'era la piccolina che aveva bisogno di essere protetta e accudita, e la grande che lo faceva.

Quando non lavorava Paola, era in giro con Ester nella sua pazza vita. Sentirsi dentro quella mondanità e a quelle nottate in giro fino all'alba le sarebbe piaciuto ma non ce la faceva, preferiva starle accanto affinché non si mettesse in situazioni ancora più difficili e basta.
Il resto era lavoro.
D'altronde dopo una vita sopra i libri era facile immaginarlo. Le era servito veramente? Certo ora aveva un lavoro importante nel quale era bravissima, era l'unica cosa che le riempiva la vita. Era diventata un buon chirurgo, apprezzata dai colleghi, ma sai... ogni tanto si chiede ancora se ne è valsa la pena.

Veniamo a oggi.
Proprio ora, in questo momento, Paola sta iniziando un intervento su una giovane paziente, pensa a sua sorella; non è ancora rientrata dall'ennesima nottata brava.

Bene amico,
La mia birra è finita, e anche la nostra storia è giunta al termine.

La morale - se pur banale - è che mentre la piccola si diverte, La grande opera.
Fragmina verborum titivillus colligit horum
Quibus die mille vicibus se sarcinat ille.
Ultima modifica: 12/06/2014 23:46 Da Titivillus.
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Re: [#5] La grande opera (racconti) 14/06/2014 12:38 #11747

Telefonata infernale


Drin drin, drin drin.
R -Pronto?
D -...ffsshh, uuuaaaaahhh, eeehhhh...
R -Pronto chi parla? Ma chi è? Non sento niente, c’è un'interferenza...
D -Parlo con Roberto, lo mio amico?
R -Dante?! Ma Dantino, Dantuccio, sei proprio te? Che ti possino...
D -Ebbene sì, sono il tuo poeta.
R -Ma che piacere! Come va, che si dice laggiù? Si sente proprio che sei all’Inferno!
D -Chetati or ora, e senti che ti dico. Persa che ebbi l’agognata meta, dall’erto colle scappo e mi nascondo, distratto caddi sulla mia seta.
R -Ah sei inciampato sei! Ma porcaccia la miseria, non ti sarai fatto male...
D -Trovai un telefono sul fondo, al che pensai “perché non chiamare”?
R -Ora mi dici che si trovano i telefoni giù all’inferno! Questo mi è proprio nuova...ma dimmi, che combini? Quanto sono contento di sentirti guarda, non sai quanto t’ho voluto bene Dante!
D -Dura la vita ed è lontano il mondo, il sole sogno che muore nel mare. Ma dimmi di te, amico toscano; ché la missiva tardò ad arrivare.
R –È vero, mi ero scordato d’averti scritto una lettera! Eh caro il mio sommo poeta, sono sempre in giro a tessere le tue lodi. E vedessi, vedessi le folle che assiepano i palchi nell’udire la tua storia! È proprio come ti ho scritto, ricordi? L’arte è un dono e tu ci hai fatto il regalo più grande.
D -Allora il gran lavoro non fu vano! Quali nuove sotto il cielo stellato? Decaduto, mi han detto, è il villano.
R -E chi te lo ha detto che è decaduto il nano? Non sarà mica stato quel Farinata? Porca miseria non ti si nasconde niente a te! Ebbene sì, caro Dante, è caduto “il cavaliere” e con lui si è chiusa un’epoca di questa Italia trista e stanca. Sapessi, è un periodo duro, si parla sempre di crisi...e tu ne sai qualcosa eh!
D -Ruota che gira perenne è il fato. Scivola il tempo e la storia scorre, ma l’uomo ahimè rimane invariato.
R -Dici bene...ma non bisogna mica disperare, non mi fare questo errore! Ora che sei lì ti sento tutto cupo, tutto intristito, proprio tu che ci hai insegnato a non mollare mai! La vita è bella, l’ho sempre detto, non c’è male che non possa essere consolato. E tu come stai, non c’è la tua guida con te?
D -Lo poeta latino sta nella torre, nel mezzo di filosofici cari. Ma altra questione ho da porre: dimmi della patria, qui siamo ignari!
R -Ah la tua Firenze...sempre nei tuoi pensieri! Caro Dante, la tua patria è città d’arte apprezzata in tutto il mondo conosciuto. Quante cose ho da dirti, quanta storia da raccontare! Ma forse tu sai già molto, mi hai parlato di quel piccoletto...
D -Dal buio loco qualcosa si coglie, tenebra gli eventi fa poco chiari. Tristi pensieri in mente son doglie, come unite le italiche genti?
R -Bella domanda, non lo so nemmeno io! Che ti devo dire, l’Italia è il più bel paese del mondo e pare che gli italiani se lo scordino sempre. Ma quanta qualità c’è qui, caro Dante, quanta passione, quanta genialità! Eppure è difficile restare uniti, spesso ci disperdiamo...
D -...come al soffio d’autunno, tante foglie.
R -Mi hai tolto le parole di bocca guarda!
D -Lasciami dir, a infedeli e credenti: eroe è ognun della sua storia, l’Italia non perda i suoi talenti.
R -Potessero udirti i giovani d’oggi, potessi tu parlare ai ragazzi smarriti! Vedessi che facce in giro, quanta poca gioia, poca allegria. Bisogna ridere dico io, bisogna sorridere alla vita!
D -Ebbene sì, ogni bel riso è gloria! Or ti saluto dall’infausto covo, volgo il lento passo verso altra gioia.
R -Aspetta, dimmi solo una cosa: come mai sei ancora lì? Non dovresti essere con Beatrice?
D -Il vecchio detto torna sempre nuovo: nell’eterno cielo il bel clima apprezzi, all’Inferno gran compagnia trovo.
R -Ah ma guarda un po’ che mattacchione che sei...stammi bene allora Dante, e saluta tutti!
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Re: [#5] La grande opera (racconti) 15/06/2014 09:13 #11748

Silicone


Lucrezia non si sarebbe mai dimenticata di quell'uomo, questo era certo, ma ancora di più non si sarebbe scordata quella scritta lampeggiante, che occupava ormai da anni tutti i suoi peggiori incubi.
Ricordava bene il momento in cui l'aveva vista per la prima volta: era un po' tesa per l'intervento e quindi lì per lì non aveva creduto fino in fondo ai propri occhi, ma alla fine aveva dovuto arrendersi. La scritta era reale, terribilmente fosforescente, e campeggiava su una sorta di passata per capelli, posta sopra la cuffia del dottor La Grande: La Grande opera!
Tutte le sue amiche l'avevano avvertita che quel chirurgo era un po', come dire, estroverso, ma Lucrezia mai si sarebbe aspettata che un dottore di tale fama, almeno nel giro delle cinquantenni dell'alta borghesia di cui lei faceva orgogliosamente parte, si comportasse in modo così poco serio.
Come in molti altri campi però, erano i risultati a contare: il dottor La Grande era ormai rinomato essere uno dei migliori chirurghi plastici della regione, pertanto quella scritta passò subito in secondo piano, durante le iniezioni di silicone.

La scritta tornò però ad avere tremenda importanza, almeno nei suoi incubi, quando Lucrezia scoprì che la sua operazione di filler alle labbra aveva avuto un esito drammatico: il silicone non le aveva solo donato due enormi ed indesiderati canotti, ma era anche fuoriuscito dalle zone di iniezione, diffondendosi nei tessuti vicini e trasformando la parte bassa del suo viso in qualcosa di mostruoso.
Furono degli anni di inferno, con cinque interventi presso altri chirurghi (tutti inutili) e con una causa legale che portò il dottor La Grande a pagare una misera somma di denaro per danni fisici e morali.

Alla fine Lucrezia si abbandonò alla soluzione più semplice.
Si sentì fiera di se stessa nel momento in cui tirò indietro i suoi lunghi capelli biondo platino, infilandosi la passata del dottor La Grande, mentre guardava il chirurgo di fronte a sé, legato al tavolo da operazione. Non era stato facile portarlo lì di domenica, quando la clinica era vuota, stordirlo ed incatenarlo, ma c'era riuscita.
Prese in mano la siringa piena di silicone e fu pronta a gustarsi la sua vendetta, mentre la scritta lampeggiava morbosa sopra la sua testa.
La Grande opera!
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Ultima modifica: 15/06/2014 09:15 Da Titivillus.
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Re: [#5] La grande opera (racconti) 15/06/2014 16:31 #11749

La rosa di Westminster

Tra le grandi cose prodotte dalla mano dell’uomo certamente va ricordata l’abbazia di Westminster. Ma in questa sede non si parlerà propriamente della grandiosa bellezza austera della cattedrale anglicana.
Capitò che mi trovassi a Londra per lavoro, poco tempo fa. Riuscii a ritagliarmi del tempo per andare a vedere una cosa che in pochi conoscono.
Anni prima, in Italia, avevo conosciuto una ragazza giapponese appassionata di architettura e fotografa di professione.
Mi fece vedere la fotografia – una sua fotografia – di una piccola mattonella in ceramica raffigurante una rosa bianca su sfondo blu. L’immagine era molto nitida e talmente esatta da farmi volere toccare quel piccolo capolavoro. Quella rosa – mi disse – la potevo vedere a Londra, all’interno del chiostro a cui è possibile accedere dalla navata destra dell’abbazia di Westminster.
Questa è una di quelle classiche storielle da nulla. Una goccia nell’oceano dell’esistenza che con l’andare degli anni tende a sciogliersi nella memoria. Eppure non mi sono mai dimenticato di quell’immagine e mi sono ripromesso di andarla a cercare, almeno una volta nella vita.
E così, la mattina presto di un giorno in cui mi ero deciso che avrei potuto dedicarmi a questa ricerca, m’incamminai verso il luogo designato.
All’esterno l’abbazia si presenta come tante altre cattedrali gotiche: un’idea di sviluppo verticale, amplificato dal marmo chiaro e dalle innumerevoli guglie e statue che ne proiettano la struttura verso il cielo.
Per la verità Westminster ha una pianta davvero originale, quasi unica. Non ha la tipica forma a croce. O meglio, ce l’avrebbe, ma elementi complementari alla sua struttura originaria ne rendono la visione dall’alto – e dal lato – più massiccia di quanto i canoni dovrebbero consentire.
Entrai dall’ingresso principale. Entrai in silenzio, quasi in punta di piedi, come viene naturale fare quando si entra in una chiesa.
Non mi diressi subito verso il chiostro. Passeggiai per tutta la navata principale per arrivare all’abside, avendo cura di non calpestare – per quanto possibile – le salme delle più illustri personalità inglesi incastonate sotto terra.
In effetti il pavimento è letteralmente costellato da un numero imprecisato di tombe, accatastate una accanto all’altra e levigate, negli anni, dal passaggio dei numerosi visitatori.
Terminato il giro da turista, cercai con lo sguardo il pertugio per il chiostro e vi entrai.
Se l’interno dell’abbazia ha davvero un aspetto austero e solenne, il chiostro – per sua natura aperto al cielo – si presenta come un luogo lontano dal tempo. Vi si respira un’aria di quiete pastorale. Il che è incredibile se si pensa che siamo nel bel mezzo di una grande metropoli.
Nell’atmosfera idilliaca di quel luogo luminoso – aiutato dalla presenza di un quadrato di erba verdissima perfettamente incastrata al centro dei quattro lati del porticato – non dovetti perdere troppo tempo per trovare quello che andavo cercando e mi imbattei quasi subito nella tanto attesa mattonella di ceramica.
Mi piacerebbe poter raccontare di aver trovato una ragazza intenta a fotografarla, ma la vita non è un romanzo e dovetti accontentarmi di contemplare quella piccola meraviglia senza compagnia.
L’immagine era esattamente come me la ricordavo; persino più bella. I suoi contorni squadrati saranno stati non più grandi del palmo della mia mano.
Rimasi qualche minuto a fissare la figura, e la piccola grande bellezza che sprigionava.
La superficie della ceramica era lucida, quasi come se nessuno avesse mai osato mettere un piede sopra di essa. La rosa era lì da chissà quanti secoli e mi ritenni fortunato di potere averla vista almeno una volta.
Ripensai alla ragazza giapponese – una ragazza dal bel sorriso e dai capelli lunghi e ordinati – e la ringraziai mentalmente.
Naturalmente mi lasciai sfuggire un sorriso e mi resi conto che avrei voluto dirle che avevo davvero dedicato una mattinata per andare a vedere quella piccola rosa; che mi ero fidato ciecamente della ricostruzione logistica della posizione della mattonella. E che l’avevo trovata là, in quel luogo che mi ero figurato tante volte, quasi in attesa del mio passaggio.
Completai il camminamento sotto i portici e mi lasciai alle spalle quel fiore raro, custodito – nella sua fragilità - dalla possenza antica della grande cattedrale. Tornai dentro l’abbazia e, ridestatomi da tutti i pensieri, uscii dall’entrata principale, sempre in silenzio, con un passo un poco più pesante.
Fragmina verborum titivillus colligit horum
Quibus die mille vicibus se sarcinat ille.
Ultima modifica: 15/06/2014 16:58 Da Titivillus.
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