Visto che tanti hanno chiuso la lettura del mio racconto con un ? in testa, ci tenevo a spiegare un po', anche se generalmente non ne ho bisogno.
Generalmente non ne ho bisogno perché, se per lavoro scrivessi un qualcosa tipo questo racconto, nessuno l'accetterebbe mai e gli darei tutta la ragione del mondo. DEVO essere chiaro, lineare e non fraintendibile. O meglio: tutti i possibili fraintendimenti devono essere voluti e controllati. Non DEVE esistere "puoi spiegarmi questa cosa? Non l'ho capita" perché significherebbe aver lavorato male.
Mi sono iscritto al forum perché, prima di arrivare al mio lavoro, ho scritto flussi di coscienza, giocato con le immagini e le sensazioni, dato libero sfogo al bisogno di scrivere. Con il lavoro questo aspetto è venuto a mancare e ne ho addirittura dimenticato la mancanza. Ma leggendo il post su Hattrick mi è balenata nella mente la domanda: "potrebbe farmi bene ritornare a scrivere senza vincoli?" (il tema imposto è decisamente un vincolo irrilevante, rapportato agli altri). Sì, credo che potrebbe farmi bene e sarebbe simpatico anche leggere i commenti di appassionati.
Così il mio primo racconto, questo, è stato un insieme di tutte le cose che non avrei mai potuto scrivere per lavoro. Avevo proprio bisogno di sfogarmi
Questo racconto è nato dalla riflessione:
Paradise City...Dante e Divina Commedia. Ok, a scuola si studia la Divina Commedia. Tutti ne parlano come se fosse il più grande o uno dei più grandi capolavori. Ma probabilmente è così solo perché il viaggio è stato fatto da Dante, persona pensante e lucida, capace di scrivere e trasmettere immagini e sensazioni. Ipotizziamo che Dante sia stato il prescelto. Se al suo posto fosse stato scelto un buzzurro, un rozzo, un ignorante, cosa avremmo studiato a scuola?
Un ignorante prima di tutto non capisce dove si trova. Ancor meno sa capire il motivo del suo trovarsi lì.
Quindi il mio protagonista non è in grado di fare un'analisi su se stesso (Rimbaud, studia!) e dire "ok, se sono qui un motivo ci sarà. Fammi fare un'analisi di coscienza". Ma può solo sbraitare e pretendere il suo Paradiso.
Il contesto è dantesco, anche se nell'Inferno di Dante non esiste un girone con i teschi a terra che ti mangiano i piedi, ma c'è un girone, quello dei golosi, nel quale i peccatori "Sono stesi a terra, immersi nel fango sotto precipitazioni continue e maleodorante, frequentemente morsi e graffiati da Cerbero che li tormenta coi suoi latrati". Ho rivisitato un po' questo scenario.
Il protagonista è un iracondo, prima di tutto, e nel finale si scopre essere anche un suicida fattosi saltare in aria. Proprio questi sono i peccati che lo legano all'Inferno, ma è troppo stupido per accorgersene. L'unica cosa che può fare è pretendere le 72 vergini (70 per questioni di suono e metrica).
L'ultima parte, l'unica che mi piace, è uno scimmiottamento di Dante. Anche il mio protagonista è un Dante, ma è pur sempre un ignorante rozzo, quindi cerca di imitarne la forma ma ogni 2 parole inciampa nella sua rozzezza.
Evito la spiegazione di tutti i riferimenti perché tanti sono proprio stupidi e per niente comprensibili, tipo l'Ego che gli esplodeva in petto come se gli avessero colpito l'Anahata con indice e medio, liberamente ispirato a Ken Shiro e le sue implosioni.
Detto questo, mi rendo conto che sia quasi illeggibile, ma mi sono divertito a scriverlo e mi ha fatto bene