...E se Paradise City – 5,5
Lo spunto è simpatico, nonostante io non sia un fan della fantascienza e leggere la parola “alieno” mi allontani irrimediabilmente dalla narrazione. Se poi l'incipit parla di “semi-alieni”...che sforzo enorme devo fare! Ma questo è gusto personale, anzi, è proprio predisposizione genetica, e l'ho lasciata fuori quanto più possibile dal voto.
Come detto, lo spunto è simpatico e l'ho letto con interesse. La narrazione è scorrevole, salvo alcune parole nelle quali ho inciampato ogni tanto.
Però ho sentito una mancanza: questo racconto probabilmente è figlio di una riflessione tua personale, probabilmente questo spunto non è nato per questo racconto ma è un pensiero indipendente. Sono abbastanza certo di questo perché i personaggi si perdono: c'è il protagonista che fa questa riflessione, ok. Ma l'amico chi è? Qual è il suo ruolo all'interno del racconto? Se non ci fosse, sarebbe uguale. Basterebbe spostare le battute da Peter a Johan. Se l'avessi usato come contraddittorio, avrebbe avuto sicuramente più senso e avresti soddisfatto una delle principali regole del racconto, ma saresti uscito dalla riflessione diretta e sarebbe diventato un racconto, appunto, quindi l'avresti snaturato e non so quanto ti sarebbe andato bene.
Sulla figlia, invece, sento un grande buco. La riflessione è nata proprio da una domanda, o forse un'intuizione, della figlia. Ma lui cosa le ha risposto in quell'istante? E, dopo tutta questa riflessione, cosa sentirà di dire alla figlia? Lui è stato “messo in crisi” dalla figlia, eppure la taglia fuori sin da subito, parlando del tutto come se fosse una cosa solo sua.
Una cosa non ho gradito assolutamente: quell'espressione inglese “What the fuck?”. Cosa c'entra? Non so chi l'abbia scritto e non vi conosco ancora, ma suppongo che l'autore non sia un matusa. E' tutto in italiano, dialoghi compresi, tranne quell'espressione che non mi sembra per niente attribuibile al personaggio (luminare della genetica applicata, padre), ma mi sembra assolutamente attribuibile all'autore. Scrivere “ma che cazzo...?!”, sarebbe stato identico nei contenuti ma senza contaminazioni.
Insomma, non sei riuscito a uscire fuori da te stesso. Se da un lato è fondamentale non uscire mai, soprattutto se non si ha padronanza della scrittura (non mi sto riferendo personalmente a te, sto parlando in generale), dall'altro è altrettanto fondamentale distaccarsi per evitare che un racconto ampio diventi un monologo egocentrico.
La cartella – 5
Sono molto contento che ti sia messo in gioco. Ho temuto, leggendo i tuoi interventi nel forum, che saresti restato a fare lo spettatore. Invece mi hai piacevolmente stupito e questo non può fare altro che indicare (per me una conferma) che c'è una differenza abissale fra quello che vorresti comunicare e quello che spesso è arrivato a me/noi leggendoti. Sono contento!
Passando al racconto: mi manca l'empatia. Ho un racconto in prima persona e un bambino solo, quindi il bambino solo si racconta. Incontra un altro bambino altrettanto solo che ha qualcosa in più (esperienza o sensibilità, cambia poco). Quando A si sfoga e B lo abbraccia, A capisce qualcosa e sente che la propria sofferenza non è solo sua e non deve combatterla per forza da solo. Ma in che modo A arriva a questa conclusione? Mi spiego: quell'abbraccio, per come lo racconta, è completamente freddo. Non viene descritta una sensazione, c'è direttamente un “.” che taglia tutto. E la frase successiva è che devono separarsi. “Ci rattristava l'idea di non incontrarci più”...sulla base delle cose dette prima, a me sembra che ad A mancherà un abbraccio, più che l'abbraccio di quel bambino. E, se così fosse, a parte che sarebbe difficile immaginarlo per un bambino di 13 anni, e poi restituirebbe alla mamma la stessa freddezza dell'abbraccio di B. Del tipo: mamma piange, papà sta in cucina, il nonno è morto, in casa siamo in tre...per esclusione, tocca a me abbracciarla. Quanto è sentito quell'abbraccio? Io non l'avverto.
Se il protagonista ricorda a distanza di anni o decenni questa fase della sua vita e la racconta, attribuendo a questi episodi la sua salvazione, come fa a parlarne in modo così freddo, senza evocare neanche un movimento di pancia?*
Mi lascio andare a una considerazione azzardata: o quel dolore non l'ha compreso e superato a pieno (e qui non si parla più di racconti e protagonisti), oppure non ti sei applicato abbastanza nell'inventare storia, personaggi ed emozioni.
Il finale non mi piace proprio. La morale secondo me è superflua. Se avessi chiuso con “il bambino che ero morì quel giorno”, secondo me sarebbe stato molto ma molto ma molto meglio. Non bisogna mai, a mio avviso, avere la pretesa di insegnare qualcosa con un racconto del genere, o meglio non bisogna mai spiattellarla in pubblico, renderla così palese. Tutto quello che pensi me l'hai già mostrato con il racconto, mi hai già detto che, se A non si fosse “dato una svegliata” (B è solo un mezzo, dal punto di vista narrativo), sarebbe morto senza rinascita. Quindi vien da sé che alcune persone vivono tante vite, altre poche, altre nessuna...e che poche riescono a mantenere uno sguardo lucido su quello che stanno realmente vivendo.
*li ho chiamati A e B e ho fatto esempi “matematici” proprio per restituirti quella freddezza, non stavo sminuendo.
Whisky & Glock – 4,5
Purtroppo non mi è piaciuto. Non so analizzare un punto in particolare, un passaggio, il linguaggio, i termini...perché è manchevole di qualcosa durante tutta la narrazione. Quello che credo mi manchi è il contatto fra i due innamorati. Non riesco a sentire questo bisogno l'uno dell'altro, non riesco a sentire la mancanza infinita e il non riuscire a vivere senza l'altro. Quindi non riesco neanche a giustificare la condizione attuale di lui che, ai miei occhi, risulta una persona in difficoltà con o senza lei.
Forse per un problema di limite dei caratteri, il finale non dà quella spinta in più (non tanto per l'originalità, che comunque manca). A me sembra che le parole immaginarie di lei possano dargli la forza di arrivare fino a domani, massimo massimo fino a dopodomani, ma non oltre. Come detto, mi sembra in una difficoltà esistenziale personale tale che le parole di Alice possano essere solo una leggera dose di morfina. A quel punto sono due le possibilità: o domani sarà ancora lì, con la bottiglia in mano e la Glock alla tempia, e questa volta si sparerà perché Alice (o la sua mente) non torneranno a salvarlo; oppure tornerà lì, assuefatto dalla sua morfina, e tornerà a immaginare quelle parole per arrivare ancora una volta a domani, in un circolo vizioso senza fine.
Ma non credo che le tue intenzioni fossero né la prima né la seconda.
La mia città – 3
Sarò stupido, ma non l'ho proprio capito. Non ho capito le tue intenzioni. L'ho letto 10 volte e continuo a non capire.
Ho capito solo dell'omaggio che hai voluto fare a questa città che io non conosco e non ho idea di cosa tu abbia raccontato. Nel senso che magari un comasco, leggendo il tuo racconto-tour (non è dispregiativo, Palahniuk ha scritto un libro-tour su Portland), potrebbe ripercorrere quelle vie, potrebbe rivivere qualche ricordo, seguire i tuoi...ma io?
Aneddoto: quasi un decennio fa mia sorella scoprì Murakami Haruki, lo scrittore giapponese, e comprò svariati suoi libri. Ne lesse alcuni e, dopo l'ennesimo acquisto, venne da me e mi disse in completa estasi: “senti qua che incipit!”. Mi lesse un paio di righi che parlavano di un paesaggio e descrivevano la vegetazione che dalla vallata saliva verso i monti come...una ragnatela che si arrampicava ecc ecc (se trovo l'originale, te lo posto. Non ricordo neanche vagamente il titolo, neanche dopo averli riletti, quindi la vedo ardua, purtroppo). Mia sorella fu rapita da questa descrizione perché le permise di immaginare esattamente il quadro paesaggistico. A distanza di anni e anni, sono sicuro che lei ricordi ancora quell'incipit e quel quadro, mentre se ora mi chiedessi cosa ricordo del tuo racconto, ti risponderei: “Como...Manzoni...lago...stazione”.
Scrivi poesie e scrivi di getto, senza rileggere, ma devi smetterla di nasconderti. La citazione che incornicia UniVersi dice: “Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto.”, ma se tu vuoi nasconderti anche a te stesso, come si dice da noi, “stiamo freschi!”
Mettiti in gioco di più, apriti la testa. A 18 anni si è tormentati, è d'obbligo. Ed essere tormentati significa essere altrettanto tormentati da spunti. Ma se i tormenti dei 18 anni ti portano a omaggiare la tua città con un tour, probabilmente ti stai prendendo un po' in giro.
Una striscia di paradiso. - 7,5
La lettura era distratta dal pensiero: “questo è arturobandini, è lui, lo so”.
Ma ho toppato clamorosamente e devo chiedere scusa a Signor-BOH perché ho dato il voto ad arturobandini in relazione anche al suo racconto precedente. Invece avrei dovuto darti un 8,5 perché il racconto mi è piaciuto tanto. E' sentito, vissuto, scorrevole, ben scritto...c'è qualche influenza occidentale, cioè si capisce che è stato scritto da una persona che, non conosco le origini, ma sicuramente ha vissuto la nostra società occidentale. Un esempio: “visto che questo muro, occidente in primis, finge di non vederlo questo dannato muro”. Usi l'espressione latina “in primis”, ma sei sicuro che il tuo scenario abbia origine latina? Non sono sicuro. Poi ci sono altri casi meno evidenti, ma mi sembra che con questo racconto tu abbia limitato ma non risolto il problema evidenziato anche con il racconto precedente: la ricerca del lessico. Devi cercare di parlare un po' meno come parleresti tu perché, con questo modo di scrivere, più racconti qualcosa di non tuo, più danneggi il tuo racconto. Non vorrai mica ridurti a fare scrivere sempre racconti italiani degli anni 2000? Ti auguro di no, vista la tua propensione ad andare a spasso
Altro appunto ma questa volta basato solo sul gusto personale. Nella prima parte parla al passato della madre con affetto ma relativo distacco. Parla al passato, è un ricordo, oltretutto disturbato da quello scenario che rende spettatori e vittime allo stesso tempo, una realtà che disincanta, quindi parlarne con distacco ci sta. Ma dopo parla al presente della curiosità (forse più rabbia che curiosità) di poter vedere finalmente oltre quel muro. E mi sarebbe piaciuto un cambio, anche piccolissimo, di registro. Invece cambiano i sentimenti, cambia la compagnia, cambia il tempo verbale...ma la reazione no. Può essere una scelta tua personale, sicuramente non sbagliata, ma per gusto personale avrei preferito un cenno, un brivido.
Nonostante non sia un fan di questi racconti, ti faccio davvero i miei complimenti.
Condizionamento - 7
L'idea mi è piaciuta veramente tanto. Quello che non mi è piaciuto è stato lo svolgimento.
Troppe chiacchiere, troppe spiegazioni sulla missione che servono poco al padre e servono tanto al lettore. E già questo significa che c'è stata una forzatura che, secondo me, fa perdere naturalezza alla lettera. Stesso problema lo riscontro nella risposta del padre che comprime in 7 righi una spiegazione che meriterebbe uno svolgimento molto più ampio, per dare la giusta durata a ogni atto. Troppo didascalico, veramente troppo. I 6000 caratteri sarebbero potuti essere un problema per un'idea simile, ma non sono stati il tuo principale problema.
N52 – 8,5 + premio della critica
Faccio un mea culpa perché ho sbagliato l'associazione racconto-autore e questo ha influito un po' sul voto. La prossima volta eviterò errori del genere.
Sul racconto in sé non ho molto da dire. Non mi entusiasma ma non posso negare che sia comunque scritto bene. Ha un punto forte che regge tutto: la filosofia che sta dietro all'idea. Si vede che è pensata, si vede che è un'idea completa e non buttata lì, quindi dal punto di vista strutturale e narrativo è ben fatta e piacevole da seguire.
La filosofia dell'ultima settimana, l'unica, è molto bella se associata con la vita dopo la morte ed è esattamente quello che cerco generalmente. Offre un sottotesto e una doppia lettura che, se non ci fosse stata, avrebbe fatto perdere di profondità al racconto. Diciamo che 8 punti sono solo per questo, mentre quel mezzo è per la forma giusta e indiscutibile.
Se avessi saputo l'autore, avrei dato almeno un punto in meno perché questo racconto, se non per la filosofia, non si avvicina a “Sophia”, il precedente, ma l'avrei inteso come una bellissima idea sviluppata come un compitino per casa. Mi piacerebbe vederti osare di più, non nelle idee che sono sempre notevoli e apprezzo sempre, quando appunto nella forma. E non basta inserire un “fica”.
Silvio don't cry – 6
Apprezzo la goliardia
Paradise City – Profezia – 7
Mi sembra ovvio che tu abbia puntato tutto sul colpo di scena che mi è piaciuto abbastanza. In generale non ho apprezzato molto il racconto e non mi è piaciuto molto neanche come l'hai scritto, ma forse è una questione stilistica e soggettiva. Per questo ho deciso di darti comunque un 7 perché riconosco un ragionamento, un senso dietro ogni parte del racconto.
Non mi ha preso la prima parte: troppe parole, troppe descrizioni e troppe sensazioni per una narrazione che avrei preferito più serrata. Invece mi è piaciuta l'idea di chiudere ogni azione con pensieri che scandiscono l'attimo: “Impossibile... E' follia. […] Sono ancora vivo. Scatto.”, nonostante non mi piaccia anche in questo caso lo stile.
Di solito non parlo mai di queste cose perché preferisco concentrarmi su altro e spesso neanche ci faccio caso, ma in questo racconto l'ho notato e avrei preferito una punteggiatura diversa, più incisiva. L'ho trovata poco in linea con il racconto, con le azioni, i movimenti. Anche gli “a capo” e la separazione dei paragrafi avresti potuto gestirli molto meglio.