"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)

U4-10: Il gigante

"A PONTRHYDYRUN" di marcoslug

– Preacher Evan... io...
Hank attacca con tono quasi supplichevole, gli occhi socchiusi in una fessura quasi filiforme, e, senza la dovuta discontinuità cromatica, l’alta fronte lentigginosa e le scarne gote sembrano un cielo noioso con tante piccole stelle. Le parole non escono, eppure il cuore divampa. Hank si slancia verso l’anziano Pastore, ma le gambe, le lunghe gambe, inciampano nel tavolo che li divide. Difficile controllarle sempre. Poi finalmente i maldestri sussulti trovano sbocco in uno sbilenco e liberatorio abbraccio. Bagnato da liberatorie lacrime.
– Io... io vorrei solo passare inosservato...
Inondato di liberatorie lacrime.
– Oh mio Hank, oh mio piccolo Hank... Il Signore ti ha dato questa natura. Devi accettarla, perché il Signore opera sempre a ragione. Devi... devi solo trovare il modo di assecondarla.
Preacher Evan si prodiga in rassicuranti e circolari discorsi, ciondolando la sua testa di cartapesta, ed anche le spesse mani, che tengono strette uno strano amuleto a forma di corvo, disegnano traiettorie confortevoli. Ma tutto il resto – le nude pareti del bugigattolo in cui si trovano e il tavolo scomposto e la grigia radura fuori – sembra dire tutt’altra cosa: triste e grama la vita del gigante.

A Pontrhydyrun, nella contea di Gwent, in un edificio marrone che sembra una casa, si trova il salone della signora Sheen, parrucchiera da una vita, vedova da tempo immemore. Non ha molto di che riempire la sua esistenza, la signora Sheen, a parte sua figlia Adeline, la sua bella e ossequiosa stella, e il lavoro al salone, che alla fine non va poi malaccio. Certo non si può fare affidamento sulla – come dire – esigua clientela locale, ma per fortuna c’è un buon numero di stranieri di passaggio, che giungono occasionalmente, si fermano, e poi ripartono. Più o meno. Gente – viaggiatori e viandanti – che decide sul momento di darsi una sistematina, attratta dal cartello verde-su-marrone “taglio di capelli per sole otto sterline”, che la signora Sheen ha maliziosamente piazzato accanto all’ingresso. Gente che non aveva detto ad altra gente – familiari e amici – che sarebbero andati a tagliarsi i capelli e che quindi nessuno verrebbe mai a cercare in un parrucchiere a Pontrhydyrun. Se mai dovessero sparire.

A Pontrhydyrun, nella contea di Gwent, in una fattoria sulla strada per Cwmbran, la Fattoria Bamford, lavora l’uomo più alto di tutto il Galles: Hank Carew. La Fattoria Bamford in realtà dovrebbe chiamarsi Fattoria Carew, perché Hank ne è il factotum, mentre invece il signor Bamford passa la quasi totalità del suo tempo orizzontale, a struggersi nel letto in preda ai remautismi e ai rimpianti, cercando di alleviare entrambi con fiumi di scotch. Hank si è specializzato come sheep shearer, cioè tosa pecore. Tante pecore che producono tanta resistente lana che va poi a finire nei cassettoni e nei guardaroba di mezzo Earls Court, sotto forma di abiti e coperte di tweed. Hank è bravissimo come tosatore. Con la sua stazza, prendere con la forza una pecora da ripulire gli rimane più o meno facile come per qualsiasi altro raccogliere una banconota per terra. E tenerla poi immobilizzata durante il taglio è altrettanto un gioco da ragazzi. Forse è questo che Preacher Evan intendeva con “devi assecondare la tua natura”, quando da bambino – ma non tanto meno alto di ora – gli parlò. Tosare pecore. E badare ai campi e agli altri animali. E non avere altra compagnia al di fuori di quella di un vecchio ubriacone. Triste e grama la vita del gigante.

A Pontrhydyrun, nella contea di Gwent, nei pressi di un bivio stradale, Alex indugia sul da farsi: tornare verso Newport per poi riprendere la strada di casa, oppure continuare ad addentrarsi nel profondo Galles? Alexander Dylan è un agente di commercio sulla trentina: sveglio quanta basta, ironia affilata, fascino british à la Tom Hiddleston – il viso scavato, la pelle quasi totalmente glabra. Per lavoro frequenta i ristoranti più lussuosi intorno a Hyde Park, ma durante la pausa-pranzo lo puoi benissimo trovare a bazzicare i tipici negozietti e pub intimo-vintage di Portobello Road. E nel weekend, quasi a volersi ancora più brutalmente staccare dalla frenetica e aristrocratica realtà quotidiana, ad Alex piace prendere il suo New Beetle bianco e guidare per due o tre ore verso ovest, senza una precisa meta. Alex indugia ancora ed è ora praticamente fermo in mezzo alla strada. Poi nota un cartello verde affisso su una casa marrone, lo legge, e decide che per poche sterline una rassettata ai capelli la si può pure dare.

Adeline, grazie a un piccolo specchio rotondo, mostra ad Alex la sfumatura dei capelli sul dietro, dispensando allo stesso tempo un abbondante sorriso. Abbondante come il décolleté che ha ben in mostra e che Alex ha a più riprese sbirciato. A.D.O. Acute Distrazioni Ormonali. La signora Sheen osserva a distanza la scena con un’espressione obliqua di approvazione: la sua stella ha fatto davvero un bel lavoro.
Lavoro quasi ultimato: Adeline scarta un rasoio a lama fissa, di quelli per eliminare i residui di peluria.
– Non occorre... – pigola timidamente Alex, emergendo dal carosello di tette e sorrisi.
– Sì sì, occorre... – ammonisce la signora Sheen, che lentamente si fa avanti.
La lama del rasoio lambisce il collo glabro di Alex.
– No davvero, non ho peli sul coll... ehi, attenta!
La lama del rasoio fa una pressione insistita sul collo glabro di Alex.
– E che cazzo, fermati!
Alex cerca di divincolarsi, ma la signora Sheen ha riflessi felini e, col bastone di una scopa, gli assesta un colpo secco. Poi, per mano di Adeline, la lama del rasoio va a recidere la vena giugulare esterna. Del collo glabro di Alex.

Dicono che i giganti abbiano un udito più sviluppato. O forse è solo che, vedendo e sentendo il mondo da un punto di vista differente, possono vedere meglio e sentire meglio cose che agli altri, ai normotipi, sono inaccessibili. È forse per questo che Hank, passando davanti alla casa marrone della signora Sheeen, durante una commissione per conto del signor Bamford – « un pacchetto di Benson & Hedges rosse e una bottiglia di scotch, ragazzo » –, riesce a sentire, dall’alto dei suoi due metri e ventitre, degli strani rumori filtrare attraverso un’intercapedine formatasi tra il muro della casa e la porta mal registrata. Rumori tipo grida; e calci e grugniti e braccia che si dimenano. Poi, dopo circa quindici secondi, la quiete. E dopo circa altri quindici secondi, il bagliore di un flash che trapela sempre dallo stesso alto pertugio.
La determinazione più convinta alle volte nasce da un’insensata scintilla d’irrazionalità. Hank, non sa perché, decide di sfondare la porta. Direttamente sfondare. Come quando il signor Bamford gli chiede di rimuovere un qualche cancello o una qualche staccionata, e allora lui, Hank il possente gigante - per non stare a svitare, smontare e sfilare - butta giù tutto. Basta una carica e la porta del salone crolla come un panetto di burro semi-sciolto. La scena che si presenta davanti agli occhi di Hank è tanto bizzarra quanto facilmente decifrabile. Un giovane è steso al suolo, ai piedi della sedia da taglio, riverso in una pozza di sangue; la signora Sheen e sua figlia parlottano e ridacchiano, scattando foto al cadavere.
Hank, per la stessa lucida e irrazionale determinazione di prima, brandisce le cesoie, sue fedeli compagne di lavoro, ma resta immobile. Le due donne, assorte nel trafficare attorno al povero Alex, non sembrano avvertire la sua presenza, né sembrano aver avvertito la sua rumorosa entrata in scena. Poi, dopo qualche secondo di rassicurante stasi, si accorgono di lui.
Adeline Sheen, alla vista del gigante, comincia a urlare – un ululato acuto e perforante –, quindi si lancia in una corsa senza senso, dritta verso Hank, come quei finti fantasmi col lenzuolo bianco addosso. Whooo. Hank resta fermo con le cesoie in mano, mentre quella ragazza-fantasma lo sta puntando a una velocità sempre maggiore, e ulula. Whooo. Le affilate lame delle cesoie di Hank, in realtà progettate a tutt’altro scopo, trafiggono l’addome di Adeline, all’altezza del fegato. Whooozoc. Fantasma allo spiedo. Hank estrae le cesoie dall’addome di Adeline, che, per il rinculo, fa una piroetta su se stessa. Poi finisce come un sacco di patate sul corpo di Alex, con le grandi tette a toccare l’uccello di Alex, che, se ancora fosse vivo, apprezzerebbe non poco. D.O.P. Distrazioni Ormonali Post-mortem.
Stavolta non passano i soliti secondi di silenzio, ma, alla morte della figlia, la signora Sheen caccia subito un urlo poderoso – un vizio di famiglia evidentemente. Un urlo che è più un lamento e che si fa poi ringhiare. La signora Sheen lasciare cadere la macchina fotografica, la rimpiazza con il primo paio di forbici trovate sul bancone, e, aumentando progressivamente l’intensità del ringhio, passa all’attacco di Hank, le forbici agitate di punta come fossero un paletto. Il palo di frassino da conficcare nel cuore del gigante. Zac, prima stilettata. Hank para il colpo, impattando l’arma della signora Sheen dall’alto verso il basso con le sue cesoie, nel tentativo di sradicarla dalle sue mani. Ma la vecchia non molla la presa.
– Non... non volevo... Si è suicidata...
– Sta’ zitto, mostro!
Un’altra stilettata, ancora più veemente; Hank para ancora il colpo. Il problema è la distanza dalla quale lo si porta. La signora Sheen decide allora di ridurla questa distanza e si avvinghia al gigante come un koala. Hank, con i suoi settanta centimetri abbondanti di differenza, è il grande e accogliente albero di eucalipto. La vecchia si avvinghia e morde e becchetta con la punta delle sue forbici. Hank, prima che il becchettio si faccia letale e lasci spazio a una stoccata definitiva, decide di prendere le contromisure, di usare i trucchi del mestiere. Afferra allora la signora Sheen per la cintola e la capovolge sottosopra; poi, stringe le sue gambe a immobilizzare il busto di lei. Esattamente come fa con le pecore durante la tosatura. Assecondare la natura, no? La signora Sheen accusa una perdita subitanea delle forze, le forbici le scivolano di mano. Poi ricomincia a ringhiare forte.
– Lasciami andare, mostro!
Con un colpo di reni sorprendente, la signora Sheen si riprende le forbici da terra e vibra una stoccata all’altezza delle caviglie di Hank. Che stavolta fa male.
– Tieni questo, mostro d’un gigante, e ancora quest...
Mostro. Gigante. Non c’è bisogno che sia tu a ricordarmi la mia natura, brutta vecchia, pensa Hank. Pensa, e stringe le sue cesoie, e con esse comincia a tagliuzzare la pelle della signora Sheen; prima solamente in superficie, poi affondando le lame. Tagliuzzare. Come fa con le pecore. Assecondando la sua natura. La signora Sheen ora non ringhia più, il suo singolare grido di battaglia si è trasformato in un continuo lamento, accompagnato cromaticamente dai rossi schizzi di sangue misto-polpa. E implora Hank, che però non ha alcun occhio e orecchio per lei. E che probabilmente non sente nemmeno gli ultimi rantoli di vita dell’agonizzante, e affettata, signora Sheen. Ma è felice. Hank, il gigante buono, amico delle pecore e fedele servitore del signor Bamford, che si è fatto cattivo, per seguire la propria natura. 
Il macabro balletto va avanti per un bel po’, dilatato dalla scoperta da parte di Hank di nuove e inaspettate pratiche di piacere, ospitando infine nuove e inaspettate considerazioni. Tipo: la carne cruda della signora Sheen ha un sapore acidulo ma tutto sommato gradevole.

A Pontrhydyrun, nella contea di Gwent, regna una calma piatta. Ma se tendi l’orecchio e provi a bucare il silenzio assordante della grigia radura, puoi sentire la voce gracchiante eppure chiara del corvo Bodbh, che senza sosta ripete la sua estenuante cantilena.
Triste e grama la vita del gigante.
Da sempre ignaro di come sia forte
Ma adesso è tutto più emozionante
Sapori vivi. Sapori di morte.

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