"DIALOGO TRA UN FILOSOFO E UN PESCATORE" di Wong Fei Hung
L'uomo camminava mestamente lungo la costa attica, presso Eleusi. Lo sguardo perso e la schiena curva indicavano un animo deluso, pareva uno spettro che s'aggirasse in cerca di qualche vittima da tormentare. La notte stava ancora governando su di un giorno che prometteva cielo limpido e brezza primaverile.
Aveva con sè un sacco vuoto che si trascinava appresso, lasciando una sottile scia sul terreno; le povere vesti mostravano la sua umile condizione.
I pescatori della zona lo guardavano con disinteresse, intenti a preparare le piccole imbarcazioni in tempo per la prima luce del giorno. Ignoravano che quello sconosciuto viandante fosse uno di loro.
Il giovane uomo si dirigeva verso la grande metropoli attica, la dotta e ricca Atene. Da lì avrebbe poi superato il porto del Pireo, per arrivare infine al suo rifugio sulla costa, antistante la piccola isola di Egina. Egli apparteneva alla categoria dei paralii, gli abitanti della costa.
In breve tempo il primo sole si affacciò a scaldare la terra sotto i suoi calzari, mentre in lontananza poteva già notare l'oscura sagoma dell'acropoli ateniese.
"Eppure, nessuno si è preoccupato di me quando la grande guerra ci ha portato via casa e barca. La grande e potente Atene con la sua Lega navale...solo il potere vogliono! E il sangue dei poveri onesti!" pensò l'uomo in un impeto di passione.
Ma a poco valeva scaldarsi tanto: gli dèi avevano parlato, il suo destino era scritto.
Il suo sguardo tornò a fissare stancamente la confusa linea dell'orizzonte, dove il grande disco dorato ricordava agli uomini la loro miseria e piccolezza.
Avvicinandosi al centro politico ed economico dell'Ellade il pescatore osservava l'opulenza di Atene sotto forma di un fiume di persone in movimento, e il sangue ribolliva nelle sue vene.
L'ultima invasione dei barbari aveva distrutto la sua casa, ma non aveva rimpianti per questo. Quella fu l'epoca in cui gli elleni si erano uniti, divenendo parte di una stessa civiltà la cui esistenza era stata minacciata dalle infinite armate del potente tiranno persiano.
Il sacrificio era stato grande, la vittoria memorabile.
Non scorderà mai quei giorni lontani in cui il padre aiutava gli ateniesi ad evacuare verso Egina. Il grande Temistocle aveva deciso di sgombrare la città, seguendo il consiglio di un oracolo che gli aveva parlato di una possibile "salvezza entro mura di legno". Era stato anche il legno della barca di suo padre a salvare decine di cittadini ateniesi dal terribile attacco delle truppe di Serse.
Un altro oracolo pendeva ora sul capo del povero pescatore, un'oscuro presagio senz'ombra di salvezza che colmava il suo cuore di timore e rabbia.
Imprecò contro il suo destino infame. Quasi a ricordargli l'onnipresenza degli dèi, un'improvvisa folata di vento rubò il sacco dalla sua presa distratta lanciandolo verso il centro del sentiero. Finì dritto in faccia ad un sacerdote di Apollo che stava transitando.
Il pescatore si affrettò a scusarsi, liberando il religioso dall'impolverato disturbo. Questi afferrò il sacco e guardò l'uomo con aria irata, puntandogli l'indice verso il naso.
-Stà attento a dove cammini, tu che intralci il passo agli officianti del dio! Allontanati, prima che la freccia poderosa ti stramazzi al suolo- recitò il sacerdote.
Il malcapitato esitò qualche istante, stupito della sua sfacciata sfortuna.
L'altro stava per inveire ulteriormente, ma fu interrotto da una voce chiara e suadente che proveniva dalle spalle dell'accusato.
-Parli della freccia scagliata dal potente arco del dio che servi? Pensi davvero che il grande Febo, che ci illumina con la sua luce, si disturbi per un sacco di tela portato dal vento?-
Il sacerdote rimase impietrito, col braccio sospeso a mezz'aria. Fissò con disprezzo il suo nuovo interlocutore.
-Suvvia, grande sacerdote, non abusare del favore che il dio ti accorda per avvilire la vita altrui. So che la tua sapienza è grande, faccene dono mostrandoti gentile-
Così incastrato tra la giusta osservazione e il complimento, l'accusatore non potè far altro che cedere.
Si rassestò le vesti, porgendo egli stesso il sacco vuoto al legittimo proprietario.
-Prendi, e conservalo con cura. Che la luce di Apollo ti guidi e ti protegga sul tuo distratto cammino- disse, allontandosi mentre fissava sospettoso il nuovo arrivato.
Il pescatore si voltò, riavutosi dallo spavento, trovandosi di fronte un uomo gracile e brutto, dall'aspetto quasi selvaggio. La tunica bianca lasciava intravedere un corpo abbronzato e peloso, che reggeva una testa barbuta dai tratti sgradevoli.
Eppure il sorriso era mite e benevolo, lo sguardo attento e pieno di vita.
-Grazie...- riuscì a dire, cercando di non mostrarsi troppo sorpreso.
-Prego. Hai l'aria di chi ha preso una batosta, posso offrirti un cordiale ristoro? Siamo poco distanti dalla mia casa, il tempo di scambiare qualche parola-
Il pescatore rimase fermo qualche istante, avrebbe voluto scappare e tornare in fretta da sua moglie. Ma c'era qualcosa in quell'uomo che gli trasmetteva sicurezza: una sorta di calma, nel dire e nel fare, che pareva avvolgerlo di un'aura benigna.
Acconsentì d'istinto, affiancandosi allo sgraziato salvatore.
-Vieni, ti mostro la strada-
I due uomini camminavano in mezzo ad un vero e proprio cantiere all'opera. Dopo la vittoria sui persiani Pericle in persona aveva infatti avviato una serie di maestose opere pubbliche, come le nuove mura che stavano sorgendo davanti ai loro occhi.
-Atene vive il suo successo, eppure noto che non tutti gli ateniesi sono soddisfatti. Allora dimmi, cos'è che ti affligge?- chiese il suo ospite.
Il pescatore non era ancora del tutto convinto, ma il peso che portava dentro rischiava di farlo impazzire. Sentiva il bisogno di aprire il suo cuore a qualcuno. Si fermò all'ombra fresca di un grande albero, ai piedi di una collina.
-Mi hai incontrato sulla via del ritorno dall'oracolo delfico, dove mi sono recato per avere consiglio e guida: in cambio ho ricevuto invece previsioni terribili-
-Vuoi dirmi cosa ti ha detto l'oracolo? Io non sono un sacerdote e nemmeno un indovino, ma penso che gli oracoli siano sempre ambigui ed ognuno li interpreta secondo la predisposizione dell'animo suo-
-Devi sapere che sono pescatore, figlio di un pescatore. Subisco ancora gli effetti della guerra e non so come risollevare le nostre sorti. Mio padre diede tutto alla causa di noi ellenici, ma ne lui ne io abbiamo ancora ricevuto la giusta ricompensa-
-Il tempo corrompe il ricordo delle grandi gesta, come la ricchezza corrompe l'uomo retto. Eppure so che Pericle si sta battendo per dividere equamente l'immenso bottino. Abbi fede in lui e in ciò che ti dico-
L'uomo sospirò tristemente guardando il cielo, urlando al vento la sua impotenza.
-Perché, Zeus Eleuterio? Perché ci hai condannati ad un misero destino?-
-Non rivolgerti a chi non può sentirti. Se un dio ti ha parlato dalla bocca della Pizia, il suo dovere è svolto. Ricorda cosa dice la scritta nel tempio di Apollo, che per me vale più di ogni altro oracolo: oh uomo, conosci te stesso e conoscerai l'universo degli dèi-
-Allora se dici questo, ascolta cosa mi è successo e poi valuta la mia triste situazione. Ho pagato la tariffa salata e mi hanno condotto all'interno del tempio. Sono stato nella stanza attigua a quella interna, in cui la Pizia parlava nell'estasi della rivelazione, avvolta dai fumi esalati dal fondo della terra. Tanti altri erano con me in trepidante attesa, ma ben pochi hanno colto, attraverso le spesse pareti, il messaggio. Quasi tutti han dovuto attendere l'interpetazione dei sacerdoti di Apollo. Dopo qualche ora uno di essi mi è venuto incontro dicendomi gravemente: "Non sfidare la fortuna. Sacrifica un capro al mese, per tanti mesi quanti sono gli anni del tuo figlio maschio. Se non lo fai, non osare tornare a chiedere, tu ingrato, il consiglio di Febo. Vattene ora"-
L'altro se ne stette in silenzio, attendendo paziente l'immancabile proseguo.
-Ma come faccio a sacrificare capri se non ne dispongo? E non avendo ancora un primogenito, son forse destinato alla disgrazia? Me misero! Forse è meglio non tornare a casa, il triste fato perseguiterà me lasciando intatti mia moglie e la creatura che porta nel grembo!-
L'uomo gli offrì allora un pezzo di pane preso dalla saccoccia, e iniziò a parlare col suo fare pacato.
-La mia dimora è poco distante, ma non voglio esaurire le tue deboli energie. Ascolta: gli dèi hanno un loro modo di esprimersi ed agire nel nostro mondo, tale che l'uomo non può conoscere. Coloro che cercano di capire il mistero di tutte le cose fanno azione vana e superba-
-Ma il dio mi ha chiesto un sacrificio che io non posso dargli!- piagnucolò l'uomo, tra un morso e l'altro.
-Tu hai sentito la voce del dio? O piuttosto quella del sacerdote? Non hai tu ammesso di non aver udito chiaramente le parole della Pizia? Non essere sciocco, amico mio-
Parve che il giovane fosse ristorato dalle parole del saggio di fronte a lui. Perchè saggio e colto quell'uomo pareva essere. Come il pane gli riempì in parte lo stomaco, così il discorso riportò nella sua anima una parvenza di pace.
"Che sia un essere divino? Il suo aspetto ricorda quello di un satiro, i selvaggi officianti dei riti bacchici..."
-Non fissarmi a quel modo, son conscio della mia bruttezza. Và oltre l'aspetto, cogli la giustezza di ciò che dico. L'uomo può solo prendere atto di ciò che gli accade intorno e capire come comportarsi nel modo migliore. Questa è la virtù. Il nostro campo di azione è il nostro stesso limite, come dice la scritta sul tempio: conoscere sè stessi significa essere in armonia con gli altri e con l'universo-
-Non offenderti, ti stavo fissando per un dubbio mio proprio. Ciò che dici è giusto e mi rincuora, ma il sussurro del dio pare accompagnarmi lungo il cammino...-
-Allora tappati le orecchie, oppure canta con allegria. Non dico di non essere turbato, dico di esserlo per motivi più concreti. Hai mai ricevuto risposta alle tue preghiere? Hai mai ricevuto un segnale davvero forte della presenza di un dio ai tuoi sacrifici? Pensaci-
Il giovane si rese conto della banale realtà che l'uomo gli prospettava. Era come se il semplice discorso di uno sconosciuto avesse creato un abisso incolmabile tra la sua quotidianità e quell'Olimpo che aveva sempre temuto, ma quasi mai percepito realmente.
-Gli dèi vivono in un mondo loro, lontano dal nostro. Il vero errore l'hai fatto tu, portando le poche ricchezze che avevi per ascoltare un sacerdote che chissà cosa ha sentito; te lo dimostra il fatto di non avere figli maschi, può anche essere che quelle parole fossero destinate ad altri. I sacerdoti si spacciano per onnisapienti e custodi di verità, io dico che spesso sono colti ma mai sono saggi: la vera saggezza è l'esser consci della propria ignoranza, e cercare di ridurla il più possibile nell'arco della vita. Non paragoniamoci agli dèi onnipotenti, siamo solo uomini-
-Oh saggio amico, quanta verità in ciò che dici! Te ne prego, dimmi cosa fare...-
-Io ti posso solo indicare la strada, sta a te percorrerla con decisione e coraggio. Ascolta: segui la tua ragione e null'altro, ch'essa è la vera scintilla divina che si trova in noi. In questo modo gli dèi ci parlano davvero, grazie alla nostra facoltà di discernere. Te lo ripeto, giovane pescatore: conosci te stesso, e capirai cosa fare per il bene tuo e dei tuoi. Lascia ai presuntuosi le grandi verità, vivi sereno e sii virtuoso-
Il pescatore si alzò con piglio serio, mosso da nuova forza. Tese il braccio verso il saggio ancora seduto, lo aiutò ad alzarsi e gli strinse la gracile mano tra le sue.
-In tale subbuglio di emozioni non ho nemmeno avuto l'accortezza di presentarmi. Sono Milziade, in onore del grande generale. E ti ringrazio di tutto-
-Grazie a te per l'esperienza che mi hai trasmesso. Sono Socrate, e ti saluto-