"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)
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ARGOMENTO: [#4] Il Dilemma

[#4] Il Dilemma 11/06/2010 05:32 #119

Periodo: Febbraio - Marzo 2008

Numero partecipanti: 9
Hic-sunt-leones
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Qui hante la tempête et se rit de l'archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l'empêchent de marcher."

Re: [#4] Il Dilemma 13/07/2010 08:47 #245

Il Dilemma di Hic-sunt-leones

Tano si accomodò sul divano. Più che accomodarsi si lasciò sprofondare sull’elegante superficie di pelle nera, morbida e liscia, ma fredda. Lui era già là, fisso, immobile, ad osservarlo inquisitore, con quello sguardo insostenibile e accusatore. Tano quasi sussultò per l’inaspettato incontro. Si sentì agghiacciare internamente, a stento trattenne un urlo squarciante, rinchiuso e ricacciato nella sua gola, nella sua pancia, da ormai troppo tempo. Un urlo sopito, che mai riusciva a sfondare le pareti che lo bloccavano, per trovare libero sfogo nell’aria e potersi diffondere con veemenza tutt’intorno, invadendo lo spazio con velocità e violenza.
Quella stessa violenza di cui Tano si era reso protagonista, e che lo tormentava, e che Lui non gli perdonava. Adesso Lui era là, di fronte a Tano, implacabile. E Tano lo temeva.

Tano… Ma in fondo non era tutta colpa sua? Non era forse il protagonista delle azioni che compiva e delle conseguenze che queste comportavano? Del resto era sempre stato il suo problema, la sua condanna: scoppi di violenza improvvisa, brutale, quasi senza segnali che potessero far presagire la furia che di lì a poco avrebbe creato danni irrimediabili, con una forza d’urto capace di squassare, come quella di un’onda anomala, in grado di aggredire l’entroterra e distruggere tutte le cose e gli ostacoli che si fossero sovrapposti durante il suo impetuoso cammino. Poi però l’onda, dopo essersi abbattuta con furia distruttrice sulle cose, rifluiva, tornava nel suo alveo, si placava, lasciando un panorama di devastazione tutto intorno.
Anche Tano si sentiva come quell’onda, finito l’eccesso si placava, ma ormai era tardi, il danno era stato fatto: attorno solo desolazione e solitudine, e Lui. Lui lo perseguitava, come un’ombra, non lo giustificava per quello che aveva fatto, mai lo avrebbe assolto, e Tano non riusciva a darsene pace. Questo era il suo dilemma. Scoppi di violenza irrefrenabili, irreparabili. E poi… poi il nulla, l’abbattimento, il rimorso, un sentimento misto a tristezza e rabbia, per quello che aveva fatto, per quello che non era riuscito a fare, per l’incapacità a frenarsi, a trattenere quell’istinto bestiale, ancestrale, che lo teneva in scacco.
Non era come per la sua voce: quella era sua, era dentro di lui ed era sua, la governava, riusciva a tenerla dentro, a volte a fatica, ma la controllava, così come dominava le urla di odio e furore che più volte avrebbero voluto prorompere dalla sua bocca, irrorando la lingua, le gengive e i denti di rabbiose onde sonore, da troppo a lungo imprigionate nei suoi recessi più oscuri. L’orrore che provava invece a essere sottomesso a quella furia distruttrice sempre proveniente da dentro di lui, ma che usciva da lui impossessandosi dei suoi movimenti e dei suoi gesti, come se fosse a se stante, esterna a lui e indipendenta da lui e dalla sua volontà, lo atterriva, lo lacerava, ne era vinto. E soccombeva. E allora arrivava l’onda anomala, irrefrenabile e cieca. Gli aveva rovinato la vita. Non ce la faceva più.

E come se non bastasse, Lui era là ora, a provocarlo, a incalzarlo, a giudicarlo fino nei più intimi recessi dell’anima, come se solo Lui potesse capire e conoscere Tano, le sue emozioni, i suoi sentimenti, perfino le sue debolezze e le falle del suo Ego. Maledetto, schifoso, subdolo, odioso e odiato. Rieccola la furia… Tano si sforzò di resistere stavolta, ci provò, ma ne fu completamente travolto.

Afferrò la pistola appoggiata sul divano alla sua destra e… tentò un ultimo disperato tentativo di resistere: si puntò la pistola alla tempia, guardando Lui negli occhi, per sfidarlo, per dimostrargli che non aveva paura, che forse avrebbe potuto vincere questa volta. Tano, la Furia. Fu fulmineo. Dalla tempia puntò la canna della pistola dritta in faccia a Lui, e sparò. Sparò sparò sparò sparò sparò e ancora sparò. Svuotò l’intero caricatore. Ma non bastò. Lui lo guardava ancora. Tano si alzò, lo raggiunse e lo prese a pugni. Sferrò pugni all’impazzata, fino a quando riuscì a non vedergli più gli occhi, la faccia.

Aveva le mani rosse di sangue, spaccate, tagliate, lacerate, devastate. Si lasciò infine cadere in ginocchio, esausto, in mezzo a ciò che rimaneva dello specchio frantumato.
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Re: [#4] Il Dilemma 13/07/2010 08:48 #246

Il Dilemma di icarothelight

Dalla prima lettera

Perché dovrei accettare?
Perché è una cosa importante. Fidati.
Certo sì come l’altra volta.
L’altra volta è successo esattamente quello che volevo. Niente di ciò che (ti) è accaduto, è successo per caso. Ormai dovresti conoscermi bene.
E’ proprio perché ti conosco bene, che non voglio più farlo.
Pensa a quante persone sono coinvolte. Pensa che potrebbe finalmente rivelarsi la volta buona. Mio padre diceva sempre “Tutto si può mangiare persino il pane!”.
Già la fai facile tu.Non sei tu ad esporti. Sai questa storia mi mette i brividi. E sono certo che anche stavolta non hai tutto sotto controllo.
Cosa te lo fa pensare?
Il fatto che tu stia cercando di convincermi che non ho ragione… il fatto che l’esperienza è un barattolo da aprire nei momenti che contano e che tu stia cercando d’impedirmelo in continuazione. Ma come credi possa sentirmi? Ho già avuto la mia dose d’infelicità, perché vuoi farmi ancora questo?
Perché credo sia importante, te l’ho già detto. E questa volta sarà diverso. Di questo sono sicuro.
Cosa ti fa essere così sicuro?
Quando la smetterai con le domande e comincerai ad usare la testa lo capirai facilmente.
L’unica cosa che capisco è che non potrà essere peggio dell’ultima volta.
(Questo lo spero tanto… lo spero tanto.)

Dalla seconda lettera


Una goccia sù. Sù in alto… sorride. Plana come fosse innaturale e disegna la guancia a cui cede il cuore. Un’altra la raggiunge dopo poco e un’altra ancora. Il vento si fà più fitto e comincia a decorare con le foglie l’inverno appena alle porte. La cascata di pioggia raggiunge la stanza senza tetto e la cantilena del suo ticchettìo è opera buona, partitura per l’attesa.
Loro si guardano. E’ un intenso minuto implorante. Sessanta secondi che si fondono nell’aria di chiuso in quella stanza impossibile.
Entrambi alzano gli occhi e come alberi assetati allargano rami a fendere il vento. Il ragazzo guarda l’uomo e sa già che non potrà far altro che dar dolore a qualcuno. Come un uomo senza braccia che si mette a scavare, inclina il volto in una smorfia che dice quello che già intuiva.
L’uomo gli accenna un sorriso con le mani e sa che non vedrà più quel volto già adulto seppur così lindo. La tempesta che l’investe è un quadro impazzito che non smette di sanguinare. Il vortice li sorprende come tutte le volte ed insetti armoniosi disegnano traiettorie: grosse fette di melone nell’oscurità. Piccoli e grandi cancelli si offrono annegando nell’erba che scende e sale come, come un gesto sublime. Punto d’inizio, apertura per la fine. Ed ultimo, il silenzio rotto dal pianto ed è subito un’altra melodia sdentata. Piccoli baci di pochi millimetri.

Dalla terza lettera

Come credi succederà?
Come? Che domande sono?
Sì, insomma sarà davvero così come tutti dicono? O per noi sarà diverso?
Noi siamo diversi. Non sarà come tutti dicono.
Hai ragione, come sempre.
Io non vedo l’ora e tu?
Io la vedo ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo.
Come lo chiameremo?
Credo che questo non stia a noi deciderlo, ma sono certo che sarà un bellissimo nome.
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Re: [#4] Il Dilemma 13/07/2010 08:49 #247

Il Dilemma di Mike975

Il fattaccio accadde proprio davanti ai miei occhi e mi resi immeddiatamente conto delle conseguenze.
Subito mi sentii pervaso da una gioia mista a brividi e paura , tanta paura…non era la prima volta che succedeva ma ora era diverso , psicologicamente dannoso.
Da me dipendeva la sorte di tutte quelle persone ,e a tante di queste volevo un gran bene.
In un attimo mi ritrovai bambino ,felice e scatenato correre incontro alla natura festosa che mi abbracciava , il profumo della
ritrovata primavera , la nebbiolina dell’inizio autunno che amica tra amici permetteva di nasconderci per scansare il “giro completo”,e le tante volte sotto la pioggia…ora pioveva…
Lo scroscio delle goccioline insistenti mi colava addosso mascherando le mie sensazioni e mi impregnava della sua pesantezza; da una ferita a rivoli scendeva poi copiosa mistasangue la metafora del giorno corrente,un fluire doloroso e risolutore.
Mi avevano fatto del male ma non percepivo il dolore , piuttosto avvertivo la cattiveria delle persone che in quel momento avrebbero voluto mettersi tra me e lui ,l’ultimo ostacolo che ora davanti si ergeva come una montagna invalicabile…ma non potevano fare niente oramai se non sperare in lui, l’ultimo mattone della loro linea Maginot.
In realta’ la mia percezione del “pericolo” in quel momento non era attendibile , le mie speranze erano sicuramente piu’ alte e in tanti lo sapevano.
Lo sapevano i volti atterriti poco distanti da me, che non riuscivo a distinguere ma avrei potuto disegnare uno per uno tanto la mia esperienza era provata;infinite volte ero stato uno di loro ( ma non di “loro”) e per quanto in quel momento riempivano l’aria di alte frequenze, vibrazioni in risonanza che stonavano con il cupo battito del mio cuore, ero sicuro che avrebbero voluto essere al mio posto.
Non si puo’ dire la stessa cosa degli altri, la mezzaluna incolore della mia parte e la mia famiglia…. per me in quel momento stavano pregando ognuno il suo Dio…avresti un momento? gli avrebbero chiesto vergognandosi.
La stanchezza si faceva pressante ed il momento stava arrivando , saranno passati secondi o minuti non ricordo, una vita intera davanti agli occhi, attimi come vignette da sfogliare lentamente.
Con evidente astio li vedo attorno al loro becchino, che non per colpa sua li aveva avviliti;respinti tutti con colori variabili e colorite frasi ,suvvia era stato cosi’ palese….poi il momento.
Lo guardavo impassibile, sapevo cosa stava provando e immaginavo il suo sudore freddo mischiato alla pioggia ,ma in fin dei conti ,avevo io piu’ da perdere.
Procrastinato fino all’ultimo ora dovevo affrontare l’annoso dilemma e in fretta dovevo decidere…destra, sinistra, centro e non solo.
Il colosso davanti a me aveva lo stesso diverso dilemma.
Oddio c’e’ anche chi non decide proprio, aspetta e come va va…ma io non l’avevo mai fatto…avrei potuto iniziare in quel momento?Certe cose si premeditano , si ponderano ,si studiano e io avevo fatto ogni cosa…
Confesso ora che e’ quasi inutile, in tali situazioni saltano le consuete regole e le variabili sono infinite, restringerle con l’abnegazione della perseveranza diventa impresa difficile.
Un passo …il dilemma…due passi…il dilemma…tre passi…ora o mai piu’…scelta fatta
Il tempo alle volte sembra arrancare lento, farraginoso e il pallone ci mise un eternita’;da quando calciai riuscii ad alzare il capo fradicio ed osservare alla moviola il movimento della sfera che placida superava la linea bianca rotolando ad un passo dal guanto dilatato del portiere.
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Re: [#4] Il Dilemma 13/07/2010 08:50 #248

Il Dilemma di Mago977

Seduto su una roccia spigolosa e scomoda come i pensieri che passavano nella mia mente veloci e disordinati, iniziai a riflettere, cercando di riordinare quel traffico caotico che non mi dava la possibilità di un giudizio lucido ed obiettivo.
Iniziai a mettere in fila quanto fin’ora mi era accaduto con l’intento di trovare qualche risposta ai molti perché.
Niente! tutto inutile, solo un’assordante rumore che distorceva le mie percezioni.
- BASTA!!
Dovevo fare assolutamente qualcosa.
- ci vuole un’idea -, ecco!, farò finta di parlare ad un pubblico e dall’alto del palcoscenico, sotto questo accecante riflettore, farò ordine, mi aprirò completamente, mettendo a nudo i miei pensieri, le mie paure e le mie aspettative, facendo finalmente ordine dentro me.
Mi concentro.
Respiro profondamente ad occhi chiusi, l’ambiente circostante si ammutolisce e l’unica cosa che mi accompagna in questo viaggio, in questo esperimento è il rumore del mare e la brezza leggera che mi sfiora il viso cullando i miei sensi.
Dal buio non odo più il vociare, la mia platea è lì, muta e attenta; improvvisamente un fascio di luce mi avvolge e capisco che è il momento di iniziare; un altro bel respiro e…….
“Spiegare l’amore, questo sentimento tanto strano quanto affascinante, la natura dell’essere umano è sicuramente molto complessa, difficile da comprendere e da decifrare, ma come una qualsiasi formula della matematica, ha una serie di regole fisse e variabili che se applicate con una certa logica ti portano sicuramente alla soluzione. Ma quando entra in gioco l’amore tutte queste regole, questi punti fissi che ne regolano l’andamento saltano e questo perché? Credo che la risposta sia una sola “reazione a catena”, una reazione tanto devastante da far saltare ogni regola, ogni certezza trasformando le regole in una serie interminabile di variabili che giorno per giorno, attimo per attimo si moltiplicano facendo in modo da eliminare ogni possibile soluzione.
L’amore… è sicuramente una cosa pericolosa, non bisogna osservare solamente l’aspetto piacevole, quello da “film”, non ci si può soffermare solamente su quello, altrimenti ci troveremmo a vedere tutto in rosa, tutto perfetto, un mondo fatto di baci, intensi sguardi e frasi che servono solo a regalare un momentaneo stato di appagamento interiore, un qualcosa da mostrare agli occhi degli altri per dire “guarda sto bene, sono felice, ricevo qualcosa di meraviglioso che solo io posso provare ed assaporare”. Ecco dove sta l’errore, proprio nel soffermarci solo su questo, scartando a priori tutti gli impliciti disagi che porta, non pensare, ma nei momenti difficili questo sentimento come si trasformerà?, cosa mi farà provare? e come mi dovrò comportare? Capisco che queste sono domande difficili da porsi e ancor più difficile è assegnargli una qualsiasi risposta, ecco il motivo per il quale questo sentimento mi suscita tali pensieri e convinzioni. Non ci si può abbandonare ad una insormontabile montagna di dubbi ed incertezze, soprattutto se pensiamo che il sentimento chiamato amore ti condiziona inesorabilmente la vita ripercuotendosi sulla tua esistenza presente e futura anche nel momento in cui si decide di abbandonarlo. Poi un giorno ci si ritrova a scrivere al computer o a parlare ad un pubblico, cercando di alleggerire quel soffocante peso che l’amore è diventato sul tuo cuore, che ti opprime i pensieri, cercando di riflettere su un più vasto spettro di aspetti che compongono questo sentimento in modo da non trovarsi un giorno a combattere contro fantasmi sconosciuti, o meglio prepararsi a quella battaglia.Con questo non dico che non bisogna innamorarsi, anzi se il nostro essere ne sente il bisogno gli si deve dare certamente sfogo,sto dicendo che ci si dovrebbe comportare come quando si va in un autosalone a comperare una macchina usata, attenti a controllare i minimi particolari, far girare un po’ il motore e sentire se funziona bene, come dire, essere dubbiosi al primo approccio e sicuramente valutare bene il prezzo da pagare. Sì perché spesso si cade nell’errore di farsi rapire delle piacevoli emozioni, che soprattutto all’inizio, l’amore ci regala, poi, magari dopo qualche tempo, tanto o poco che sia ci ritroviamo a piedi su un’autostrada deserta. A questo punto dopo aver parlato delle catastrofiche conseguenze sentimentali dovute al sentimento chiamato Amore, dopo avervi fatto riflettere su quanto detto, parole giuste o sbagliate, voglio spezzare una lancia a favore dell’Amore, ma voglio parlare di quel tipo di Amore visto in modo differente dal puro significato della parola che troviamo sul vocabolario o che anni di cinema ci hanno fatto vedere come la favola della principessa ed il principe azzurro, parlo di godere essenzialmente e reciprocamente della vita quotidiana con un’altra persona, senza tirare fuori percezioni extrasensoriali o immaginari collegamenti mentali tra due persone che devono essere per forza nati per stare insieme, queste cose lasciamole a quei film che ci hanno sempre proposto esempi da seguire o che ci hanno condizionato facendoci perdere il senso del reale, proiettandoci in una realtà virtuale dove automaticamente la fantasia trasforma le false illusioni in pensieri e convinzioni, distogliendoci totalmente dai problemi e dalle difficoltà che il quotidiano ci pone davanti e che in quei film non vengono rappresentati o se fatto con soluzioni sempre facili e a portata di mano. L’amore è un’altra cosa, non deve essere per forza un sentimento, un qualcosa da dover sentire a tutti i costi dentro il nostro cuore, nello stomaco o in qualsiasi altra parte del nostro corpo. Io credo che l’amore debba essere una convinzione, ovvero il crearsi uno stato mentale tale da dover dire, voglio passare la mia vita insieme ad un’altra persona e pertanto voglio trascorrere questo tempo a cercare di capire il più possibile di essa, non ci si può solamente affidare alle sensazioni, ma bisogna procedere con cautela e con i dati di fatto. Purtroppo questi si hanno solo con il passare del tempo, nel quale si valutano i molteplici comportamenti che l’altra persona tira fuori nelle varie occasioni che si presentano, e non solo, anche i svariati aspetti del suo e del proprio carattere, perché non confondiamoci non sto parlando di trasformare un rapporto in un processo lungo una vita, dove dover giudicare un’altra persona; sto semplicemente parlando di prendere coscienza sulla natura della persona con la quale decidiamo di intraprendere questo viaggio. Basti pensare a noi stessi, quante volte in determinati momenti e situazioni abbiamo pensato, accidenti non mi credevo capace di questa reazione o semplicemente rimaniamo stupiti di un qualcosa che fino a quel momento non era mai uscito da noi. Con questo cosa voglio dire, che se decidiamo di amare una persona e decidiamo di tentare di farlo per tutta la vita, nel modo in cui vi sto dicendo, dobbiamo pensare che nella nostra vita non riusciremo mai a comprendere totalmente la nostra di natura e non dobbiamo illuderci di poter conoscere quella di un altro. Quindi, come si può vedere l’amore non porta mai ad una soluzione o ad una risposta nelle domande che ci poniamo in materia di esso. A questo punto vi starete chiedendo, ma allora cosa ci vuol dire? Dove sono le risposte? Che strada prendere? Quello che vi posso dire è che le risposte probabilmente non le ha e non le avrà mai nessuno in questo contesto, è come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina. Questa mia riflessione è solamente uno spunto per poter ragionare profondamente su una cosa talmente tanto pubblicizzata che ci porta ad una ostinata ricerca, seguendo quei canoni che ci impongono gli scrittori, i sceneggiatori o chiunque parli dell’amor. Io vi dico di valutare, come in ogni cosa, tutti i pro ed i contro e di ragionare più volte su tutte le possibili conseguenze delle nostre azioni. E se il vostro desiderio è quello di avere una persona al vostro fianco che vi segua e che ha voglia di essere seguita nel difficile percorso che è la vita, beh! Allora ben venga, ma se vi dovete tuffare in un mare in tempesta solo perché credete che quello che avete davanti è l’Amore allora preparati ad affrontare il più duro ed interminabile viaggio a bordo di una zattera in un mare in tempesta. Non siate mai affrettati nel giudicare i vostri sentimenti e nel dargli più o meno importanza di quanto magari ancora non ne abbia, è vero che l’essere umano è dotato dell’istinto, ma sopra ogni cosa deve prevaricare la ragione, solo con quella sarete consapevoli di quello che state facendo.
Nella mia vita ho avuto diverse occasioni dove poter mettere in atto questo ragionamento, ma purtroppo non essendomi mai soffermato a rifletterci ho subito tutte le conseguenze di quelle azioni avventate e poco ragionate, trovandomi sempre di fronte l’amara verità, ovvero, che mi ero sbagliato. Ora che ho preso coscienza di quanto male mi stavo facendo, ostinandomi nel comportarmi da attore in un film costruito dalla mia mente e ambientato nella mia vita, ho cominciato a riflettere e considerare tutti i miei errori per cercare di farne sempre meno. Consapevole di questo ora mi ritrovo a vivere una vita piena di continue e piacevoli scoperte accanto ad una persona forte della quale ne vado fiero, con la quale mi sto appassionando giorno per giorno nello scoprire cose nuove, aspetti sia positivi che negativi, sia io di lei che lei di me, come ad esempio quando si legge un bel libro dove un’avvincente storia ti tiene col fiato sospeso, pagina per pagina, ricca di colpi di scena, che ti attrae a tal punto da non vedere l’ora di girare pagina e scoprire quello che la seguente nasconde. Però, solo all’ultima pagina potrò dare risposta al più grande interrogativo – La fine sarà lieta o amara? –“.
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Re: [#4] Il Dilemma 13/07/2010 08:51 #249

Il Dilemma di Marionettista

La Medea era in viaggio da più di cento anni.
Nulla di quello che la componeva in origine era rimasto intatto. Ne le paratie, ne le componenti interne. Come le componenti computerizzate anche l’equipaggio era stato sostituito nel corso del tempo, poiché tutti i corsi di preparazione avevano durata quinquennale, sia per i sottoufficiali che per gli ufficiali.
Nessuno la chiamava più con il suo nome d’origine, perché con l’andare del tempo tutti avevano preso a chiamarla con lo stesso nome della nave scuola ammiraglia: Medea.
Lei era cosciente che sul pianeta spesso era oggetto di pessime battute e che tutti, quando non erano costretti a chiamarla Comandante, la schernivano chiamandola così. Non vi faceva caso comunque, perché lo considerava uno dei tanti difetti degli uomini da correggere durante il periodo formativo che l’accademia concedeva loro sulla nave.
Medea tentava di elaborare una soluzione mentre lo spazio scorreva di fronte ai suoi occhi verdi come trifogli. Sentiva gli sguardi dietro le spalle mentre le voltava al ponte di comando ed a tutti i suoi attendenti. L’universo, stretto nella parete trasparente, le sembrava non potersi più allargare tanto velocemente quanto l’uomo poteva esplorarlo.
Nonostante l’età era bellissima. Sapeva che questo l’aiutava ad esercitare il potere sul prossimo, assieme alla sua superiore capacità fisica ed intellettuale. Queste conoscenze la mettevano in grado di capire che, soprattutto in situazioni come quella in cui era, non era il caso di evidenziarle.
Si girò quindi lentamente, accennando un sorriso che seguisse il movimento fluido del corpo perfetto:
“Il punto della situazione, Colonnello?”
La domanda era retorica; lei conosceva molto meglio dei presenti lo stato dei fatti, ma voleva che tutti, compresi i docenti che aveva fatto collegare tramite olovideo, avessero un quadro il più completo possibile. Semplicemente erano stati attaccati. Un gruppo antimilitarista era riuscito ad introdursi tra i quasi duemila cadetti ammessi ai corsi e prima di essere efficacemente fermato, era riuscito a bloccare i motori di stabilizzazione della nave nei pressi dell’Orbita di Treiner. Senza di questi la Medea non avrebbe potuto evitare di entrare nella sua atmosfera accartocciandosi come un foglio di carta.
Il Colonnello Baysen era un uomo che amava prendersi i suoi spazi anche in momenti dove il tempo era un lusso e si soffermò su molti inutili dettagli, prendendo per il rapporto molto più tempo di quello che il buonsenso gli avrebbe concesso.
Il Maggiore tecnico Trikew si sentì in dovere di aggiungere con foga che il tempo era troppo esiguo per le riparazioni. Nel farlo sbatté con energia il pugno sul piano di orientamento cannoni. Era ancora pienamente in se, rilevò, con quel modello di braccio bionico avrebbe potuto schiacciarlo invece di far solo rumore.
Soggiunse di nuovo con più gentilezza:
“Soluzioni diverse da quelle proposte da Sasha?”
Sasha, il computer centrale, era giunto alle sue medesime conclusioni. Ascoltò quindi le proposte che erano state in precedenza elaborate dal collegio docente e poi dagli ufficiali.
Non proferì giudizi in merito, se non per scartare quelle che avrebbero avuto meno del 33% di probabilità di riuscita: voleva che riuscissero ad andare oltre le sue valutazioni, sentendosi liberi dalla disciplina e dalla soggezione. Lei non avrebbe potuto autorizzarne nessuna comunque, perché nessuna aveva più del 42,7% di probabilità di riuscita. Era sicura di aver considerato tutte le varianti di calcolo, comprese tutte le incognite rappresentate da lei e dai soggetti convocati.
Come salvare la nave, quindi, senza mettere in pericolo l’equipaggio ed i cadetti?

Mentre Sasha disponeva in proiezioni tridimensionali le quattro soluzioni più probabili al centro della sala, guardò tutte le persone presenti.
Quelle persone non valutavano tutte le possibilità, la prendevano in giro, creavano il nuovo e non elaboravano il presente o i dati storici, ma tre delle quattro soluzioni erano frutto del loro operato ed in qualche maniera si sentì fiera di loro. Ora sapeva esattamente cosa fare.
Trikew soggiunse con una nota di preoccupazione nella voce:
“Comandante su quale di queste possibilità possiamo concentrare i nostri sforzi?”
Con passo elegante Medea arrivò alla console centrale, si sedette sulla Poltrona di comando ed accavallò sensualmente le gambe mentre osservava le proiezioni:
“Primo Ufficiale prenda il comando, so che sarà in grado di guidare al meglio l’ammiraglia”
Fece il più seducente dei suoi sorrisi; poi si disattivò.
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Re: [#4] Il Dilemma 13/07/2010 08:52 #250

Il Dilemma di marcoslug

Dicono che i film siano buoni solo per mangiarci sopra i popcorn e per farsi, se è il caso, quattro risate, o alternativamente quattro lacrime; io invece credo che a pillole un qualche barlume di realtà, e – come dire – fruibilità, vi sia; che qualche spezzone cinematografico possa essere la trasposizione, magari più epica, di uno stralcio di vita vissuta.
Immaginatevi la scena: rapina ad una banca di Manhattan, una a piacere, piano studiato nei minimi particolari, tutto sembra andare liscio, e poi, puntuale come da dozzinale copione, l’imprevisto (un impiegato che sprezzante del pericolo dà l’allarme, un poliziotto in borghese tra gli ostaggi…). Panico tra i rapinatori, rumore di sirene spiegate che si fa sempre più forte, fuggi fuggi generale. Tu sei con il sacco farcito di dollari sonanti, gli altri complici in posizioni più sfavorevoli, qualcuno già a tiro dell’addetto alla security. E allora il dilemma si insinua maligno sottopelle: fuggire con il malloppo senza curarsi delle conseguenze o adoperarsi per il bene della squadra? Non è, come può sembrare in prima analisi, la contrapposizione tra egoismo e solidarietà. Dipende da quanto è prezioso per te il malloppo. Dipende anche dal fascino che esercita su di te la fuga.
Per farvi capire in quale rapina sia stato coinvolto e che cosa rappresenti per me il malloppo, devo tornare indietro di qualche settimana, fino ai giorni felici di Ventotene, quando ancora eravamo un’allegra combriccola di amici in vacanza: io, Luna, Paolo e Giangi.

Quella di passare una settimana nell’isola di Ventotene era stata per noi, amici universitari per caso, una scelta impulsiva, nata nello spazio di una mezz’ora e approvata nello spazio di una sigaretta, quasi una normale conseguenza del nostro quotidiano stare insieme. E si era rivelata una scelta vincente, giorni di indimenticabile quiete e tensioni emotive in rapido fluire: era la nostra rapina a New York, il nostro colpo perfetto, noi pronti a trafugare un reperto di inestimabile valore.Visti dal di fuori sembravamo quattro creature asessuate, ognuna tesa verso le altre con uguale forza; Luna, gemma tra le gemme, dispensava sorrisi e slanci di benevolenza in modo democratico. Almeno fino a quella inaspettata ultima sera.
La veranda del terrazzo faceva su e giù per via di una sottile brezza, cullandoci nel dopocena in quello che avevamo ribattezzato il momento-sorbetto, dolce rito propiziatorio prima della consueta uscita serale. Attorno all’ovale tavolo di plastica c’eravamo io, Luna e Paolo; Giangi era in camera, probabilmente a combattere con il doposole e l’abbronzatura irregolare.
- Io… credo di dovervi rendere partecipi di una cosa – attacca Luna.
- Ah sì? – rintuzzo soprappensiero io, lasciandomi scivolare in bocca un cucchiaio del gustoso dessert.
- Sì… io… io comincio a vedervi in maniera diversa.
- Che cazzo stai dicendo, Luna? – Paolo.
- Lasciala continuare – io.
- Io… io credo di provare qualcosa per te, Marco, qualcosa di più delle nostre attenzioni da amici speciali; mi capite, no?
- Che diavolo dici, Luna? – io.
- Bastardo, tu sapevi tutto… – ringhia forte Paolo – tu… voi… mi fate schifo!
- No, guarda, io sono all’oscuro…

Neanche il tempo di mettere in piedi una difesa d’ufficio che mi arriva un dritto terrificante in pieno mento, che, credetemi, è un qualcosa di più tangibile di un gruppo di pattuglie a sirene spiegate. La testa che rotea senza controllo, il sapore di sangue in bocca, i miei due amici che continuano a dibattere animatamente.
Dopo alcuni giorni di riposo e dopo decine di euro spese in chiamate senza via di uscita, eccomi qua. Luna è sdraiata accanto a me semivestita, o forse sarebbe meglio dire seminuda.
Credevo che la promiscuità, il mero contatto fisico, mi sarebbe stata d’aiuto a sciogliere il dilemma, ma mi sbagliavo. Ci voleva Sir Paul McCartney, con il suo moderato trasporto e gli eterei archi in accompagno, ad elevarmi ad una dimensione superiore, dove tutto si riduce a poliedri rotanti che si possono afferrare e che racchiudono frammenti di preziosa conoscenza. Sì, il vecchio caro Mecca c’è riuscito.
Una volta c’era una strada che conduceva dritta versa casa; ora quella strada non c’è più. Ciò che ho davanti agli occhi in questo momento è un sentiero in salita contornato di edera profumata e di fastidiosi rovi. Io percorrerò quel sentiero, con il sorriso innocente e il cuore colmo di timidi rimorsi. Io scapperò con il malloppo.

Golden slumbers fill your eyes
Smiles awake you when you rise
Sleep pretty darling do not cry
And I will sing a lullabye
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Re: [#4] Il Dilemma 13/07/2010 08:53 #251

Il Dilemma di Litos

Pioveva forte, quasi ininterrottamente, da tutto il pomeriggio. Rigagnoli di smog solcavano le strade come lacrime su un volto rugoso. Qualche tombino gorgogliava, ingombro di foglie. Alcuni passanti frettolosi cercavano riparo sotto ombrelli troppo piccoli per l’acquazzone. Una madre cercava disperatamente di risparmiare al figlio, nel passeggino, l’accanimento del temporale. Invano.
Continuavo a guardarli indifferente, cambiando in continuazione stazione radio, dando qualche colpo di tergicristallo per non perdermi quella scena grottesca e commovente. Stava tutta curva in avanti, povera donna, cercando allo stesso tempo di dare protezione e velocità alla carrozzina. Sudava, ne ero sicuro, e già pensava alla febbre del piccolo, che in fondo in fondo doveva essere divertito dalla pioggia, dagli schizzi, dalla concitazione della madre. Con sommo sforzo, la donna attraversò correndo la strada, zuppa, issò il passeggino sul marciapiede e scomparve sgocciolando dietro l’angolo.
Non c’era un cazzo alla radio, non passava più nessuno per strada. Mi accesi una sigaretta e aprii appena il finestrino, lasciando entrare un po’ di tempesta nell’auto. Aspirai, cambiai di nuovo stazione, aspirai un’altra volta.
Perché dovevo stare lì sotto ad aspettare? Era quasi mezz’ora che Giulia era salita a casa sua.
Mi cambio e arrivo…
Erano quasi due settimane che alla passione e alla voglia di sesso si erano sostituiti la noia e un monotono senso del dovere.
Va bene tesoro…
Agivo come un automa. Lavoro, casa, cenetta, letto. Tutti i giorni. Sempre uguali. La sua faccia sorridente, pacata, con quegli occhi così grandi e luminosi, non riusciva più a coinvolgermi. Mi sentivo avvolgere nella gommapiuma dell’abitudine, della monotonia, del tran tran quotiniano, come si dice. Ma ero giovane, pieno di ormone, di vita, di curiosità, perché dovevo già permettere che il mio destino si intrecciasse a quello di un’altra persona?
Certo, una cosa la sapevo, non avrei mai avuto il coraggio di guardarla negli occhi – in quegli occhi! – e dirle quello che da un po’ di tempo mi passava per la testa. C’era una parte di me che continuava a fremere, laggiù in fondo, che mi costringeva a rimanere accanto a quella donna che sentivo troppo stretta per la mia voglia d’indipendenza e improvvisazione quotidiana.
Un lampo squarciò il cielo, o forse soltanto la mia mente. Gettai il mozzicone, chiusi il finestrino. Me ne sarei andato, subito, da bravo stronzo quale tutti mi dicevano di essere. Poi una telefonata, due parole di circostanza, non avrei dovuto affrontare il peso del suo sguardo e sarei ripiombato nel mio lieto egoismo senza patemi e senza morale.
Misi in moto freneticamente.
La portierà si aprì: “Amore eccomi! Sei telepatico? Andiamo!”
“Già, amore. Ti sento col cuore. Non potrei mai vivere senza di te”.
Svanimmo nella pioggia.
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Re: [#4] Il Dilemma 13/07/2010 08:54 #252

Il Dilemma di maxmara

La sveglia alle prime luci del mattino è una taglia in meno nei pantaloni, è il maglione che ci piace tanto ma che è indossato dal fratellino. E’ qualcosa che va stretto. La sveglia che suona alle 8 del sabato mattina è un colpo che fa più male, come la pioggia nel giorno del compleanno. Se suona a casa di Ilenia, però, è un pugno che si può stoppare.
Giuliano era a casa di Ilenia da giovedì sera, quando aveva cenato con la ragazza e i genitori. Poi avevano guardato un film di Buster Keaton, di quelli che piacevano tanto a lui e che facevano addormentare lei. La spalla di Giuliano era più morbida di un cuscino di piume d’oca. Erano rimasti svegli fino a mezzanotte e poi erano andati a letto. Giuliano aveva già passato notti fuori casa, notti da amici e notti da ragazze, ma non aveva mai detto ai genitori “dormo dalla mia ragazza”, non aveva mai salutato tutti i componenti di una famiglia che non fosse la sua prima di coricarsi. Si era già svegliato di mattina a fianco di amici, amiche, ragazze che conosceva da tanto e donne che la sera prima sembravano proprio un’altra persona. Non si era mai svegliato però come il primo venerdì mattina insieme a Ilenia. Quasi come nel migliore dei sogni, aveva sentito una mano calda appoggiarsi sul suo fianco. Aveva alzato la testa e aveva visto il delicato viso di Ilenia sfiorargli la spalla con le labbra. Aveva ancora i segni del cuscino sulle gote e le palpebre aperte a fatica. C’erano ragazze che con quelle righe sulla faccia sembravano uscite da un libro di Stephen King o da una rete da pescatore: lei no. Era più bella assonnata che di sera.
“Sei più bella di mattina che di sera!” aveva mugugnato con la roca voce del buongiorno.
“Scemo! Ma vedi che faccia ho? Mi sono pentita di averti invitato a dormire qui… Vado in bagno, ti lascio riposare ancora 5 minuti!”
Giuliano aveva il brutto vizio di lasciare sempre un piccolo intervallo di tempo tra il suo mondo incantato, quello bello e placido della notte, e il drammatico mondo del giorno, quando ogni oggetto sembra costruito con ruote e motore per spingerti a correre. Ilenia lo sapeva. Dopo la loro prima notte sotto lo stesso tetto sapeva già come trattarlo. Dopo i 5 minuti di semi-incoscienza concessi a Giuliano, Ilenia si presentò di fianco a lui con un bel vassoio per la colazione. Caffè, latte, succo d’arancia e dolci di vario tipo. Stupito da questo risveglio da cinema, si era stropicciato gli occhi per rendersi conto che si trattava davvero di una colazione preparata dalla sua ragazza per lui. Gli mancavano queste attenzioni, soprattutto per il fatto che ne nessuno gliele aveva mai concesse. Il venerdì la giornata cominciò davvero nel modo migliore. Era proprio questo ciò che Giuliano amava della sua ragazza: lo stupiva continuamente. Riusciva sempre a fare la cosa giusta nel momento giusto, era impeccabile nei suoi gesti. La stimava davvero, perché lui spesso non si sentiva in grado di fare certe cose e non sfruttava le sue intuizioni: Ilenia no, Ilenia si buttava in ogni situazione e non sbagliava mai. Averla al fianco era la miglior garanzia possibile.
“Sei la mia polizza vita, lo sai?”
“Scemo… mangia va!”
Era stato un inizio di giornata strepitoso e la giornata di lì in poi fu tutta in discesa. Arrivata la sera, uscirono a cena e poi andarono anche in discoteca insieme, come facevano molto raramente. Sfruttarono al meglio questi 3 giorni insieme.

E’ proprio per questo che Giuliano quel sabato mattina non brontolò al suono della sveglia alle 8. Tanto sapeva di trovare Ilenia al suo fianco. Aperti gli occhi però, vide solo il lenzuolo alla sua destra. Convinto che lei si trovasse in cucina a preparargli di nuovo la colazione, per la prima volta negli ultimi mesi pensò che forse anche lei è una che si può catalogare in fretta, che prende subito delle abitudini.

Non che farsi portare la colazione a letto lo disturbasse: semplicemente, fare per 2 giorni consecutivi la stessa cosa non era da lei. Incuriosito proprio da quest’ultimo pensiero, si sollevò a sedere sul letto. Si stirò grugnendo e, con adeguata delicatezza, si alzò in piedi. Camminò stancamente fino alla cucina e lì, in bella vista sul tavolo, vide un lungo biglietto con la calligrafia di Ilenia.
“Ciao scemotto!
Lo sai quanto ti voglio bene vero?!
E’ proprio per questo che ho insistito tanto per farti rimanere qui da me per questi 3 giorni: volevo dimostrarti che tu sei unico. L’unico a cui conceda di entrare in casa mia, l’unico a cui conceda di stare sempre al mio fianco, l’unico a cui conceda di conoscermi così bene. Sei unico e basta. Quando penso a te rido sempre, se sono triste mi riempi il cuore.
Rido quando penso a quel compleanno e a quanto mi avevano incuriosito i tuoi discorsi.
Rido quando penso alle uscite che ci siamo concessi in questo periodo e alle facce buffe che fai quando non hai ancora guardato un menù e il cameriere ti chiede cosa vuoi.
Rido quando penso al fatto che io e te ci eravamo già visti a 4 anni e i nostri genitori erano amici da decenni.
Rido quando penso a loro da giovani: chissà quante canne si sono fatti insieme; chissà se quando i miei hanno concepito me, o viceversa, erano usciti da poco tutti insieme?
Rido quando penso a come passa veloce il tempo: allora erano giovani loro, adesso lo siamo noi.
Hai paura delle ragazze che scappano, lo so bene… se ti dico che mi piacerebbe invecchiare con te ti spaventi altrettanto?
Ti starai chiedendo perché ti scrivo tutto questo, proprio io che sono così diversa da te.
Io che chiedo sempre, mentre tu rispondi.
Io che in ogni cosa che capita mi butto, mentre tu pensi e aspetti.
Io che mi lancio mentre tu ti freni.
Io che parlo mentre tu scrivi.
Questa volta scrivo io perché parto.
E’ per questo che volevo che capissi in questi 3 giorni quanto ci tengo a te, perché rimarrò lontana per 6 mesi. Lo so che potevo dirtelo prima, ma io nei momenti dei saluti non mi ci vedo. Parlo tanto ma la bella parola finale non mi viene mai, forse mi emozionerei e sembrerebbe una cosa triste.
Ti dico solo che sono via con mio padre e che ti scriverò per spiegarti meglio il tutto. Ci rivedremo e spero di trovarti ancora così, come sei ora.
Il fato è che ora ci stiamo avvicinando così tanto che mi sento soffocare, e anche se vivere insieme a te è quello che voglio, ho paura.
Ho paura di ferirmi, ho paura che qualcosa possa non andare.
Ho paura e non voglio averne, voglio che tra 6 mesi sia tutto come deve.
La mia prima lettera ti arriverà presto, “dont uorri”.
A presto Scemotto.
In bocca al lupo per i progetti che hai in corso.
Tua
Ile”


Ci sono parole che piacciono alla gente perché danno un senso di grandeur.
Si rimane basiti quando una barzelletta fa schifo.
Si rimane basiti quando il conto del ristorante è troppo salato, ma si rimane basiti anche quando si spende meno del previsto.
Si rimane basiti quando Trezeguet fa gol al 92esimo.
Si rimane basiti quando al telegiornale danno la solita notizia gonfiata di drammaticità.
Giuliano al termine di quella lettura era basito veramente.
Non si riusciva a spiegare perché lei gli avesse nascosto tutto: va bene la sorpresa, ma c’erano dei programmi, nell’immediato futuro. Ilenia gli aveva sempre detto di si sapendo che se ne sarebbe andata, gli aveva detto che sarebbe stata al suo fianco nel momento del bisogno sapendo che non sarebbe stato possibile. Mollò un pugno al muro e pensò alle giornate che lo aspettavano. Pensò al concorso a cui doveva partecipare. Lei gli aveva promesso che sarebbe stata là con lui, a tenergli la mano e dargli forza.

Pensò al matrimonio di sua sorella. Lei gli aveva promesso che sarebbe stata là con lui, che lo avrebbe accompagnato. Pensò a quante cose dovevano fare insieme, e a quante invece ne avrebbe fatte da solo.
Giuliano sapeva di essere paranoico, lo era sempre stato. Tanto brillante e divertente in pubblico, quanto solo e imbronciato nel privato. Gli ultimi mesi avevano nascosto in parte la sua solitudine latente, che emerge ascoltando canzoni, rispolverando ricordi, scrivendo, o semplicemente vivendo.
Gli piace a volte chiudersi in camera con la chitarra, suonare solo due accordi e poi stendersi a guardare il soffitto.
Gli piace leggere e lasciarsi trasportare dalle pagine, dirsi “leggo solo per una ventina di minuti” e accorgersi che è passata quasi tutta la notte.
Gli piace correre da solo sulla riva del fiume. Senza cellulare. Senza nessuno. Solo con il lettore mp3. Pensa che se rimanesse steso lì, al buio nella campagna, nessuno lo troverebbe.
Si chiede a volte se morire con la musica nelle orecchie sia più bello; si convince quasi che sia meglio aiutare il destino, meglio a 30 anni con la musica che a 90 in ospedale.
James Dean non sarebbe James Dean se fosse morto a 90 anni.
Se lo stava chiedendo anche quel sabato mattina.
Poi pensò di nuovo a Ilenia.
E tutto questo non aveva più senso.
Tornò nel letto che fino a poche ore prima aveva diviso con lei.
Si riaddormentò.
Non era colpa sua.
Era vittima del dilemma del Porcospino: se due porcospini si avvicinano troppo, gli aculei di uno potrebbero ferire l’altro.
Giuliano e Ilenia in quel momento erano porcospini: vicinissimi per scaldarsi a vicenda ma troppo pensierosi per non farsi del male.
Dormì tanto, la sognò e il risveglio non fu poi così traumatico.
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Re: [#4] Il Dilemma 13/07/2010 08:55 #253

Il Dilemma di simcam

Ci arrampicammo su per la montagna. Piante e arbusti coprivano completamente il vecchio sentiero dove si riconoscevano a malapena alcune mie orme lasciate qualche tempo prima. Il medico che mi seguiva, seppure più giovane di me di parecchi anni, respirava a fatica e si lamentava continuamente del sentiero impervio. Continuava a rinfacciarmi la follia di questa impresa e di non avermi chiesto più soldi per l’avermi accompagnato.
In un’altra occasione l’avrei pestato a sangue e strangolato con il suo stesso stetoscopio, ma ora avevo più che mai bisogno del suo aiuto, così gli allungavo la mano ogni volta che inciampava per il sentiero e portavo il suo zaino quando vedevo la fatica diventargli insostenibile.
Non mi era facile ritrovare la strada, la pioggia del giorno prima aveva confuso i segnali che avevo lasciato in precedenza; qualche pezzo di stoffa legato ad un ramo mi rassicurava di tanto in tanto, ma a volte passavano anche ore prima di ritrovarne un altro. Ovviamente dovevo dire al mio compagno di viaggio che sapevo benissimo da che parte stavamo andando e che saremmo arrivati di lì a poco. In realtà sarebbe arrivato in breve tempo il momento in cui avrei dovuto usare la forza per costringerlo ad andare avanti.

«È da stamattina che camminiamo! Tra poco verrà buio, è una follia continuare!», mi gridò, piantando i piedi a terra come un bambino.
«Siamo quasi arrivati, non possiamo fermarci proprio ora».
«Me l’ha già ripetuto troppe volte! Se continuiamo così finiremo per ammazzarci, proprio come probabilmente sarà già…». C’erano due o tre tasti che quell’imbecille non avrebbe dovuto toccare per non farmi perdere la pazienza, e lui li stava premendo bene bene come neanche un bravo pianista sarebbe riuscito a fare.
Gli presi la testa e gliela infilai tra le ortiche. Solo quando cominciò a piangere dal dolore lo tirai fuori da lì. Gli bagnai la faccia e gli rispiegai la situazione.
Io dovevo portarlo là in cima. Avevo bisogno di lui e nessun altro poteva accompagnarmi. Nessun altro doveva sapere da dove venivo, sebbene in molti, giù in paese, mi avevano guardato strano quando arrivai, completamente distrutto, nel cuore della notte. Il giovane dottore smidollato era la mia unica speranza di mantenere la promessa fatta e ogni minuto che passava poteva rendere inutile tutta quella fatica.
A quel punto il dottore capì che non ero un tipo predisposto alla trattativa e smise di chiedermi delle pause o più soldi, ma cominciò ad ansimare rumorosamente, come per farmi intendere tutto il suo disappunto.
Quando la luce fu ormai troppo poca per continuare, ci fermammo in una piccola radura. Mangiammo qualcosa e il dottore si addormentò quasi subito. Gli legai la caviglia al mio polso e cercai di dormire.

Siamo nascosti qui da due giorni. Abbiamo ridotto i movimenti al minimo per non farci vedere. D’altra parte ci sarebbe quasi impossibile muoverci liberamente sulla cime di questo dirupo. Controlliamo ogni movimento che avviene nella villa più in basso. Lui mi sta affianco e annota ogni parola. Sappiamo cosa fanno e a che ora la fanno. Sappiamo che sta per arrivare e che batteranno la zona con gli elicotteri. Ma noi saremo come fantasmi e non sapranno mai niente di noi.
Sento il terreno cedere di sotto. Scivolo giù per alcuni metri ma riesco ad aggrapparmi a delle rocce. Lui non lo riesco a vedere. Mi sporgo di sotto e lo vedo più in basso. È in una posizione innaturale, come un burattino gettato a terra. Gli dico di tenere duro.

Sentii il filo legato al polso tirare. Diedi uno strattone e l’uomo cascò per terra, cominciando a imprecare contro di me. Gli dissi che ora sapevo da che parte andare e che saremmo arrivati tra poco.
Camminammo ancora un paio di ore. Non mancava più molto, ma la strada era impervia e la salita ci rallentava. A pochi metri metri dalla cima ritrovai il suo corpo. Si era spostato per cercare riparo ma alla fine non ce l’aveva fatta. Il mio compagno, l’unico amico che avessi potuto avere con questo lavoro del cazzo, era morto.
Cominciai a piangere, seduto su una roccia. Non ero riuscito a mantenere la promessa.
«Ho fatto tutto il possibile, lo capisci? Ho dovuto scegliere tra aiutare il mio compagno o portare a termine la missione. E non sono riuscito in nessuna delle due!».
Il giovane dottore si chinò sul corpo senza vita del mio compagno.
«Anche se fossimo arrivati ieri non ci sarebbe stato niente da fare. Le ferite erano troppo gravi. Ma di che missione sta parlando?»
Gli indicai la valle sotto di noi.
«La villa del presidente! Volevate uccidere il presidente?”.
Raccolsi le ultime forze per prendere la pistola dallo zaino e gli sparai. Era tempo di andare.
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