"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)
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ARGOMENTO: [#9] Insonnia (racconti)

[#9] Insonnia (racconti) 01/05/2013 02:44 #8446

Avete mai subìto la tortura dell'insonnia, quando si avverte ogni istante della notte, quando esistete solo voi al mondo, e il vostro dramma diventa il più importante della storia, di una storia ormai svuotata di senso, e che neppure più esiste, giacché sentite levarsi in voi le fiamme più spaventose, e la vostra esistenza vi appare come unica e sola in un mondo nato soltanto per portare a termine la vostra agonia? (Emil Cioran)

Insonnia è il nono tema di questa quarta edizione di UniVersi.
C'è tempo fino al 30 Giugno 2013 (compreso) per postare i propri elaborati.
Ricordo che è ammesso un solo racconto per autore.
Se al 30 Giugn0 non ci saranno almeno 6 racconti in gara, il termine ultimo sarà prorogato al 15 Luglio.
Se al 15 Luglio non ci saranno almeno 6 racconti in gara, il termine definitivo e improrogabile sarà portato al 31 Luglio.
I racconti vanno postati in forma anonima (gli autori saranno svelati a fine concorso, dopo le votazioni) effettuando il login con l'account "Titivillus", password "universi".
Ricordatevi di controllare il numero di caratteri prima di postare. I racconti che supereranno i 12000 caratteri (spazi compresi) saranno considerati fuori concorso (il titolo non conta).
NB: per ragioni ancora da chiarire, probabilmente dovuti alla formattazione di caratteri speciali e di punteggiatura, il conteggio dei caratteri differisce di poco a seconda di dove viene effettuato. A tale scopo fa fede il conteggio effettuato sui racconti una volta postati in questo thread. NON dalla schermata di scrittura in "crea/modifica messaggio" e NON direttamente da Word prima di averlo copiato qui.
Ricordatevi anche di postare un sottotitolo per la vostra opera.

Cosa succede? Perchè continuate a girarvi e rigirarvi nel letto senza pace? Non riuscite a dormire? Sapete bene cosa vi tiene svegli, conoscete quell'impulso che non riuscite a sopprimere. C'è solo un modo per ritrovare il sonno: alzatevi dal letto e sfruttate la notte in maniera proficua. Iniziate a scrivere finchè non crollerete esausti sulla tastiera, non prima di averci regalato le vostre cronache dall'Insonnia.

REGOLAMENTO COMPLETO


RACCONTI IN GARA
  1. Viaggi divergenti (11415)
  2. La routine (5469)
  3. La legge di Murphy sul sonno (7814)
  4. Ingenue domande (4228)
  5. Asino chi scrive (6504)
  6. La terza donna (12016)
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"Le Poète est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l'archer;
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Ses ailes de géant l'empêchent de marcher."
Ultima modifica: 16/07/2013 04:33 Da White Lord.
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Re: [#9] Insonnia (racconti) 18/05/2013 20:04 #8545

VIAGGI DIVERGENTI

Prato, Piazza Stazione Centrale, ore 20:30
« Babbo, ma sei sicuro? »
« Vai libera, Fede! Gliel’ho detto a i’ Nardini. »
« E...? »
« E non c’è alcun problema! Sai quanti favori i’ Nardini mi deve... »
« Ok, dai. Bacio! »
« Ciao, bimba! Oh, mi raccomando, occhi aperti! »
« Ma babbo, così mi spaventi! »
Federica: ventitre anni, un corpo agile e spigoloso ma generoso laddove c’è da essere generosi, una frangetta indisciplinata, un senso della giustizia pari solo a quello dell’avventura e del sapersi arrangiare. Sale sul pullman, dopo aver depositato con cura la borsa-weekend nel vano portabagli. Il conducente, il signor Nardini, è intento a bere un caffè con piglio gravoso, come se si trattasse di un’operazione delicatissima, ma, non appena vede Federica entrare, si scioglie in un amichevole sorriso e le fa un occhiolino d’approvazione. Federica, ancora non del tutto rimosso l’imbarazzo, si guarda in giro in cerca di un posto libero. Mille occhi la incrociano ma senza guardarla: occhi spenti, stanchi per il tanto lavoro – probabilmente intensificato di recente per potersi permettere quel viaggio –, occhi preventivamente malinconici, per un ritorno che sanno essere temporaneo e al quale seguirà un nuovo lungo periodo di lontananza. Che idea bislacca... andare a Parigi prendendo un pullman per Kiev! Ma d’altronde, quando i soldi scarseggiano e si decide all’ultimo di viaggiare, qualcosa bisogna pur inventarsi.
« Babbo, vado a Parigi questo weekend. »
« Bimba, sai che non io non ho tanti soldi da... »
« Ho trovato un volo della Ryanair a quindici euro! »
« Ma è fantastico! »
« ... con partenza da Bratislava. »
« Ah. E come pensi di andarci? »
« Ecco, mi chiedevo, voi, inteso come la compagnia per cui lavori, non fate viaggi in pullman per l’Europa dell’est? »
« Sì, Prato-Kiev, passando per Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia... »
« E non è che mi potreste dare, come dire, uno strappino? »
« Beh, effettivamente a Bratislava ci passiamo proprio... »
« Ti amo, ti amo babbo! »

Parigi, Gare Montparnasse, ore 23:50
Trovare un parcheggio a Parigi è un’impresa titanica e Niccolò si sente più o meno come si deve essere sentito Ercole dove aver inseguito il toro per tutta Creta; e averlo catturato vivo. Aspetta il suo compagno di covoiturage. Si è iscritto al sito il giorno prima e, in meno di ventiquattr’ore, ha trovato un compagno di viaggio con cui dividere le spese. Meglio di niente, no? Il telefono squilla: è mamma.
« Nicco, tuttobéne? », incalza subito mamma Paola con il suo accento tosco-barese.
« Sì sì mamma, tutto bene. »
« E dove sei? »
« A Parigi, ad aspettare il tipo del covoiturage. »
« Del cosa? Ah sì... Mai sei sicuro? Viaggiare di notte... »
« Sì mamma... »
« Un viaggio lungo... »
« Mamma, io devo farlo. »
« E non ti importa del lavoro? »
« No, è tutto ok, ho fatto sapere al ristorante... »
« E non ti importa di viaggiare con uno sconosciuto? »
« Mamma... »
« E non ti importa di me e papà che stiamo in pensiero? »
« Mamma, non me ne frega una sega! »
Quando ci vuole ci vuole.
Eccolo che arriva, R. Boitard: un tipo cicciotello, quasi calvo, dall’aria sveglia.
« Bonjour, vous êtes Niccolò? »
« Oui, c’est moi. »
« Ronan, enchanté. »
« Monta su, dai! »

Autostrada A2 (Süd Autobahn), nei pressi di Gleisdorf, ore 6:45
Colazione con Teofania, simpatica polacca dai capelli violacei: “menu carinziano” per lei – cioè praticamente tutto: uova, speck, formaggi... –, begel e caffè per Federica. Caffè... come se ci fosse bisogno di stare svegli, dopo aver passato una notte insonne, a fissare le gocce di pioggia sul finestrino e a sentire la voce monocorde dell’auto-elettasi guida Svetlana – una russa sulla sessantina – snocciolare i nomi delle varie località. Bologna zdes'. Padova zdes'. Udine zdes'.
« ... ed è dura lavorare in Italia, come... come...? »
Teofania scoppia in una risata indulgente.
« Ma guarda che non tutte le donne dell’est fanno le badanti! »
E via a raccontare del fatto che lei è una critica d’arte, venuta a Firenze per trattare alcune opere per conto della galleria d’arte contemporanea di Katowice. Che vive per un terzo del tempo in Toscana, per un terzo in Polonia, e per un terzo a New York. Che il suo compagno è un imprenditore brianzolo. Che... Federica si perde nel racconto, perché in realtà ha la testa a Parigi, a Lui, alle passeggiate fatte con lui nel quartiere del Marais... E poi Montmartre, Parc Monceau, e giù fino all’Arco di Trionfo se le gambe reggono.
« E tu invece stai andando da lui, vero? »

Annecy, centre ville, ore 7:30
« C’est bon ici? »
Ronan emette uno “oui” appena comprensibile, con la bocca ancora impastata dal sonno. Ha dormito tutto il tempo il “tipo dall’aria sveglia”. « Meglio così », pensa Niccolò, « almeno non si è reso conto che ho messo Midnight City degli M83 tipo otto volte. ». La canzone ideale quando dai del tu alla notte e non vuoi o non puoi dormire. Ronan fa dei gesti non molto coordinati con le mani, per spiegare come riprendere l’autostrada.
« Et merci, hein! »
Grazie a te, Ronan, sei stato un compagnone. Niccolò riparte, affidandosi più all’istinto che ai gesti di Ronan. C’è molto legno in Alta Savoia! Dev’essere l’influenza svizzera. Persiane in legno, staccionate in legno, casottini in legno che compaiono qua e là... E il pensiero corre alla porta di casa di Lei, una semplice porta blindata rivestita in legno – rivestimento “modello Tolosa” per la precisione –, che lei non ha mai amato e ha ricoperto con qualsiasi cosa, trovando ogni pretesto possibile per appendervi oggetti di ogni sorta: un panciuto babbo natale sotto le feste, una colomba-peluche a Pasqua, un sole in ceramica gigantesco durante tutta l’estate... oltre alle varie ghirlande di base.
« Ma è una porta, non una bacheca! »
« Ma non mi piace! »
« Ma tuo padre c’ha speso una fortuna! »
« Ma mi mette ansia il legno, così, nudo! »
Ma dovresti venire ad Annecy allora.

Bratislava, Aeroporto Milan Rastislav Štefánik, ore 10:15
Federica ha lasciato la Compagnia dell’Est, ha preso l’autobus dalla stazione di Bratislava – seguendo le preziose indicazioni della tuttologa Teofania –, ed ora si trova con largo anticipo all’aeroporto. Se non fosse un po’ lunghetta, ci sarebbe da indicarla alle agenzie di viaggio come soluzione low-cost: Prato-Parigi passando da Bratislava. Non ha sonno, solo un po’ la testa che le rimbomba. È stanca, quello sì, d’altronde è partita la sera prima dopo una giornata di intera di corsi all’università; ma in un viaggio la propensione a dormire è inversamente proporzionale alla distanza che ti separa dalla meta. E soprattutto proporzionale a quanto quella meta la desideri. A Federica piace quando ha tempo, perché di solito è di corsa. E allora prende a fare quelle cose che, di solito, non ha il tempo di fare: aggiustare la data sull’orologio, passarsi il lucidalabbra, cancellare qualche messaggio e contatto sul telefonino. Già che c’è, lo spegne pure, il telefonino, casomai se ne scordasse dopo. Poi un giro per l’area gate. Tanti negozi, vetrine luccicanti, profumi, gioielli, salami e formaggi che sembrano pietre preziose; e ancora profumi, e ancora vetrine luccicanti. Bratislava è una piccola Parigi.

Autostrada A12, area di servizio “Riviera Sud”, 13:00
Il sonno no, ma la fame sì, quella si sente. Niccolò ha deciso di fermarsi il più possibile vicino a Camogli, per prendere un “camogli”: a occhio e croce c’è un errore di una trentina di chilometri e forse l’autogrill precedente era il più indicato, ma si ritiene soddisfatto. Immerso nei calcoli geografico-probabilistici, si è dimenticato che è da un pezzo in Italia e che le chiamate verso i cellulari italiani non gli costano più una fortuna. Prova a chiamare lei, non per dirle dell’improvvisata ma solo per salutarla, che è diverso tempo che non si sentono. A dir la verità, hanno proprio litigato, una settimana fa: una di quelle litigate burrascose che sembrano sempre definitive, ma che poi, alla fine, come le burrasche passano, lasciando impercettibili segni. Il telefono è staccato. L’ansia e la preoccupazione sono due colleghe dell’insonnia. No no, andrà tutto bene Niccolò; ora vai da lei e le dici che voi due siete esattamente come il prosciutto e il formaggio nel camogli: fatti per stare insieme. Ma non si tranquillizza e non dorme Niccolò. Ed è anche bene così, visto che ha ripreso a guidare.

Parigi, 13ème arrondissement, ore 16:00
Le ultime due ore sono un susseguirsi di operazioni ormai meccanizzate, per le tante volte che sono state eseguite, ma che richiedono comunque una lucida attenzione: vietato dormire. Andare dal terminal fino alla fermata dei bus; farsi l’oretta e mezza di navetta da Beauvais fino a Porte Maillot; prendere la metro 1, cambiare a Bastille e prendere la 5 fino a Saint-Marcel; correre al 12 di Rue des Wallons tra le braccia di lui.
Quando Federica bussa alla porta – i suoi inconfondibilmente ritmati toc toc –, Jean-Luc capisce immediatamente che si tratta di lei. La reazione – la porta aperta, il primo abbondante abbraccio – è visibilmente contenta ma misurata, un po’ per la generale poca espansività dei ragazzi francesi e un po’ perché la sorpresa di Federica non era propriamente tale; in qualche modo Jean-Luc se l’aspettava. Seguono baci e carezze, sussurrati “oh ma chérie” e meno sussurrati “oh mon chéri”, abbracci meno abbondanti ma più dolci, intimi. Mezz'ora passa come se fossero solo pochi minuti.
« Hai dormito nel bus, ma chérie? », fa Jean-Luc in un italiano precario, emergendo dal groviglio di coccole.
« No, non avevo sonno... »
« Oh piccola, devi essere stanchissima... Riposati! »
« Ok, mon chéri, mando solo un messaggino con il cellulare e mi butto sul letto... con te. »
Un sms che deve a un suo amico d’infanzia, con il quale ha condiviso sempre molto: scuole, interessi, segreti, e una certa curiosità verso il mondo fuori.
« Ehi Nicco, che buffa sta storia dei tragitti incrociati! Io sono arrivata ora a Paris, missione compiuta. E tu? »

Prato, zona Mezzana, ore 16:05
« L’amore... », suggerisce con tono di sfida la signora Pertini.
« L’amore è la prima causa di insonnia. », risponde il signor Pertini, soddisfatto di aver completato con prontezza una delle massime della sua amata moglie. Occhiataccia e broncio evitati.
La signora Pertini ricambia con un sorriso malizioso, appena turbato – se lo si osserva attentamente – da una puntina di amari ricordi. Delle notti insonni e dell’ansia accumulata ad aspettare, in numerose notti insonni, il ritorno a casa dell’amato marito, allora poliziotto della stradale. La vita post pensionistica si trascina ora senza sussulti e talvolta soporifera, ma per lo meno desta molte meno preoccupazioni. La signora afferra con una mano il sacco della spezzatura – il comando sempre a lei –, con l’altra chiede sostegno al marito, dando così inizio alla consueta passeggiata pomeridiana. Ma prima di partire lancia un ultimo sguardo a quel simpatico ragazzo, già visto diverse volte, che siede affranto nel pianerottolo: Niccolò.
Ha gli occhi chiusi, Niccolò, ma si vede che non dorme. Troppa delusione, troppe domande, troppe ipotesi che non soddisfano. Il cervello è stato già martoriato a sufficienza, si dice, il telefonino pure: c’era un messaggio di un’amica ma non la risposta che cercava. E allora non può far altro che starsene lì, ad aspettare che Morfeo si convinca a concedergli la sua pietà. Starsene lì, addossato a una porta spogliata di ogni traccia.
Fragmina verborum titivillus colligit horum
Quibus die mille vicibus se sarcinat ille.
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Re: [#9] Insonnia (racconti) 17/06/2013 18:50 #8652

La routine


Raimondo spense la tv e guardò l'orologio: le 23. Bene, è l'ora giusta, né troppo presto né troppo tardi.
Quella sera si sentiva fiducioso, solo qualche ora prima aveva finalmente trovato il coraggio di mandare a quel paese il suo capo e il lavoro che detestava da anni; questa poteva essere dunque la svolta decisiva per la sua vita.
Entrò in camera e si fermò per qualche secondo a fissare il letto, da tempo suo terribile nemico. No! Devo restare concentrato. Aprì la finestra e osservò lo skyline della città, meravigliosamente illuminato dalle luci artificiali nella giovane notte estiva.
Si spogliò e si distese sul letto.

Vaffanculo, finalmente, vaffanculo! Spero di non rivederti mai più, bastardo schiavista. Che faccia di culo che hai fatto quando mi hai detto che in questo periodo è da matti lasciare un lavoro sicuro e bla bla bla e io ti ho risposto che già per domani ho pronto un colloquio per una ditta concorrente...ah ah ah!
La voce della dottoressa Lambardi risuonò nella sua mente: "Poi Raimondo si ricordi, deve sempre pensare a cose belle, deve cercare di immaginarsi in momenti per lei soddisfacenti, di qualsiasi tipo. Che sia un bel lavoro, una bella donna, uno sport in cui lei è un campione; questi pensieri la aiuteranno a rilassarsi e a trovare il sonno."
Se mi vedesse stasera dottoressa, stasera ce l'ho il momento soddisfacente! Eh, magari se mi vedesse stasera...e se fosse qui con me...che bel culo che ha dottoressa...
Raimondo aveva quasi perso la speranza di trovare una nuova compagna, non era più il ragazzo carino di un tempo: con i cinquant'anni erano arrivate una mezza calvizie e un fisico che passava sempre più dal magro al deperito. Erano ormai sette anni che non giaceva con una donna e stava cominciando a pensare di rompere il giuramento che aveva fatto a se stesso tanto tempo prima: mai pagare per il sesso.
Valutò se farsi una sega pensando alla sua bella dottoressa, ma aveva paura che questo avrebbe rotto la routine.

Devo restare concentrato, non devo sbagliare niente o la routine va a puttane. Dunque, ora giusta, procedura per andare a letto conclusa, passiamo ai pensieri soddisfacenti...pensieri soddisfacenti...il colloquio, ecco sì pensiamo al colloquio. Domani vado lì e do il meglio di me. Mi presento vestito bene, sbarbato e profumato. Le occhiaie, devo fare qualcosa per le occhiaie. Oddio e se poi mi chiedono delle occhiaie? Se mi chiedono se dormo bene?
Raimondo sentì un accenno di ansia salire dentro di sé, ma ormai aveva imparato a controllarla, a interromperla sul nascere; la dottoressa gli aveva spiegato come fare e lui aveva capito.
Calma, non succede niente, sono qui nel mio letto. Oggi ho lasciato quel lavoro di merda, domani vado al colloquio e faccio una bella figura. Poi mi rimetto in sesto e se mi va mi segno anche a qualche agenzia di appuntamenti...gli speed date o come diavolo si chiamano, ecco sì dicono tutti che funzionano.
Potrei organizzare anche una cena con gli altri, cavoli sono mesi che non li vedo. Coglioni, loro e tutti quelli che pensano che l'amicizia sia sacra...col cazzo, l'amicizia non esiste, io non ho mai avuto amici, solo idioti che mi stavano vicino e si divertivano a prendermi per il culo.
E che strazio quando li vedevo da soli...facevano tanto gli amiconi confidenti, sparavano battute, si atteggiavano a simpatici pensando di aiutarmi: "Hai un po' di insonnia? Va beh dai almeno puoi leggere, puoi guardare un po' di tv, puoi fare un sacco di cose dato che hai ore in più da sfruttare!" Con quei sorrisi da ebeti...ma che cazzo ne sapete? Che cazzo ne sanno tutti? Solo chi soffre di insonnia sa che vuol dire...io NON VOGLIO leggere o guardare la tv, VOGLIO DORMIRE. Non potrei fare altro neanche se volessi: dopo un secondo che leggo mi prende subito sonno perché ho milioni di ore di stanchezza arretrata; chiudo il libro, spengo la luce ma NON DORMO, te lo vuoi ficcare in quella cazzo di testa bacata? E poi sono uno zombie tutto il giorno, con gli occhi che mi si chiudono di continuo; e va avanti così per giorni, per mesi, per anni.
Che cazzo ne sanno loro di cos'è l'insonnia? Non sono stati da una bella dottoressa a farsi spiegare tutto, a cercare di identificare la propria insonnia tra le decine di tipi esistenti, a capire che questa è la classica insonnia da ansia e che mi trovo in una spirale terribile: per dormire dovrei ridurre lo stress migliorando la mia vita, ma per migliorare la mia vita dovrei dormire. Non si sono fatti mesi di sbornie con il solo obbiettivo di cadere addormentati, mesi di cure più o meno forti, mesi di tentativi, dai più scientifici ai più strani, non si sono costruiti una routine da seguire alla lettera per arrivare a dorm...cazzo la routine! Non dovevo pensare a queste cose! Vaffanculo a tutti voi! Dunque da dove devo riprendere...ah sì dal colloquio, pensiamo al colloquio...


La sera seguente, Raimondo entrò in camera e fissò il letto. Non avrebbe dovuto farlo, era contro la routine, ma lo guardò lo stesso.
La routine, un'altra grossa puttanata, vaffanculo la dottoressa...e vaffanculo anche quel demente del colloquio di oggi e il suo: "Mi dispiace ma cerchiamo altro."
Aprì la finestra e guardò la città. Una lacrima gli scese sulla guancia, ma quella sera, forse per la prima volta dopo tanto tempo, Raimondo si sentiva sereno, si sentiva in pace; aveva infatti deciso che avrebbe rotto la routine e che avrebbe finalmente curato la sua insonnia, per sempre.
L'avrebbe fatto volando.
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Quibus die mille vicibus se sarcinat ille.
Ultima modifica: 18/06/2013 21:48 Da White Lord.
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Re: [#9] Insonnia (racconti) 19/06/2013 17:32 #8667

La legge di Murphy sul sonno


Buio.
Non abbastanza però. Ma sì, invece, non mi da fastidio.
Sono steso sul letto. Sono stanco. Domani mi devo alzare presto. Chiudo gli occhi.
...
...
Non dormo. Non è passato molto, la luce che trapela dalla persiana è uguale. I rumori del traffico non sono mutati. Non guardo l'ora. Mi spaventa sapere effettivamente quanto tempo è passato. Il tempo, di notte, ha un sapore diverso. Ricorda l'attesa quando non dormi. Ricorda il divertimento quando non vuoi alzarti. E' ambivalente e sfuggevole allo stesso tempo e, stanotte, comincio a intuire, è il mio più grande nemico.
Mi giro, capovolgo il cuscino scaldato dalla temperatura estiva e dal calore del mio viso. E' fresco e piacevole sotto la guancia.
Mi giro ancora.
Ripenso a quello che devo fare la mattina. Sbagliato. Sale una leggera ansia, mista a preoccupazione, che mi fa sudare e mi sveglia un pò. Mai pensare agli impegni del giorno dopo.
...
...
Cerco di distrarmi, penso a mio figlio che ride quando gli faccio il solletico. Penso alle sue mani che mi stringono quando ha paura. Penso ai suoi occhi luminosi, quasi stellati. Penso a quando l'ho sentito cantare è bella quetta vita, da solo, dentro la vasca, mentre sparava ai soldatini con la pistola ad acqua. Uadda, papà, ne ho coppito uno.
Il pensiero è piacevole e mi culla verso il sonno. Acch! Il salto logico collegato a ciò che devo fare per il piccolo, mi fa salire ancora la preoccupazione per i giorni a venire. La scuola, il nuoto, il calcetto, i vestiti, la crema. Sbagliato. Ricomincio a sudare.
...
...
Cambio ancora. Ora sono in montagna, cammino in salita, sento la fatica nelle gambe. E' piacevole. Riesco quasi a percepire l'aria fresca, invasa dall'odore di sterco di mucca. Sembra strano ma anche questa sensazione è piacevole. Continuo a salire, sono da solo sul sentiero. Ho il mio zaino con le provviste, non mi può succedere nulla. Ancora, il pensiero mi culla verso un sonno piacevole. Ad un certo punto, però, la mia mente fa ancora di testa sua. Salire in montagna è una metafora. Sono io che ambisco a migliorare la mia posizione sociale. Sono un social-climber. Comincio a pensare agli aspetti reali della scalata. A come potrei migliorare il mio rendimento. Mi sono fregato da solo. Ho sbagliato di nuovo.
...
...
Decido di alzarmi. Mi avvicino alla finestra, apro le persiane. E' tardi, ora, ma ancora dalla strada si sentono voci festose di ragazzi che hanno finito la scuola e finalmente possono andare a dormire quando vogliono. Resto appoggiato alla balaustra mentre una fresca aria notturna mi accarezza le gote. La città, ad esclusione di quei giovini, dorme. Io no.
...
...
Non ho problemi a dormire in verità. Il pensiero è automatico mentre chiudo le persiane. Di norma, appoggio la testa e ciaone, come direbbe Chiara. Ora che mi è venuta in mente, quasi riesco a vederla, nella parete bianca. Le mani da bambina. Il sorriso che mostra un accenno di gengive. La sua aria perennemente preoccupata per me. Il suo davanzale degno del "vero amore" della non-ht. Ma lei non c'è. Non c'è più. Il ricordo non mi aiuta, cerco di allontanarmene. Agito una mano nell'aria come se volessi scacciarlo materialmente, ancora sento il suo profumo nell'aria. Mi giro, di scatto, ed esco dalla stanza.
...
...
In corridoio fa più fresco. Il marmo sul pavimento è molto piacevole, considerato il caldo. Resto fermo, a sentire i rumori della casa, di notte. La scala a chiocciola scricchiola sotto i passi di Polì, il mio gatto orbo. Il fratello, Femò, orbo pure lui, è morto poco tempo fa. E capisco che nemmeno questo pensiero aiuterà. Guardo altrove, nel buio. Ma si sa, il buio gioca brutti scherzi. Ti fa vedere quello che vuoi. C'è una sagoma appoggiata al muro. Ovviamente non c'è, ma io la vedo. Mi saluta. Comincio a preoccuparmi un pò. Rientro in stanza. Devo dormire, lo so.
...
...
Sdraiato sul letto, supino, guardo il tetto. C'è una nuova crepa vicino al ventilatore. Achh! Mi fermo. Non seguire il pensiero "crepa", mi dico. Così faccio. Indugio con lo sguardo sulle stelline fosforescenti attaccate alle pale e cerco di ricordarmi quando le attaccai. E' passato tanto tempo. Almeno 3 lustri, 4 case, 6 lavori, 10 donne, una vita. Mi perdo alla ricerca del momento esatto, non lo trovo e resto sveglio. Mentre continuo a sentirmi Pindaro, salto di palo in frasca. Provo una vecchia tecnica, utilizzata per dormire, ai tempi del liceo, nei giorni prima degli esami e/o delle interrogazioni. O meglio, il giorno prima di uscire con quella della II F, quella biondina tutto pepe che, dopo tre mesi, finalmente, ero riuscito ad invitare fuori. Penso a come sarebbe la mia vita se avessi i poteri di Goku. Potrei volare, teletrasportarmi. Sarei buono? Mi fermo subito. Non funziona più. Sono invecchiato, credo. Mi suda la schiena. Devo girarmi. Spero serva.
...
...
Forse ho dormito, non ne sono sicuro. La notte è ancora tale. L'ora non la guardo. Mi metto a pancia in giù, braccio sotto al cuscino. Sbuffo. Errore. Mi agito, sudo. Mi calmo. Riprendo a volare. Ora sono in spiaggia. Fa caldo ma la brezza di mare non mi fa sudare. Sono solo. Manca qualcosa. Immagino di sdraiarmi sulla sabbia, per sentire i granelli massaggiarmi i polpacci. Non funziona, la sabbia mi si infila nelle chiappe. Anche solo pensandoci. Santa pupazza! Consapevole del fatto che qualcosa non va, mi complimento con il mio acume e comincio a farmi qualche domanda.
...
...
Non ho risposte, è passato del tempo, lo capisco sentendo i rumori provenienti dalla strada, sono rumori indaffarati. Qualcuno si sveglia di già. Io potrei dormire ancora un pò. Già. La legge di Murphy sul sonno: se puoi dormire, non ci riesci; se ti devi svegliare, dormi come un ghiro. Ancora una volta, casco nel baratro della preoccupazione, pensando a come starò il giorno successivo se non dovessi dormire. Te la cerchi, però, mi dico. Sudo lo stesso. Questa volta copiosamente. Non posso restare sdraiato. Non dormire è una delle cose che mi preoccupa di più. Conosco le conseguenze. Mi alzo, deciso a fare qualcosa, per riuscire a dormire almeno qualche ora.
...
...
La cucina è ordinata, la cosa mi tranquillizza molto. Mi prendo un bicchiere di latte, dicono che aiuti. Bevo. Mi lavo i denti. Senza pensare. Ci sono riuscito, mi illudo. Torno in camera e mi sdraio. Ho fatto tutto cercando di fare il meno rumore possibile, anche se in casa ci siamo solo Polì ed io. E' stato quasi un rito. Movimenti lenti e posati. Cercavo un senso. Mi sdraio e, diamine, ricomincio a pensare.
...
...
Questa volta è diverso però. I pensieri non hanno forma. La stanchezza prevale sulla lucidità e non riesco a dare un filo logico a ciò che penso. E' una cosa buona, credo. Le immagini si susseguono senza freno. Ad un certo punto c'è un muro bianco. Mi ricorda la psicologa (era una psicologa?) da cui mi mandava mia madre, quando ero piccolo. Mi faceva tenere dei gessetti colorati in mano e mi diceva di immaginare un muro bianco. A quel punto dovevo indovinare il colore del gessetto. Ora come ora i gessetti glieli tirerei in faccia. L'inutile ricordo mi culla. Ecco, dico a me stesso, bisbigliando. Ecco.
...
...
E invece no. Manco per niente. Ho continuato ad avere flash di immagini sparse, senza riuscire a smettere di concentrarmi su ciò a cui pensavo. Capendo di non essere sembrato tanto diverso da Molly Bloom, la prendo come una sconfitta. E un pò mi rode. Non sono abituato a perdere. Da piccolo non sapevo perdere, ora ho imparato (non senza sforzo) ma non mi piace lo stesso. La luce del giorno comincia a filtrare dalla persiana chiusa. Capisco che è quasi ora di alzarsi. Capisco che sarà dura oggi. Guardo l'ora, per la prima volta, sapendo che la sveglia suonerà alle 5.45. Sono le 5.34. Cominciando a percepire l'aumento di intensità dei rumori in strada, impreco sottovoce e mi addormento.
Fragmina verborum titivillus colligit horum
Quibus die mille vicibus se sarcinat ille.
Ultima modifica: 19/06/2013 17:34 Da Titivillus. Motivo: Corretto i corsivi
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Re: [#9] Insonnia (racconti) 08/07/2013 15:29 #8703

Ingenue domande

Vedevo le campagne arse dal caldo scorrere lungo i miei fianchi. Le vedevo salire e ridiscendere formando così docili e levigate colline. All’inizio sembrava una piacevole corsa in uno scenario inusuale che aveva come unico obiettivo un orizzonte piatto anche in verticale. Dopo un po’ fu la mancanza di profondità ad insospettirmi ma il calare naturale della luce, sempre più tenue fino a scomparire, cancellò dalla mia mente ogni sospetto.
Una sensazione di calore mi pervase la mano prima del buio assoluto.
Dov’ero? Perché non mi fermavo? Dove stavo andando?

Al ricomparire naturale della luce lo scenario pareva completamente mutato. Non solo alla vista. Un sapore dolciastro da fabbrica di biscotti aveva invaso l’aria. Dietro di me sentivo rumori come voci ovattate. Ma la cosa che più mi stava incuriosendo era uno strano rumore nell’aria che pareva scandire il tempo. Avete presente il rumore delle lancette degli orologi da parete a pile nel pieno della notte? Ecco un qualcosa del genere: ripetitivo e regolare.
Questa volta la corsa pareva svolgersi in un ambiente più cupo. Una specie di giungla verdeggiante attraversata però da un sentiero sgombro da ogni ostacolo che permetteva così di mantenere la velocità di crociera costante e piuttosto rapida di questo viaggio.
Anche questa volta, all’abbassarsi naturale della luce, una sensazione di calore avvolse la mia mano destra poi salì fino al braccio per poi estendersi lungo tutto il petto.

La scena cominciò a ripetersi tutti i giorni e tutte le volte in luoghi diversi. Scenari simili ma mai uguali. Alcune volte in mezzo al mare, altre volte in deserti sconfinati e persino tra le nuvole del cielo.
Una volta il viaggio era su una barca che navigava lungo un ruscello di lava appena creato da un vulcano in eruzione. Anche se, il viaggio più curioso, fu indiscutibilmente lungo i corridoi di un edificio. Non si capiva se erano uffici o semplici stanze. Ai fianchi scorrevano veloci delle porte incastonate tra le pareti color perla.
Il soffitto bianco era intarsiato di nicchie per moderne lampade a neon. La cosa folle era la velocità inconsueta con la quale attraversavamo tali spazi senza mai cadere in fallo.

Gli unici fili conduttori di tutti questi luoghi erano il rumore di quelle lancette del tempo astratte che non smettevano mai, né con la luce, né con il buio di svolgere il proprio compito e quella sensazione di calore che tutti i giorni, prima dell’arrivo del buio assoluto, cominciava a pervadermi partendo sempre dalla mano destra per poi conquistarsi nuovi spazi raggiungendo talvolta il petto, talvolta la testa e talvolta finanche le labbra.
Con il passare dei viaggi, in quell’istante d’estensione del calore avevo anche imparato a riconoscere una voce tra le tante. Era sempre la stessa, un po’ meno ovattata del resto, che sembrava sussurrare parole che non riuscivo ad intendere fino in fondo.
Sembravano però sempre dolci e premurose. Erano diventate la mia piacevole ninna-nanna prima del buio assoluto e della mia veglia nelle tenebre in attesa di una nuova luce.


Lucia era un’abitudinaria. Da anni ormai, finito il suo lavoro part-time tornava a casa, preparava il pranzo per il figlio Luca, si sistemava i boccoli davanti lo specchio del bagno, riordinava tutto con precisione e dovizia e si preparava per uscire. Verso le cinque era in ospedale dove andava tutti i giorni a trovare Marco, il marito in coma. Luca lo portava con se soltanto il venerdì anche perché, crescendo, aveva cominciare a porre diverse questioni e, le stesse risposte, non soddisfacevano in maniera sufficiente la sua ingenua curiosità.
«Perché papà dorme sempre?»
Lucia abbozzò un sorriso e gli raccontò la storia dell’insonnia. Disse che prima di addormentarsi in quel letto speciale, Marco, il suo papà, non dormiva mai. Soffriva di insonnia perché per lavoro era stato costretto a viaggiare tantissimo, in lungo ed in largo, in quasi ogni parte del pianeta.
Luca ascoltava la storia a bocca aperta, a metà strada tra l’affascinato e l’incredulo.
«Ma prima o poi si sveglierà per giocare con me?».
«Certo Luca. E vedrai che poi vi verrà l’insonnia ad entrambi pur di stare il più tempo possibile insieme»
«Davvero mamma?»
«Certo Luca, vedrai…»
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Ultima modifica: 08/07/2013 15:51 Da Titivillus.
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Re: [#9] Insonnia (racconti) 14/07/2013 14:11 #8799

Asino chi scrive


Insonnia, insonnia, in son nia ... Devi scrivere un racconto sull'insonnia e non sai da che parte iniziare, allora cominci a ripeterti la parola, una, due tre volte ossessivamente, scandendo bene le lettere, sillabando, accompagnandoti con un cenno del capo quasi a volerti imprimere ben bene nel cervello quel trisillabo ... Insonnia, crei un acrostico memorabile, per ogni lettera una parola che abbia un legame semantico, per esempio … io non so ordire ninne nanne in aramaico. Oppure ... in nessun sogno osai nuotare nell' impalpabile atmosfera. D'un tratto ti accorgi che stai solo cercando di riempire spazi sulla pagina, di accumulare caratteri dopo caratteri per raggiungere la lunghezza desiderata, ma che razza di scrittore sei, ti domandi stizzito, ma le mani hanno cominciato a correre, correre sui tasti ed è così piacevole lasciarle andare, sembra compongano una musica silenziosa mescolando vocali e consonanti, segni di punteggiatura, puntini di sospensione...
Ti eri alzato per andare a bere un bicchier d'acqua e addio concentrazione. Ti sei trascinato davanti al frigorifero, aperto lo sportello hai fissato a lungo le tre griglie un po' arrugginite, elencando nella tua mente con minuzia il contenuto: tre uova, un pacchetto di burro da due etti e mezzo quasi finito, un contenitore di plastica con alcuni pezzi di parmigiano rinsecchiti. Griglia superiore: lo yogurt di Vanda, rigorosamente a basso contenuto calorico, senza zucchero e con pezzetti di prugna dentro, un intruglio insapore e incolore che ti lasciava solo un rigurgito acido per qualche ora, proprio come dopo aver baciato Vanda. Latte, no, non ce n’era e stizzito hai sbattuto lo sportello del frigorifero, facendo tintinnare il vassoio dei bicchieri appoggiato sopra, quelli del servizio buono che Vanda aveva tirato fuori la sera prima per i Carloni, gli inquilini del sesto piano che erano venuti a cena e bisognava fare buona impressione perché Oreste Carloni era un impiegato del Genio Civile e Vanda voleva raccomandargli di trovare un impiego a suo marito… già, quel coglione che vuole scrivere, ma non sa da che parte incominciare e non fa che pigiare tasti e cancellare.
- Che stai a fare ancora alzato? Vieni a letto, ho i piedi gelati!
Era parte del rituale di ogni dannata sera d’inverno: appena a letto, Vanda ti avrebbe piazzato tra le cosce i suoi piedi gelati numero quaranta, irruviditi da calli di lunga data e avrebbe preteso da te che le cedessi una buona parte del tuo calore corporeo, altrimenti non sarebbe riuscita ad addormentarsi e russare sonoramente per le prime ore di sonno, costringendoti ad alzarti, ritornare in tinello, subire un nuovo, sguaiato – Dove vai ora? Lo sai che ore sono? Avvolgerti in una coperta stile terremotato del Belice, sederti al tavolo in tinello davanti al tuo portatile, provando nuovamente a scrivere quello stramaledettissimo racconto che doveva parlare dell’insonnia …
Eppure materiale ne hai, puoi attingere a quelle interminabili ore di veglia ad occhi aperti nella penombra, l’anno passato, quando eri finalmente riuscito a contare tutte le placchette di stucco che adornano la guscia sul soffitto della tua camera, centoventi, ne eri sicuro. Avevi calcolato matematicamente che in cinquanta centimetri ce ne stavano cinque ed essendo grossomodo il perimetro della stanza di circa dodici metri lineari tutto sarebbe filato via liscio, se non fosse stato per quella perdita d’acqua dell’appartamento dei Carloni, che aveva danneggiato irreparabilmente lo stucco nell’angolo della parete ovest, facendo scendere quindi il numero delle placchette a centotre… Il ricordo di quell’evento infausto è penetrato nuovamente alla soglia della tua coscienza, disturbandoti come uno dei ruvidi piedi di Vanda tra le cosce, perché tua moglie, sempre servile e ossequiosa con i Carloni, ti ha impedito di chiedere loro il dovuto risarcimento, continuando a ritenere che quella conoscenza avrebbe un giorno potuto fruttare un comodo impiego a suo marito. E ora, quella brutta macchia di umidità nell’angolo ovest, asciugando, ha assunto una colorazione scura, quasi marrone, con i contorni frastagliati e irregolari da farla assomigliare ad un mascherone della commedia napoletana: un clone di Vanda giganteggia sul soffitto, Vanda con la maschera di papaya e cioccolato, che ti sbraita contro, lamentandosi della tua crisi creativa, … bla bla bla, voi scrittori non sapete far altro che succhiare il sangue come zecche … la crisi creativa …puah!
Sei di nuovo seduto alla tastiera, ti trovi a fissare oltre lo schermo, la porta finestra che dà su Via degli Eschimesi, le fronde dei lecci che costeggiano il marciapiede vibrano al vento gelido che si è alzato da poco, e il lampione, dondolando, crea oscillanti macchie di luce giallastra e grigio scuro che ipnotizzano … volano foglie, qualche pezzo di giornale, polvere. Sei perso, completamente assorto dal momento, risucchiato fuori dal tempo, la natura là fuori, inospitale si fa beffe della tua nottata infruttuosa … Cosa saresti disposto a dare per un briciolo di ispirazione, perché le mani ricominciassero a correre, correre sui tasti? Oh, non daresti forse tutte le ore della notte, non regaleresti all’insonnia le tue ore di prezioso ristoro notturno, per quanti giorni? Dieci, non venti forse, perché non un mese intero? E poi, non essere più costretto a piegarti ai ricatti di Vanda, sentirti forte, là nella tua vena creativa, in tinello, dentro la tua coperta logora, forte e ricco nei tuoi pensieri e nelle immagini di opulente bellezza , in quel sovraffollamento di idee e di parole che sgomitano per tradursi in segni sullo schermo.
Un rumore secco, deciso, ti distoglie, un ramo del leccio ha sbattuto forte contro il vetro: sussulti e col piede distrattamente stacchi l’alimentatore del portatile dalla presa a muro. La corrente si interrompe, un attimo da solo può essere devastante, basta a cancellare il racconto che non avevi ancora salvato. Lo schermo si annerisce, implacabile, insensibile alle tue imprecazioni; riapri il programma e la pagina bianca ha la sfacciataggine di starsene lì a guardarti, quasi beffarda e piatta.
Sei una piccola cosa, in quel tinello al secondo piano di Via degli Esquimesi, nella tua coperta logora davanti al portatile, ma hai un pregio, non ti arrendi mai, anzi, più ti bastonano e più diventi forte, sei un asino al basto, aspetti una legnata sulla schiena e riparti più veloce di prima, riprendi a scrivere con ostinazione: Insonnia, insonnia, in son nia …
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Re: [#9] Insonnia (racconti) 15/07/2013 12:56 #8816

La terza donna

E poi sono caduto in fondo al bosco. Gli occhi ci mettono sempre un po’ per abituarsi a una diversa intensità della luce, in questo caso più bassa. Gli alberi che mi circondavano si stagliavano verso il cielo facendo solo intravedere delle porzioni del suo manto color antracite. I fusti robusti e slanciati, molto più chiari delle meravigliose chiome che sorreggevano, folte e irraggiungibili. Una nebbia vaporosa si sposava bene con i toni verde-bluastri di quella notte. Come fossi arrivato lì era allora per me un mistero. Non stavo percorrendo un sentiero battuto. Il paesaggio non mi era familiare. Solamente l’atmosfera riuscivo a riconoscere. Quella sensazione di eccessiva calma che, da un momento all’altro, satura di chissà quale appagamento, sfocia in un brivido di paura incontrollabile.
I boschi mi piacciono. Sono silenziosi, freschi. Sono antichi. Si spera sempre di incontrare un qualcosa di straordinario dentro un bosco. Un animale raro, una pianta strana, una caverna nascosta. Una cascata che nasce dal nulla.
Camminando a passo regolare, mi accorsi che non stavo pensando a nulla. Ero concentrato solamente sul mio respiro e sul circostante. Per me era una cosa assolutamente nuova. Quella di non pensare ad alcuna cosa, dico. Riuscire a creare una sorta di vuoto dentro la testa. Più ci si sforza e più diventa impossibile riuscirci. Invece, quando si opera meccanicamente, è cosa comune. Solo che non tutti se ne rendono conto. “E’ per questo che è così difficile dormire” pensavo. Perché più si cerca di non pensare, e più si pensa. E se il cervello non la smette di elaborare e rielaborare pensieri, sogni, paure e memorie, si tramuta in un travaglio infinito il riuscire a prender sonno.
“Stai cercando la terza donna?” una voce nel silenzio più assoluto squillò senza preavviso.
Mi girai lentamente in direzione di ciò che avevo udito: un albero maestoso si pareva innanzi a me; e io così miserabile al suo cospetto! Un tronco possente che faceva percepire solo in parte l’antichità di quella creatura vegetale. E la bellezza perpetua che sprigionava.
“Stai cercando la terza donna?” disse l’albero. Sì, stava parlando l’albero! A me! Un albero!
“La terza donna? E chi sarebbe la terza donna?” chiesi, alzando la voce in modo orgoglioso.
“L’uomo può avere solo tre donne. La donna del passato, la donna del presente; e la terza donna” rispose, dopo una breve pausa, l’albero.
“La donna del futuro dunque. La terza donna è la donna del futuro” enunciai in tono decisamente meno convinto.
“No, la terza donna è la donna del sogno” ribattè l’uomo che sbucò da dietro l’albero. Ecco spiegato il mistero. Non stavo parlando con un albero. Stavo parlando con un uomo che si nascondeva dietro l’albero. Un uomo basso. Mi venne da sorridere, senza sapere bene perché.
“Io non sto cercando nulla. A dirti la verità, credo persino di essermi perduto” gli dissi con tono confidenziale.
“Che tu ti sia perduto non mi sorprende affatto. E la terza donna fai bene a non cercarla, perché più la cerchi e meno possibilità hai di trovarla” disse; e si dileguò nella nebbia. Non ebbi nemmeno il tempo di gridargli se potesse aiutarmi che già la sua sagoma era svanita nel bianco dell’altrove.
Avrei potuto seguire la direzione presa da quell’ometto, ma non lo feci. Continuai a marciare diritto davanti a me, sperando di trovare qualcosa o qualcuno che mi facesse capire dove mi trovassi esattamente.
Man mano che procedevo, mi pareva di sentire sempre più freddo. A un certo momento notai che il mio respiro incominciava a emanare una condensa che certamente prima non aveva prodotto. “Ma che succede mai?” pensai, e mi resi conto che i miei vestiti consistevano in un semplice maglione e dei pantaloni di lino, certamente insufficienti a preservare il calore del mio corpo in quell’ambiente sempre più freddo.
I miei piedi dovevano aver calpestato qualcosa di fragile, perché ebbi la sensazione di aver ridotto in pezzi un oggetto dalla consistenza cristallina. Invece vidi che il terreno era qua e là ghiacciato, accentuando, riflettendoli, ancora di più i toni verde-bluastri del bosco. Bosco che presentava adesso un viale alberato naturale che sembrava condurre in modo sicuro verso una porzione di spazio un po’ più illuminata. Dico sembrava perché effettivamente, con tutta quella nebbia, ci si doveva accontentare di immaginarle, le cose. “Che abbia trovato finalmente, con un po’ di fortuna, l’uscita da questo bosco, la fine di questo posto?” pensai.
Continuai a camminare in direzione di quella che mi pareva essere una zona di luce e, quando vi arrivai, mi accorsi che in effetti ero arrivato alla fine del bosco. Tuttavia, abituatisi gli occhi alla nuova e più complessa visione, mi accorsi che il bosco sì finiva, ma ricominciava tutt’intorno: ero arrivato al limitare di una radura. Che del bosco è pur sempre una fine, ma una fine molto relativa. Ma non ebbi il tempo di dare peso alla cosa che i miei occhi già erano stati attratti da una presenza scura, di imprecisate fattezze, che giaceva dall’altra parte della radura. Mi decisi ad andarle incontro. Pareva un grande masso dalla forma squadrata. Mentre attraversavo la piana spelacchiata di erba ghiacciata mi resi conto che la luce più forte era un regalo della luna e dei suoi araldi i raggi lunari che a malapena – e di tanto in tanto - si intravedevano attraverso la nebbia. La luna era piena. “Maledizione” pensai (e dissi pure di peggio) “stanotte non si dorme”. Non ero infatti mai riuscito a dormire con la luna piena. Ci sono persone che credono di soffrire d’insonnia. Io, quando c’è la luna piena, non chiudo occhio. Non è che mi addormenti tardi o mi svegli a ripetizione. Non dormo proprio. Si potrebbe definirla una “insonnia totale”.
Nessuno sa che cosa sia l’insonnia perché dell’insonnia l’insonne non parla volentieri. Il vero insonne se la cova dentro, l’insonnia, come un cancro che man mano prende il sopravvento e, a un certo punto, la cosa diventa irreversibile. Non si riesce più a dormire in modo redditizio. E questo dura fino alla fine dei propri giorni. Questa è l’insonnia. Chi parla di periodi di difficoltà a dormire, o di “insonnie estemporanee”, non sa alcunché sopra l’insonnia. Prerogativa dell’insonnia è la cronicità.
Il freddo aumentò fino a farmi accelerare il passo in modo sensibile, man mano che mi avvicinavo alla meta. Quando vi arrivai fu tutto più chiaro: era una casa. Una casa di pietra scura. Cercai una porta ma non ve ne erano: solo una finestra, in alto, dava accesso all’interno della casa. Mi arrampicai fino a metà del muro, poi mi accorsi che per terra c’era una scala. Me ne accorsi perché avevo guardato giù, cosa da non fare se si sta arrampicando. Scesi piano e presi la scala, appoggiandola al muro: arrivava esattamente un mezzo metro sotto la finestra. Ci salii ed entrai senza troppa fatica. Questa volta il buio era decisamente più profondo dei miei occhi e della capacità loro di poterci vedere attraverso. La fortuna – o il caso – volle che un raggio di luna entrasse proprio attraverso la finestra per illuminarmi la via. La stanza era vuota. Era una stanza piccola; era anche una casa piccola. “Questo dev’essere senz’altro il secondo piano” mi dissi fra me e me. “Come scendere giù al primo se non ci sono porte?” Avanzai con circospezione in direzione del muro opposto, quando il mio piede sbatté contro un oggetto metallico ben saldato al pavimento. A tastoni capii che si trattava della maniglia di una botola. Cercai di forzarla, tirando con tutte le mie forze, ma non riuscii a smuoverla nemmeno di un centimetro. Mi girai intorno con lo sguardo ma non c’era nulla che potesse fare al caso mio. D’un tratto, una voce da fuori chiamava dentro la casa: “La principessa domanda di Voi e sta piangendo, la botola va spinta, non tirata!” Mi affacciai di corsa per vedere chi avesse parlato, ma non ebbi fortuna stavolta. Non c’era nessuno là fuori. Nessuno che riuscissi a vedere, perlomeno. “Non sai che quando guardi uno specchio mentre stai sognando puoi vederti mentre dormi?” disse una voce molto più vicina. Era una voce dentro la stanza! Mi girai di scatto, un po’ spaventato. A non più di cinque metri da me stava seduto su una sedia una specie di araldo, o un giullare di corte. Insomma, un tizio con un vestito carnevalesco, per i nostri tempi. Mi accorsi che aveva persino una maschera sul viso. Ma era una maschera strana: ci si poteva specchiare, se la vista non mi ingannava. “Hai parlato tu, poco fa, là fuori?” gli chiesi gentilmente.
“E come avrei potuto se sono qui dentro?” mi rispose.
“Prima non ti avevo visto dentro la stanza” gli dissi. “E nemmeno la sedia dove stai seduto ora c’era prima” gli dissi abbassando lo sguardo sulla sedia.
“Ancora non hai capito, vero?” mi chiese.
“Capito che cosa?” risposi.
“Quale è il tuo problema”
“Il mio problema è che soffro di insonnia. Da sempre. Non riesco a dormire” gli dissi lentamente, mettendo delle pause tra una parola e l’altra.
“Ma tu stai dormendo”
Lo guardai di sbieco, non mi è mai piaciuto essere preso per il naso. “Io non sto dormendo. Oltretutto stanotte c’è la luna piena. E’ impossibile che io possa dormire” gli dissi.
“Avvicinati; guarda tu stesso” mi rispose con voce ferma.
Feci qualche passo in avanti e arrivai al suo cospetto, feci per chinarmi per guardare in viso quell’uomo ma egli mi anticipò e alzò il capo. Ma non è lui che vidi. L’immagine riflessa era quella di un uomo che dormiva sul fianco. “Ma Quello sono io!” dissi agitato.
“No. Tutt’al più Tu sei quello” mi corresse “A ben vedere tu non esisti.” Fece una pausa. “Quello là che vedi invece esiste; e sta dormendo” continuò.
“E tu chi sei?” gli chiesi, aggrottando le sopracciglia. “Se davvero sto dormendo dovrei saperlo chi sei, perché ti ho creato io” lo incalzai.
“Io sono Little Nemo” disse “Ma a te non deve interessare perché, ora che hai capito che stai sognando, potresti svegliarti in qualsiasi momento senza nemmeno farlo apposta”
“Hai ragione” gli dissi.
“E questo non puoi permettertelo, dato che non hai trovato quello che cercavi” mi guardò con occhi profondi, i soli che potevo vedere attraverso la maschera.
“La terza donna? La donna del sogno?” chiesi.
“Questo solo tu puoi saperlo” mi disse.
“Allora aiutami! Dove posso trovarla?” iniziai ad agitarmi per la spada di Damocle del risveglio che incominciava a pesarmi sopra il capo.
“E dove vuoi che sia?” mi disse un po’ impaziente.
Ci pensai per un attimo, un attimo che sembrò ai suoi occhi persino troppo tempo. “Sotto la botola!” esultai “E’ sotto la botola! Al primo piano della casa!”
“E’ evidente che è sotto la botola. Ma il primo piano è questo qui: lì sotto c’è solo il piano terra” mi disse, sorridendo.
“Hai ragione, scusami!” gli sorrisi anch’io. Mi girai verso la botola e dissi a voce alta “Dovevo spingere, non tirare!” Mi girai felice verso Nemo ma non c’era più nessuno nella stanza. Sono sincero se dico che mi spiacque.
Provai a spingere ma nulla: la botola non si apriva. In effetti ci ero persino passato sopra prima con tutto il peso, quando avevo sbattuto contro la maniglia. “Posso provare a saltarci sopra” pensai. Lo feci e la botola si aprì di scatto prima ancora che riuscissi a colpirla. Precipitai per uno spazio indefinito e mi ritrovai a terra. “Sono sveglio o sto ancora dormendo?” mi chiesi, rialzandomi a fatica. Ecco, qui nel buio del piano terra non riuscivo a vedere quasi nulla, ma dato che il buio assoluto non si può sognare – e nel frattempo avevo deciso che stavo sognando – dovevo aggrapparmi a ciò che mi permetteva di intravedere qualcosa nell’oscurità.
E la vidi. La terza donna. La scorgevo appena, ma riuscii a intuirne i lineamenti.
Sembrò quasi sorpresa quando si accorse della mia presenza.
“Io non dovrei incontrarti qui” mi disse dolcemente.
“Io non voglio incontrarti qui” le risposi. “Soltanto in un sogno” sorrisi. “Adesso mi posso anche svegliare” dissi, aprendo una porta che prima non pensavo esistesse, al piano terra di quella casa nella radura.
E poi sono caduto dentro al letto.
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