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“Quante vite viviamo? Quante volte si muore?
Si dice che nel preciso istante della morte tutti perdiamo ventuno grammi di peso. Nessuno escluso. Ma quanto c'è in ventuno grammi? Quanto va perduto? Quando li perdiamo quei ventuno grammi? Quanto se ne va con loro? Quanto si guadagna? Quanto...si...guadagna? Ventuno grammi, il peso di cinque nichelini uno sull'altro. Il peso di un colibrì, di una barretta di cioccolato. Quanto valgono ventuno grammi?” Paul - 21 grammi Ventuno è il tema della nona e ultima tornata di UniVersi, c'è tempo fino al 31 dicembre compreso per postare il proprio racconto in gara. Ricordatevi che: - Il limite massimo di battute consentito per questa tornata è 12000 (spazi compresi, titolo escluso); potete controllare il numero esatto di battute dei vostri racconti su questo sito gratuito. - I racconti devono avere un proprio titolo e devono essere postati in forma anonima, effettuando il login con nome utente Titivillus e password universi. - Qui potete trovare il regolamento completo. RACCONTI IN GARA - Ventuno: l'ignoto ignorante istruito a collezionista di sfere (11985) - Alberto XXI (11985) - La terza domanda (3092) |
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Ehi dol! Bel dol! Suona un dong dillo! Suona un dong! Salta ancor! Salice bal billo! Tom Bom, bel Tom, Tom Bombadillo!
Ultima modifica: 01/01/2016 14:33 Da Tavajigen.
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Ventuno: l'ignoto ignorante istruito a collezionista di sfere
Una voce metallica e gracchiante che si sforzava di mantenere la calma cominciò a risuonare tra le stanze e i corridoi: «Attenzione! Evacuare immediatamente l'edificio! Questa non è un'esercitazione!» Nei canonici quindici minuti programmati, lo stabile s'era svuotato di tutto il contenuto d'esseri umani che lo popolava giornalmente. Alla conta dei presenti mancava però uno dei dipendenti più importanti: era Mr. Greasepaint, un vero e proprio luminare che da anni conduceva ricerche segretate alle quali nessun altro poteva accedere. Lo si vide fare capolino dall'ingresso principale poco meno di cinque minuti dopo la scoperta della sua assenza. Sembrava piuttosto trafelato. Si mise a correre e ad urlare a squarciagola: «Scappate! Non state qui! È pericoloso! Andate tutti il più lontano possibile, vi prego!» Quell'ultima preghiera da parte sua suonò veramente come una supplica piuttosto che come un ordine. D'un tratto si poteva assistere ad una scena tra il drammatico e il grottesco: alcuni tra i più grandi scienziati nonché luminari correvano in tutte le direzioni urlando come dei banalissimi pazzi non comprendendo neanche loro cosa stesse realmente accadendo. Ci volle del tempo prima di capire quale fosse la reale situazione delle cose. Il primo messaggio inviato tramite social media da Mr. Greasepaint non faceva presagire a nulla di buono. Quel suo: "L'esperimento #21 ha preso una piega imprevista" voleva dire poco o nulla a tutti coloro che non erano vicini allo scienziato. Fu invece un messaggio chiaro e preciso per coloro che seguivano l'uomo all'interno delle istituzioni militari e che erano in attesa di potenziali sviluppi di questo nuovo progetto. L'accaduto passò rapidamente in secondo piano. Nessuno era stupito dal fatto che scienziati ben finanziati da governi e multinazionali facessero tra i più svariati esperimenti ed il fatto sembrò turbare solo ed esclusivamente i diretti interessati che non il resto delle persone comuni. Nell'immediato, la cosa più complicata fu far digerire a tutti gli altri ricercatori e collaboratori che l'area dove erano soliti lavorare era stata interdetta a tutti e che avrebbero dovuto prendersi dei giorni liberi perché a nessuno sarebbe stato autorizzato l'accesso. Neanche Mr. Greasepaint ebbe l'opportunità di entrare nell'immediato. La stessa gli fu accordata solo dopo cinque giorni dall'episodio e solo dopo una riunione "top secret" non solo nei contenuti ma anche nei partecipanti. Rientrando ritrovò tutto così come lo aveva lasciato. La stanza aveva consolle, elaboratori e svariata strumentazione lungo tutti e quattro i muri del perimetro rettangolare. Al centro troneggiava una specie di enorme clessidra che si estendeva dal soffitto al pavimento. L'unica difformità rispetto ad un comunissima clessidra consisteva nel punto centrale di congiunzione. Anziché un piccolo spazio vi era un punto nero che aspirava le cose che aveva al di sopra ed impediva alle stesse di passare nella metà inferiore. Quello appena descritto era il ventunesimo esperimento. In sostanza si prendeva un oggetto, lo si faceva sparire all'interno del punto nero e si decideva quando farlo riapparire nella metà sottostante. L'idea era di portarlo poi su vasta scala ma, soprattutto, di poter far riapparire le cose scomparse non solo quando si voleva ma anche dove si voleva. Tutto ciò però non capitò con #21. Quello che era stato assorbito dal punto nero non era più riapparso nonostante fosse stata seguita la regolare procedura. All'inizio Mr. Greasepaint pensò ad un semplice errore. Forse il punto nero era troppo potente ed aveva sgretolato l'oggetto (nello specifico si trattava di un portapenne con annessi svariati articoli di cancelleria in esso contenuti). Ma il chip contenuto all'interno aveva continuato a trasmettere. Pertanto, il portapenne, doveva essere ancora in qualche luogo non meglio definito. Quello che fece sobbalzare il nostro scienziato fu però un episodio del tutto anomalo e completamente nuovo. Il punto nero aveva assorbito in tutta autonomia un altro oggetto della stanza (nello specifico alcuni fogli di carta). La prima reazione di stupore gli fece pensare che il punto nero fosse ormai fuori controllo e che stesse allargando il suo raggio d'azione. Per questo non perse neanche un secondo e si precipitò a lanciare l'allarme facendo evacuare l'edificio. La verità però fu differente. Trascorsi i cinque giorni, la stanza si presentava esattamente nello stesso modo. Nulla di così catastrofico come già immaginava Mr. Greasepaint. Riprovo più volte ad avviare le procedure per il rientro del portapenne ma nulla da fare. Lo stesso continuava ad inviare segnali ma non tornava nella metà sottostante. Poi, d'un tratto, all'ennesimo tentativo, il punto nero restituì uno dei fogli quasi magicamente assorbiti. Con grande stupore prese atto che il foglio non era più bianco. Aveva delle tracce, molto simili ai ghirigori fatti da un bambino. Lanciò un nuovo messaggio sui social media e non passò neanche mezz'ora dallo stesso che subito si presentarono nella stanza altri due luminari inviati direttamente dal Governo. L'ordine era quello di conservare segretamente quanto ricevuto e di non abbandonare la stanza per nessun motivo. Sarebbero stati monitorati ed assistiti dall'esterno e, nel caso di pericolo, sarebbero stati fatti evacuare in tutta fretta. Dopo le prime ore di qualche iniziale imbarazzo superate con le prime domande di rito, Mr. Greasepaint non perse l'occasione per confessare tutto quello che teneva al suo interno da anni. Raccontò degli inizi degli esperimenti, dei risultati ottenuti e dello stupore di quanto accaduto proprio nelle ultime settimane. Il fatto stesso di poter parlare liberamente con cervelli altrettanto eccelsi in grado di capire al volo quanto stesse succedendo stimolò tantissimo l'uomo. Proprio mentre stava rivelando loro questi dettagli, accadde l'imponderabile. Come fatto per i fogli di carta, il punto nero riuscì ad allargare il suo campo d'attrazione e prese con se i seguenti altri oggetti: un elaboratore, un paio di guanti, il modellino di una Volkswagen New Beetle ed una riproduzione di un quadro di Modigliani. Il tutto durò poco meno di cinque secondi. Ancora frastornati, i tre luminari nella stanza, non proferirono altre parole per circa mezzora ma si concentrarono a pubblicare quanto prima aggiornamenti alle loro rispettive direzioni dell'accaduto. Poi, finalmente, si guardarono, fecero nuovamente un giro intorno al punto nero, provarono ad inserire un nuovo oggetto preventivamente microchippato (nello specifico il libro "Where did I come from?" di Mayle & Robins) che sparì come il resto delle cose. Attesero il tempo necessario per provare ad effettuare il nuovo richiamo cenando assieme, come al solito, grazie ad uno dei tanti take-away abituati ormai a suonare a quell'interno. Il libro così come il portapenne non tornarono indietro. In compenso però, a distanza di qualche ora da questo tentativo, il punto nero restituì un nuovo foglio. Il disegno era decisamente più complesso. Una figura (disegnata con uno stile pressoché simile a quello di Modigliani) usciva fuori dalla marmitta di una sagoma di Volkswagen New Beetle. Gli stessi luminari, dopo aver aggiornato chi di competenza, si misero a fare analisi, contro-analisi, comparazioni ed ogni sorta di studio possibile per capirne di più. Non ne uscì niente di sensato. Quello era un foglio esattamente come quelli che avevano nello studio, sul quale qualcuno (o qualcosa?) aveva tracciato delle linee ispirandosi agli oggetti che aveva prelevato. Ma a nessuno dei tre sembrò capirne il reale scopo. Passarono poco più di vent'anni dal giorno di quella prima evacuazione. I tre luminari, a turno, avevano ottenuto taluni permessi per abbandonare temporaneamente quelle stanze anche e soprattutto perché, per anni interi, non accadde nulla. Si persero anche i segnali degli oggetti microchippati e mai più restituiti mentre si riuscirono a recuperare svariati oggetti attraverso le normali procedure. L'esperimento #21 aveva altresì perso d'interesse durante l'arco di quel tempo poiché altri studi erano riusciti ad ottenere risultati decisamente più interessanti ed erano stati lautamente finanziati dalle multinazionali interessate alla tematica. Nonostante tutto questo fosse evidente, i tre restarono ligi agli ordini del Governo e continuarono a sorvegliare e sperimentare. Poi, in un giorno di Novembre del ventunesimo anno, a Mr. Greasepaint venne dato l'ordine di farsi assorbire egli stesso dal punto nero. Il Governo era convinto d'aver messo a punto una nuova tecnologia all'avanguardia in grado di rintracciare lo scienziato ovunque egli sarebbe finito richiamandolo così a se a comando e riuscendo finalmente ad archiviare il dossier #21 che godeva ormai anche di parecchie speculazioni mediatiche complottiste. Fu un attimo. Mr. Greasepaint venne assorbito come un qualunque altro oggetto. Passò il tempo necessario quando venne autorizzato il richiamo dello stesso. Gli altri due luminari compagni dello scienziato provarono una prima volta ma senza successo. Il Governo disse di insistere ma anche il secondo tentativo non andò a buon fine. La loro tecnologia all'avanguardia si rivelò utile solo a prendere visione degli spostamenti fuori da ogni logica dello scienziato. Stavano riuscendo a monitorarli in tempo reale ma era incomprensibile come potesse percorrere tali distanze in spazi di tempo troppo ristretti. Dopo dieci tentativi vi rinunciarono. Passarono altri ventuno giorni quando, nel pieno della notte del mondo finora presentato, ricomparve Mr. Greasepaint. Ebbe giusto il tempo di prendere visione di quella stanza compagna di prigionia di tutti quegli anni. Poi s'alzò di scatto in piedi, afferrò le spalle di uno dei due compagni e con una calma inquietante gli disse: «È finita. O vi fidate di me e scappiamo oppure non resterà niente di quello che conosciamo» Non appena terminò quella frase vide il secondo compagno di esperimenti procedere con l'immediato e consueto aggiornamento alla direzione. Si diresse di corsa verso la porta e cominciò ad urlare nei corridoi a squarciagola: «Scappate! Non state qui! È pericoloso! Andate tutti il più lontano possibile, vi prego!» Aveva appena superato la soglia del giardino che separava la costruzione dalla strada. Si voltò e l'intero palazzo si stava sgretolando assorbito da quel punto nero stavolta davvero fuori controllo. Per la prima volta nella sua vita non aggiornò nessuno. Si limitò a correre consapevole di ciò che aveva visto e sicuro d'avere un piano efficace tra le mani per salvarsi. A tre mesi da quell'episodio, Mr. Greasepaint aveva messo il punto finale alla trecentoventunesima pagina di memorie di quel viaggio di ventuno giorni nell'ignoto. Chiuse il tomo, riaprì la prima pagina rilegata e cominciò a rileggere: «l'abbiamo battezzato esperimento #21 perché era il ventunesimo tentativo di teletrasportare oggetti. Eravamo convinti di poter gestire uno spazio a noi oscuro esattamente come facciamo per questo pianeta ossia in totale controllo e libertà. Quello spazio invece, per anni, ha assorbito la nostra civiltà, è diventato senziente e tecnologicamente avanzato. S'è autoproclamato regnante Primo dello Spazio Ventuno ed ha deciso di assorbire l'intero pianeta per saziare la propria sete di conoscenza. Ci ha concesso ventuno anni per evacuare tutti. Ma io ho un piano:» Seguirono, sfogliate rapidamente, altre trecentodiciannove pagine bianche mentre, la trecentoventunesima terminava con un punto finale. Si diresse verso il megapallone nero grande come il palazzo e gettò il suo manoscritto che venne regolarmente assorbito. Forse non aveva salvato la vita di tutti gli abitanti futuri di quel pianeta ma s'era almeno garantito il resto della sua esistenza mortale senza quell'imprevisto. Si mise di spalle, prese a camminare lungo il viale sentendosi come un eroe e mormorò tra se e se: «la chiave è tutta nel titolo» |
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Fragmina verborum titivillus colligit horum
Quibus die mille vicibus se sarcinat ille.
Ultima modifica: 28/12/2015 00:51 Da Titivillus.
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Alberto XXI
Tino sedeva a tavola, ancora avvolto nella veste da camera. Si apprestava a fare colazione, circondato dai suoi molti servitori. Il capo maggiordomo avanzò tronfio nella sala da pranzo, recando con se un grande vassoio, seguito da tutto il resto del personale. L'uomo posò di fronte al principe il proprio fardello e poi s'inchinò, servile. “Mio Signore, a nome di tutto il personale, desidero farvi le nostre congratulazioni per l'incoronazione di oggi e i nostri migliori auguri di buon compleanno! Lunga vita ad Alberto XXI!” Tutti quanti in coro esclamarono “Lunga vita ad Alberto XXI!” Alberto non sapeva che fare, se ringraziare, mandarli a quel paese o fare un gesto per scacciare la sfortuna. Nel corso dei suoi ventuno anni di vita, aveva scoperto ben presto che gli altri non facevano altro che blandirlo. Tutti volevano qualcosa da lui, poiché un giorno sarebbe diventato Re. “Grazie Medardo e grazie a tutti voi, amici. Ora vi prego, vorrei rimanere solo”. Il giovane uomo guardò nel vuoto per lunghi istanti, mentre i servi uscivano dalla stanza. Poi tolse uno dei coperchi che proteggevano le delizie poste sul vassoio. Cominciò a spiluccare dei deliziosi biscotti secchi, mentre sorseggiava un tè proveniente direttamente dall'India. Adorava quella specialità dolciaria: nella farina veniva impastata una polvere nera, ottenuta da un bacca giunta solo recentemente dalle Americhe, il cacao. Ne mangiò appena un paio, poiché normalmente finivano per procurargli la flatulenza. Non sarebbe stato saggio mettersi a fare puzze durante l'incoronazione, davanti alla Regina sua madre o alle autorità religiose e politiche di mezza Europa. Inoltre gli si stava anche chiudendo lo stomaco, poiché temeva quella giornata, e per più di una ragione. In primo luogo suo padre era stato una schiappa come Re, sempre pronto a litigare con tutti, per poi scappare come un coniglietto d'angora al momento decisivo. La moglie e i ministri troppo spesso erano stati costretti a tappare all'ultimo le falle causate dal decerebrato monarca. Il timore di Tino, era che il popolo li pensasse uguali, della stessa pasta. Il giovane aveva studiato politica, aveva viaggiato lontano e non si era mai seduto sugli allori. Nonostante la giovane età si considerava competente in diversi ambiti e aveva già svolto un paio di missioni diplomatiche di alto livello. Ma quello che lo fotteva era l'aspetto fisico: sembrava una copia del padre alla stessa età. Era come se la sua bellissima madre non avesse contribuito in alcuna misura a forgiare i suoi lineamenti. L'aveva solo trasportato in grembo, ma per il resto lui era figlio solo di suo padre. E poi c'era la storia della Dinastia, composta unicamente da “Alberto” e durata per più di quattrocento anni. Contro qualsiasi pronostico, visti gli elementi che l'avevano composta. C'erano anche stati tre o quattro militari davvero di alto livello, per carità. Il numero otto aveva unito al Regno un paio di ducati da sempre indipendenti. Il numero dodici, aveva conquistato un regnetto da quattro soldi, ma nelle cui montagne si trovavano diamanti e oro a non finire. Il numero diciassette aveva stabilito e reso forti i confini, gli stessi che delimitavano il Regno ancora in quel momento. Gli altri erano stati francamente discutibili. Due antenati erano stati del tutto pazzi e altri quattro, tra i quali appunto suo padre, non valevano nulla. Tra quelli afflitti da disagio mentale, il più noto era Alberto XIII, soprannominato dal popolo “Il Mangiamerda”. Non si trattava di una cattiveria gratuita, bensì di una mera descrizione didascalica. Quando la malattia era diventata del tutto incurabile, quel povero folle aveva convocato il gioielliere di corte e si era fatto creare un vaso da notte in oro zecchino. Ogni mattina, regolare come una meridiana, faceva la cacca in quel gioiello insensato e dopo se la pappava per colazione, assieme a un bicchiere della sua stessa piscia. Il poverino era ossessionato dall'idea di essere avvelenato e in questo modo era sicuro che nessuno l'avrebbe potuto fare. A mezzogiorno se ne era già scordato e mangiava per tutto il resto della giornata, come un porco. Tutto quel cibo faceva sì che la mattina dopo producesse ancora merda, a palate. E il ciclo ricominciava, uguale ogni giorno, per anni, senza mai una vacanza. Quando morì a causa di un colpo apoplettico, tutti nel Regno tirarono un sospiro di sollievo. Nella reggia regnava sempre una puzza indescrivibile, che nessun profumo era mai riuscito a coprire o tanto meno a dissipare. Un altro era diventato famoso come scienziato, ma in realtà aveva scoperto che il sole era al centro del sistema dei pianeti, duecento anni dopo Copernico. Era celebre la frase rivolta all'Accademico di corte quando costui gli aveva fatto notare a quando risalisse lo studio dell'illustre polacco: “Sì, ma io non lo conoscevo”. Particolarmente interessante il caso dell'avo che si era atteggiato a filosofo, pur limitandosi a mandare delle lettere ai grandi scienziati sociali del suo tempo. Pare che in quelle missive si complimentasse semplicemente per i fenomenali libri che avevano scritto. Non sempre aveva compreso le risposte dei Maestri, o almeno così voleva la leggenda. Ad esempio: “Graziosa Maestà, Vi ringrazio. E' per me un onore, venire a conoscenza del Vostro interesse nei miei confronti”. Quel povero idiota rimaneva per giorni a leggere e rileggere risposte di questo tenore, cercando di comprenderne gli arcani segreti. Ma il problema di Tino non era tanto l'essere accostato ad avi così buffi. In tutte le famiglie vi sono le mele marce, anche se nella sua ve ne erano parecchie più rispetto alla media. Quello che gli faceva stringere le chiappe, era il ricordo dei predecessori numero sette e quattordici. Soprattutto perché essendo lui il ventuno, faceva parte di quella progressione. Quei due erano stati uccisi dai loro generali nel giorno dell'incoronazione, entrambi in maniera estremamente brutale e sanguinolenta. Il principe non era mai stato particolarmente superstizioso, ma il fatto di compiere ventuno anni proprio nel giorno in cui sarebbe stato incoronato ventunesimo Sovrano del Regno, non lo rassicurava, visti i precedenti. Aveva riflettuto molto sulla questione e in effetti l'idea gli aveva fatto venire i brividi più di una volta. Parlando con la madre si era tranquillizzato, poiché lei aveva avanzato un'ipotesi sensata. “Secondo me, puoi stare tranquillo. Quei due sono stati sì uccisi dai loro generali, ma avevano già degli eredi. Mentre tu non hai ancora figli. I traditori sapevano di non poter indossare la corona, il popolo non lo avrebbe mai concesso. Volevano avere sovrani bambini per poter fare tutto quello che volevano. Ma tu non ti sei ancora sposato, e passeranno almeno tre o quattro anni prima di avere un erede. Per quell'epoca sarai un Re forte e nessuno potrà metterti in pericolo”. Era una buona interpretazione, Tino lo doveva riconoscere. Eppure non bastava a tranquillizzarlo, non del tutto. A proposito di eredi, la sua mente volò verso la sua promessa sposa, una principessa brutta come il culo e minacciosa come un'arpia. Sul volto del giovane apparve una smorfia simile a quella che avrebbe prodotto se avesse mangiato dieci cimici delle piante. Ma perché quella ciospa era toccata a lui? Perché dovevano imparentarsi proprio con i Savoia? Si sapeva che in quella dinastia erano tutti brutti, mezzi nani e decisamente storti, anche se si ostinavano a sposare principesse o nobili tra le più belle e alte di statura. Alla fine, il sangue di quei franco-italiani vinceva sempre, rendendo degli autentici cessi i loro eredi, ambosessi. La Regina entrò nella sala da pranzo e come ogni volta il figlio rimase impressionato dalla sua avvenenza. Lei sì che era una sventola, alta, con delle curve da urlo e un viso da fata. Era ancora giovane, poiché l'aveva partorito a sedici anni: perché la sua fidanzata non somigliava a una donna come quella? Anche il Maestro del Cerimoniale irruppe nella stanza e la giornata di gloria cominciò, finalmente frenetica. Tino sedeva in camera da letto, i piedi immersi in un rigenerante pediluvio, mentre la mente vagava, perdendosi nei ricordi di quell'entusiasmante giornata. Quando l'Arcivescovo gli aveva posto la scintillante corona sul capo, aveva sentito dentro di se delle energie supplementari, guidate da una sorta di “forza”. Per alcuni istanti aveva davvero creduto che esistesse un Dio, cosa che prima non aveva mai ritenuto possibile. Poi la voce effeminata del pretone lo aveva riportato alla realtà e al disgusto che da sempre provava nei suoi confronti. Si diceva che il sacerdote si trastullasse con i giovinetti e a Tino ciò aveva sempre cagionato il vomito. Una mano leggera bussò alla porta e il Re concesse di entrare senza chiedere chi fosse, poiché sapeva già di chi si trattava. La madre si introdusse nella stanza, portando con se un vassoio. Per loro quello era un rito: si davano sempre la buonanotte e ogni volta Tino beveva una tazza calda di caffè. A lui il liquido nero e forte non impediva di prendere sonno. Anzi spesso finiva per conciliarglielo e regalargli dei sogni più che piacevoli. “Mio Re, sono lieta di avere l'opportunità di darvi ancora la buona notte! Lode ad Alberto XXI, lode al Regno!” Tino si alzò in piedi e sparpagliò l'acqua ovunque fuori dalla bacinella, mentre si accingeva ad abbracciare la madre. “Madre, vi prego, io per voi sarò sempre Tino!” La donna lo strinse e gli scoccò un paio di bacioni sulle guance, per poi uscire leggera come era entrata. Il giovane Re non poté fare a meno di fissarle il posteriore. Soffiò sul caffè e cominciò a sorbirlo lentamente, con fare meditativo. Non lo zuccherava mai, amandone la naturale amarezza. Quella particolare tazza nera e bollente gli parve ancora più forte del solito, quasi acre nel sapore e la cosa gli piacque oltre misura. Spalancò gli occhi, deliziato, e mandò giù la bevanda in un paio di lunghi sorsi. Un dubbio atroce balzò nella sua mente, circa trenta secondi dopo aver finito il caffè, mentre la vista gli si abbassava. Numero sette, numero quattordici ed ora numero ventuno. I metodi cambiano ma le abitudini restano. Nel suo caso senza spargimento di sangue, ma la sostanza rimaneva, inalterata. Chi era stato? Chi aveva progettato il suo assassinio? Tino sperò almeno in un funerale decente, glielo dovevano. Con un ultimo bagliore di lucidità, si avvide che la madre era tornata nella stanza, assieme ad uno dei generali più importanti del Regno. Credendolo già morto, i due parlarono liberamente. “Alla fine l'hai avvelenato davvero, Ada. Non pensavo che ne saresti stata capace, era pur sempre tuo figlio”. “Assomigliava troppo al mio defunto marito per potermici affezionare. E poi, pur non essendo un'aquila, questo ragazzo era meglio dei suoi predecessori. Non avremmo potuto guidarlo come avremmo voluto, e quindi era necessario eliminarlo. Tra sei mesi, terminato il lutto, sarò la tua Regina, ma nulla ci vieta di mettere in cantiere un marmocchio fin da subito”. “Ma certo amore mio, ma certo”. L'ultimo pensiero di Tino non fu dei più sereni: “Era lei la traditrice! Ecco perché mi rassicurava, la troia...” I regicidi furono due Sovrani di cambiamento, amati e rispettati in tutto il Mondo. Ebbero tre figli, uno più bello dell'altro. E nessuno indagò troppo su come fossero riusciti ad impossessarsi del Regno. Se Tino avesse potuto vedere il funerale, tutto sommato ne sarebbe rimasto compiaciuto. Si era trattata di una cerimonia semplice, eppure abbastanza sentita. Il maggiordomo Medardo aveva anche pianto, sinceramente commosso. O forse perché era stato retrocesso a spalare letame nelle stalle dei maiali. La tomba del “Re per otto ore”, era sita nel cimitero un tempo chiamato Reale, ora Monumentale. Si trattava di una semplice ma piacevole casetta, costruita in solido marmo di Carrara. Solo la scritta sulla lapide gli avrebbe fatto storcere la bocca: “Alberto XXI, seppe molto apprezzare, l'amaro nella vita”. |
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Quibus die mille vicibus se sarcinat ille.
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La terza domanda
“Zitto! Stia zitto per favore. Ne ho avuto abbastanza per questa settimana. Ci vediamo lunedì prossimo. Buono studio a tutti.” “Vuole fare il simpatico, Maestro Agnolucci? Oppure si è semplicemente alterato, come al solito?” “Uuuh che domanda, difficilissima direi. Ragazzi, con questa vi giocate la sufficienza.” “Termine azzardato, caro collega. Vuole l'ultima domanda? Eccola: qual è l'ultima arrivata fra le ventuno?” “Sì, esatto, la seconda ed ultima domanda. Squinternato che non è altro.” “Risponda, per favore!” “...” “Quale punto? L'altra domanda?” “Perché non la smette di stuzzicarmi, caro Maestro Berretti, e non viene al punto?” “Oh no. Ragazzi, attenzione! Il Maestro Agnolucci si sta innervosendo, ho paura che questa conversazione durerà poco, come quasi ogni lunedì. Manca ancora una domanda da porvi, devo fare in fretta, prima che si arrabbi del tutto.” “Non so, forse ha ragione. Potrei addirittura proporlo come argomento del prossimo lunedì...” “Maestro Agnolucci, a questo punto poteva anche spiegare ai suoi alunni cosa significa il termine digressioni, che forse non tutti fra loro conoscono.” “Lasciate perdere le nostre digressioni, aggiungerei, cari ragazzi...sapete bene che i vostri due Maestri sono un po' fantasiosi. Quindi concentratevi unicamente sulla domanda appena posta.” “Invece di addentrarsi in discorsi troppo tecnici, direi di restare su un livello che i ragazzi possano capire. A questo punto ho la prima domanda per voi studenti: da dove deriva il numero ventuno? Ve ne abbiamo parlato a lezione, più volte, e per voi dovrebbe essere facile rispondere.” “Hanno anche avuto una storia differente, magari la componente determinante è stata questa.” “Gli altri linguaggi nel mondo provano il contrario, lo sa bene. La costruzione delle parole e delle frasi è talvolta profondamente diversa.” “Forse non sarebbe cambiato niente.” “Ehm...dunque, avrei tante cose su cui discutere insieme. Per esempio: si immagina se invece di ventuno fossero state quindici lettere? Oppure dieci? O trenta?” “Dai, Maestro Berretti, ecco carta e penna, scriverò io. Mi faccia vedere di che pasta è fatto: da dove partiamo?” “Certo, sapevo che l'avrebbe fatto, esimio Maestro Agnolucci. Allora direi di cominciare a trascrivere questa nostra conversazione, va bene?” “Beh, collega, dico che lei è un po' strano, come quasi ogni lunedì; e come lo sono anche io, del resto. In fin dei conti, mi sembra di esserle già venuto dietro in questa idea strampalata, dato che ho iniziato a parlare con la lettera B…” “Allora, ho trovato l'argomento di studio per i ragazzi, secondo me ne andranno matti. Per questo test del lunedì della 1°A della scuola elementare Francesco Redi parleremo di...alfabeto. Aspetti, aspetti, non storca il naso; ho già in mente le due domande da porre, si fidi. Sì, solo due domande questa settimana, perché al posto della terza vorrei aggiungere un'altra difficoltà: che ne dice se scriviamo il testo di esercizio cominciando ogni nostro intervento con una lettere diversa, e addirittura andando all'indietro nell'alfabeto? Vedrà che li stupiremo.” |
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