Tavajigen ha scritto:
Grazie steve per la raccolta voti!
Premessa ai commenti: la tornata epica è stato un evidente disastro.
Di sicuro il problema maggiore è stato accoppiarla alla fase estiva, faccio mea culpa perché mi pare di averlo proposto io. Sommare il maggior numero di battute ad un periodo in cui di solito si scrive meno ha portato a questo pessimo risultato in numero di partecipanti.
Vorrei fare inoltre un appunto, che sicuramente ho già fatto, a questo concorso: i temi affrontati finora li ho trovati davvero brutti.
Spero che con il prossimo tema, che penso sia davvero stimolante, molta gente torni a scrivere!
Questa è l'ennesima dimostrazione che la "democrazia totale" non funziona. Non ho partecipato alla discussione sui temi e non ne ho proposto nemmeno uno, limitandomi unicamente a indicare una delle tracce nel racconto a tracce, ma in generale ho amato poco i temi di questa edizione. Bisogna studiare un sistema di designazione e non utilizzare più quello del sorteggio totale, perché c'è il rischio che risucceda quello che è successo a questo giro, ovvero che la partecipazione sia troppo bassa. Io ho deciso di scrivere sempre su UniVersi, per una ragione personale, per il bisogno di tenermi sempre allenato con la scrittura, anche quando non mi viene nulla di che come originalità, perché ritengo che lo scrivere sia anche una forma di artigianato e perché ho bisogno di imparare, e forzarmi e sforzarmi per me è importante. Poco importa se gli ultimi due racconti non siano magari stati granché, sono comunque due buoni punti di partenza per altro e sono un modo per tenere allenata e viva una parte di me che non sempre ha saputo essere concludente.
Tavajigen ha scritto:
Nataihiri: 5
Dunque, questo racconto presenta due degli aspetti che meno sopporto nella lettura:
1) E’ una sorta di blocco compatto, con pochi capoversi, mi dà proprio fastidio durante la lettura. Questo comunque è un aspetto esclusivamente "visivo", a cui alla fine dò poco peso.
2) La cosa che proprio non ho sopportato è invece la costruzione fatta esclusivamente a spiegone. Tutto ciò che viene raccontato, dall’inizio alla fine, viene solo elencato di seguito dall’autore, come semplice susseguirsi di fatti, portandomi ad annoiare. La storia è già di suo piuttosto scontata e rivista (siamo nel filone di Pocahontas, Balla coi Lupi, Avatar, eccetera eccetera), se poi ci si limita a narrarla come "lista" non se ne esce più.
Capisco che l'intento sia stato quello di scrivere una sorta di lettera, quindi alla fine lo spiegone ci sta da un punto di vista logico, ma secondo me l’autore (per evitare di rischiare di annoiare il lettore) avrebbe potuto benissimo rendere la storia come diario o simili, raccontando tutto tramite episodi, lasciando così all’immaginazione del lettore il compito di capire quello che stava succedendo e che stava passando nella testa del protagonista (la madre che si ammala, il babbo alcolizzato, i problemi sociali con gli altri medici, la partenza, la ricerca delle origini in India, eccetera, potevano essere resi con situazioni di vita vissuta facilmente ideabili).
Alla fine dispiace perché la storia mi sembra sorretta da un background credibile, dato sia dall’ambientazione sia da alcuni spunti intelligenti, come ad esempio il fatto che gli indigeni credono che lui sia uno dei bambini rapiti tornato, o come l’accenno alla conversione cristiana che fa del perdono la sua forza. Queste ed altre sono sottigliezze che aiutano ad immedesimarsi e ad entrare dentro il racconto, e le ho apprezzate.
Insomma l’idea c’era, seppur scontata, la realizzazione invece è pienamente insufficiente, per questo siamo sul 5. Mi dispiace!
Ecco, mi riallaccio a quello che ho scritto nei commenti della scorsa tornata, riguardo alla credibilità dei commenti e all'attenzione con cui vengono letti e immaganizzati i racconti: posso non condividere alcuni aspetti di questo giudizio, ma devo dire che lo trovo coerente, ben spiegato e ragionato, del tutto credibile. Condivido l'aspetto riguardo al concetto di "spiegone", originato da due problemi:
1) Questa è la prima versione assoluta, senza nessun tipo di rielaborazione (io rielaboro moltissimo tutti i racconti), scritto in pochissimo tempo (e questo va a detrimento di molte cose, essendo un racconto più lungo rispetto a tutti gli altri qua su UniVersi) e rivisto alla meglio, facendo altro. Sono rimasto in dubbio se pubblicarlo o meno, sapendolo insuffiente sotto diversi punti di vista, poi però l'ho fatto proprio perché ho ritenuto importante sforzarmi e forzarmi. Non sempre si hanno idee innovative, ma è importante scrivere per sé stessi e scrivere per gli altri (i due piani, per me, sono indistricabili), anche se non sempre si riesce a fare bene.
2) Condivido quello che scrivi, anche perché non è scritto bene come gli altri e non solo per la velocità con cui il tutto è stato buttato giù. Ho voluto scrivere frasi più lunghe rispetto a quelle che produco normalmente, per cercare di scrivere in modo maggiormente simile al periodo letterario al quale è riferita la storia. Un inglese delle cassi alte, formatosi nell'800, poteva avere questo modo di scrivere, anche se la maggiorparte dei termini sono di oggi e non di allora. Ho tentato una sorta di fusion linguistica, che non è ruscita granché se non nella costruzione di alcune frasi, ma non in senso omogeneo rispetto al tutto.
Quindi concordo su una buona parte di quello che scrivi, molto meno su quello che dici riguardo al filone pocahontas et similia. Là si presenta la cultura che finirà per diventare la nuova cultura del protagonista, o comunque la nuova patria, in maniera dettagliata. L'ospite vi entra piano piano, scegliendo un ritorno alla terra, un cambiamento di prospettiva, una nuova identità. Qua è diverso, qua il protagonista non sente più avere una cultura, respito da entrambi i popoli dai quali proviene, qua entra in un nuovo mondo "umano" e "umanistico", grazie al fatto che si rende conto che la sua patria è con sé in qualunque momento, che gli spiriti o se vogliamo meglio le radici, se le porta sempre dietro in qualunque istante, anche se è un rito indigeno a farglielo capire. La sua è gratidune perché la sua nuova gente gli ha fatto capire una cosa, ma non sposa la cultura indigena perché alla fine la preferisce alla propria, ma semplicemente perché non sente di averne nessuna e allo stesso di avere comunque sé stesso. E' un racconto profondamente individualista, mentre il filone a cui fai riferimento tu, si trasforma spesso in narrazioni collettivistiche oppure semplicemente di denuncia: meglio gli "altri" rispetto ai bianchi imperialisti (ecc). Credo che questa sia una differenza davvero sostanziale rispetto a quello che dici, ma sui temi di scrittura e costruzione generale non posso che essere pienamente d'accordo con te.
Aggiungo una cosa, per me importante: il racconto è estremamente documentato, sia per quanto riguarda le rotte della Royal Navy, sia per quanto riguarda gli elementi inseriti sulla vita indigena, specialmente riguardo al rito della kava. I nomi, invece, vengono dalla cultura tahitiana, in parte perché è più difficile reperire nomi delle Isole Vanuatu (Nuove Ebridi per gli europei), sia per un mio gioco personale. In passato ho provato grande interesse riguardo alle culture oceaniche, è ho letto diversi testi a riguardo, sia saggi che romanzi.