Eccomi qua! Intanto ringrazio tutti voi per l'apprezzamento verso il mio racconto, per il premio critica (a sto giro ci tenevo moltissimo e sono orgoglioso di questa unanimità) e soprattutto Max per questo revival di UniVersi!
Ma andiamo ai racconti!
L'ultima cena del silenzio
Ne ho apprezzato molto la scrittura decisamente evocativa. Il racconto trasmette molto bene le emozioni che l’autore vuole comunicare, rendendosi molto gradevole a dispetto della trama tutto sommato non molto originale, e si viene accompagnati molto bene nella graduale, crescente solitudine della protagonista.
Mi è piaciuto molto l’incipit (“causa e conseguenza del profondo affetto, e per questo sua rappresentazione più sincera”) che svolge molto bene il suo lavoro di incipit presentando quasi ironicamente la visione tutta soggettiva e vagamente distorta di Vittoria, che vede sincerità e autenticità nella sua ritualità forzata e artificiosa.
C’è un leggero calo nella parte centrale, soprattutto a livello narrativo, con l’espediente un po’ surreale che dà la svolta al racconto. Nota surreale che ho trovato leggermente sgradevole al palato (nonostante in genere lo apprezzi molto) ma che stona leggermente in un racconto che, per il resto, surreale non mi pare voglia essere. Non saprei dire se sia l’espediente di per sé o il modo un po’ affrettato con cui viene presentato, ma che una famiglia a caccia di un parente sconosciuto possa entrare nella vita della protagonista in modo così brusco, saltando ogni cerimonia mentre commette un errore di persona così marchiano, spezza un po’ la sospensione dell’incredulità. Forse allungare e curare un po’ di più questo passaggio, giustificando il tutto con un approccio più graduale della nuova famiglia, avrebbe reso il racconto più fluido… o forse ne avrebbe al contrario spezzato il ritmo, chissà.
È comunque un peccato veniale: il racconto si riprende in fretta e sfocia in un finale che mi ha conquistato. Bellissima la metafora finale della risata che erutta e scaccia il silenzio. Un premio critica assegnato senza troppi dubbi: lo stile è decisamente il punto forte di questo racconto.
Ho una sola perplessità: non mi è ben chiaro cosa rappresenta quel “Qua!” indicato come “verso della papera”, da dove arriva e chi lo pronuncia esattamente, o cosa raffiguri.
La cena del giorno dopo
Racconto strano e sembra un po’ mollato a metà (non solo nel finale, ma nella cura generale e nella realizzazione dell’idea). Non è nemmeno ben chiaro se sia effettivamente, come sembra, un tentato esercizio di stile nel non raccontare nulla o qualcosa che voleva e poteva essere leggermente di più, ma poi abbandonato. Mi son fatto l’idea che sia entrambe le cose: un racconto buttato giù in tutta fretta per onorare il concorso, ma che delude proprio perché in realtà fa intravedere molto potenziale.
Un difetto grave, per me, è che il tema della cena sembra essere anche meno di una cornice: il racconto potrebbe traslarsi ovunque. Eppure l’idea di fondo era validissima e trovo simpatico il tentativo di presentarci una notizia eclatante, al centro del racconto, che cambia totalmente l’animo dei protagonisti, senza effettivamente rivelarla. Mi ha ricordato la mitica valigetta di Pulp Fiction. Il problema è che questo espediente non viene sfruttato davvero. Anche solo descrivere come i protagonisti cambiano atteggiamento verso il cibo, prima e dopo la notizia, facendo in modo che sia la cena e l’atto del mangiare a rivelarcene l’importanza, poteva costituire un’idea per un ulteriore sviluppo e per mettere al centro il tema del concorso, rendendo al contempo il racconto molto più interessante e originale. Insomma, è un peccato proprio perché l’autore aveva nel piede un gran gol, ma il tiro è uscito a fil di palo.
C’è qualche piccolo errore qua e là che salta all’occhio: dovrebbe essere “le spiegai” invece di “gli”. Subito sotto “capii al volo” doveva forse essere un “capì”? Sembrano errori dovuti a una mancata o frettolosa rilettura, a confermare l’impressione di un racconto scritto in tutta fretta, perché per il resto la scrittura sembra valida e sufficientemente esperta.
Ma i nomi? Simangaliso da dove lo hai preso?
Il commensale
Invidio tantissimo chi riesce a scrivere così. Rendere interessante e realistico il discorso diretto, i dialoghi, è qualcosa che mi appare tremendamente difficile ed è sicuramente il principale punto debole della mia scrittura. Qui vien fatto in maniera perfetta e appassionante, sia nelle frasi pronunciate dal protagonista, che nell’inserimento all’interno dell’ambiente circostante, con le descrizioni e le reazioni del suo commensale immaginario: il meccanismo è perfetto e senza sbavature. Una scrittura che cattura e sa essere evocativa. Mi ha infatti restituito e riportato le atmosfere di un bel thriller recente: The Lighthouse.
Sorprendentemente l’unico racconto a tema covid, anche se forse è stato più un desiderio dell’autore di attualizzarlo? L’idea forse avrebbe funzionato anche meglio in un meno definito contesto post apocalittico, ma d’altra parte si sarebbe persa la divertente digressione sui pipistrelli. Va detto che la velata ironia di fondo, nel monologo un po’ sconclusionato del protagonista e nelle sue contraddizioni, è decisamente il punto forte del racconto.
Il finale forse è eccessivamente telefonato e rivelato in maniera un po’ troppo aperta. L’avrei lasciato sotto il manto del dubbio e una più sottile metafora. Ma è davvero cercare il pelo nell’uovo. Ottima prova.
Segnalo un typo a due terzi del racconto: “No, non possono andarmene”.
Fagiani a cena
Adoro! Racconto geniale! Mi sono sganasciato dal ridere. Ritmo e tempi comici assolutamente perfetti! Freddure che in qualche caso si potrebbero giudicare tranquillamente come banali o troppo idiote per far sorridere, riescono a trovare qui una comicità inusitata semplicemente per mano della penna dell’autore, che le inserisce magistralmente nel ritmo dei dialoghi. Il meccanismo comico è inappuntabile!
A dare ancora più forza al surrealismo e all’assurdità dei dialoghi concorre lo stile delle descrizioni, al contrario molto raffinate e curate: l’estremo contrasto rafforza imprevedibilmente tutto l’impianto. Scrivere per far ridere è secondo me una delle cose più difficili in assoluto, nel mondo della scrittura, e questo racconto secondo me rivela un autentico talento.
Unico appunto: un uso un po’ generoso delle virgole, laddove a mio parere sarebbero più indicati altri segni di interpunzione.
Parentesi divertente: ci sono quasi rimasto leggendolo, dato che il racconto è ambientato a Bologna (non mi pare di averti chiesto il perché della scelta) e vede protagonista un soggetto di nome Tony. Uno dei miei migliori amici si chiama esattamente Tony (con la y), ama giocare a fare il detective e coltiva zafferano (e ci sono parecchie altre coincidenze qua e là). Ho pensato si fosse rotto Matrix.