Ho bisogno di scrivere qualcosa, perché mi sento come un vecchio pugile suonato, ormai stanco, debole, quasi al tappeto.
Ho bisogno di scrivere perché secondo me questa storia merita di essere raccontata. Non voglio - benché ogni commento sarà ben accetto - compassione o cose del genere, ho solo bisogno di condividere con voi quelli che sono stati i miei ultimi quattro anni lavorativi.
Siamo nel 2011, Febbraio. Sono fresco di laurea conseguita a Dicembre 2010 e sono alla ricerca come molti giovani come me, di un impiego che mi consenta l'inserimento nel mondo del lavoro. Quando appunto, a Febbraio, mi viene proposto un contratto CO.CO.PRO. di un anno al fine di inserirmi nel mondo del lavoro, ovviamente, non ci penso due volte e accetto. La ditta è molto piccola (6-7 dipendenti) e c'è solo un programmatore come me, però nel colloquio conoscitivo capisco - ma in futuro mi ricrederò - che questa potrebbe essere una persona valida con la quale lavorare fianco a fianco. Penso che potrò apprendere molto da lui e quindi i miei stimoli sono a mille. Dopo appena sei mesi di lavoro riesco a prendere le redini di qualche progetto e la stima nei miei confronti sale esponenzialmente. Un retroscena inaspettato del lavoro è che riesco a stringere un rapporto molto forte con mio padre da quel periodo in avanti.
"Cosa c'entra tuo padre con il lavoro?" vi chiederete voi.
"Nulla" è la risposta, se non fosse che, da allora, mio padre ha smesso di considerarmi un ragazzino senza una propria opionione, una propria cultura, una propria abilità, ed inizia a considerarmi un adulto. Per me che non ho mai avuto un buon rapporto con il mio giovane (50 anni, 46 ai tempi) padre è stata una delle svolte più clamorosamente inaspettate della mia vita.
Ma andiamo avanti...
Finito il primo anno lavorativo, proprio a ridosso della scadenza del contratto, viste le responsabilità che mi ritrovavo già da allora a ricoprire, mi sarei aspettato un rinnovo contrattuale a condizioni migliori. Il rinnovo arriva ma sono costretto ad accettare un nuovo CO.CO.PRO. di un anno perché il datore di lavoro mi convince che non ci sono altre possibilità. Faccio fatica ad accettare ma quando ripenso a quanto questo lavoro mi abbia portato sia in termini di esperienza e skills, sia a livello di vita privata, quando ripenso al fatto che il lavoro scarseggia e che comunque almeno un paio di anni di esperienza sono richieste da tutti, accetto facendo buon viso a cattivo gioco.
Nel corso del mio secondo anno divento sempre più importante per il team: non sono io a dirlo, lo dicono i fatti, lo dicono i colleghi, lo dicono i clienti. Quattro mesi prima che il contratto scadesse, vengo messo a capo di un progetto che devo ideare e realizzare in maniera autonoma, coadiuvato dal mio superiore. Non sto nella pelle e si parte alla stragrande. Non c'è bisono di dire, ma lo farò lo stesso, che se messo a capo di un progetto, probabilmente, il mio contratto si considera tacitamente rinnovato.
Un paio di mesi prima della scadenza del contratto vengo contattato da una ditta di Rimini. Faccio il colloquio per capire cosa hanno da offrirmi. E loro mettono sul piatto della bilancia un bel mattone: contratto a tempo indeterminato, in una ditta di medie dimensioni e conosciuta nel settore, e sopratutto quasi il doppio dello stipendio.
Ci penso uno, due, tre giorni (e perché mai, vi chiederete voi; attendete per favore) ed alla fine decido di parlarne con il mio datore di lavoro. Non vado a parlarne con la prepotenza di chi vuole ricattare il proprio "padrone", anzi. In maniera molto tranquilla gli espongo la situazione e gli chiedo cosa lui ne pensi. Lui non ci riflette nemmeno un secondo e pareggia l'offerta della ditta romagnola. Accetto, ovviamente, di rimanere con il mio attuale team che nel corso dei due anni trascorsi non è più un semplice team di lavoro, ma un vero e proprio gruppo di amici.
Nel corso di quel mese succede di tutto: una collega si licenzia per incompatibilità di vedute con il datore di lavoro, lo stipendio per la prima volta in due anni tarda ad arrivare, vedo colleghi in evidente stato di apprensione. Il mese successivo, quando il contratto sarebbe terminato, il datore di lavoro ci convoca e ci espone la situazione: la ditta ha 800.000 € di debiti (non chiedetemi come) di cui 300.000 € con lo stato (iva non versata, contributi non versati, ecc).
Non descriverò il mio stato d'animo, non credo ce ne sia alcun bisogno.
I giorni passano nella completa incertezza. Io da un lato mi considero anche abbastanza fortunato; dopotutto avanzo due stipendi da CO.CO.PRO. e nessun TFR!
Qualche collega, invece, avanza molto più di uno stipendio e sopratutto decine di migliaia di euro di TFR (lasciato in azienda) che a questo punto non si sa quando riavrà (nel momento in cui scrivo, la procedura fallimentare della precedente ditta è ormai terminata ma, non essendoci liquidi, nessun creditore è ancora stato saldato).
Ad un certo punto ci viene proposta una cosa da un consulente presso il quale ci siamo recati per capire come tutelarci: se il datore di lavoro fosse d'accordo, potremmo creare una cooperativa gestita da (ormai ex) dipendenti, rilevare un ramo d'azienda e dare continuità alle nostre posizioni lavorative.
L'idea ci pare dopotutto buona: magari potremo dare una raddrizzata alle nostre vite lavorative.
Verificata la fattibilità (non vi annoio con questi dettagli) decidiamo di fare tale mossa.
Alla vigilia della fondazione della cooperativa, il mio superiore ci raduna tutti all'interno della stanza e tiene un discorso dai toni decisamente moraleggianti che vi asciugo in: "ragazzi, se decidiamo oggi di fare questa cosa, la facciamo tutti insieme. Guardiamoci in faccia e diciamocelo: o si o no. Se qualcuno non è convinto se ne vada ora perché non accetterei che tra un paio di mesi qualcuno si tirasse indietro".
Accettiamo tutti ovviamente. Fondiamo la cooperativa, facciamo l'atto di affitto di ramo aziendale. Ci trasferiamo nel nuovo ufficio. Tempi? Dieci giorni massimo.
A quel punto l'individuo del discorso precedente ci raduna di nuovo in una stanza del nuovo ufficio.
La notizia? Nemmeno a dirlo: lui non se la sente ed ha trovato un'altra occasione. Tempo una settimana e se ne andrà.
Anche qui non voglio scendere in commenti personali perché ormai la situazione mi fa solamente sorridere.
Ad ogni modo tutti i colleghi ora guardano me, si aspettano che io dica qualcosa. Intimamente vorrei direi che non me la sento di prendere in carico tutta la gestione dei server, perché veramente dopo due anni non posso rimpiazzare (rimamendo solo) una persona con 15 anni di esperienza. Non potevo allora e non posso ora (credo). Inoltre penso che questa cosa non potrà mai farmi crescere a livello professionale: sono un ottimo secondo violino, ma ho bisogno di un direttore d'orchestra; sarà un limite, ma è così.
In quel momento sto per dire di no, che non me la sento. Mi giro intorno e guardo la faccia delle persone che sembrano implorarmi "puoi rimanere, per favore?"
Le guardo attentamente ed analizzo:
- Una ragazza sulla quarantina con il marito in cassa integrazione. Un affitto da pagare. Una figlia piccola, un'altra in arrivo.
- Un ragazzo sulla quarantina con due figli. Separato. Deve pagare gli alimenti all'ex moglie. Vive ancora dai suoi.
- Una ragazza con un figlio in arrivo; nessun compagno.
Chiamatemi pure stupido ma non ci sono riuscito a dire di no. Non ci sono riuscito perché io ho avuto una possibilità: quella di scegliere. Loro no, loro sono stati spettatori della mia scelta. Avrei potuto pensare per me, è vero, ma mi sono detto che a 25 anni avevo ancora una vita davanti per pensare a me stesso, che forse avrei potuto tentare, e se non fossi stato in grado o non fossi stato contento avrei poi, una volta avviato il tutto, cercato un sostituto.
Accetto e lo faccio.
I mesi successivi mi tolgono il sonno: lavoro come sviluppatore di software e sistemista ed i servizi sono real time; se qualcosa si blocca sono io il responsabile e devo riattivare i servizi in men che non si dica. Con il tempo ci faccio il callo: esperienza si dice.
Ad ogni modo - doveri di cronaca - nel contratto di comodato d'uso d'azienda c'è scritto chiaramente che il comodato viene a cessare in caso di fallimento della ditta che concede il ramo aziendale. E' altresì vero che noi, intesi come cooperativa, abbiamo un diritto di prelazione d'acquisto.
Succede che la ditta però non si regge in piedi: già dopo un paio di mesi con stipendi minimi (intesi come sindacalmente minimi) non riusciamo a pagarci regolarmente gli stessi. Precipitiamo in un baratro. Arriviamo addirittura a 4-5 stipendi arretrati nel corso dei mesi.
Come vi sentireste se foste uno dei sette co-autori della sventura di una società? Io per nulla bene, per nulla. Anche se so di aver dato tutto, non sono per nulla tranquillo.
Ogni tanto il pensiero di mollare mi sfiora la mente. Alla fine ci abbiamo provato, ci ho provato: evidentemente non siamo in grado di portare avanti una società, evidentemente il momento storico non ci aiuta, evidentemente non siamo bravi. Non saprei, ma il dato di fatto è che questa cosa non si regge in piedi.
Piano piano le figure si iniziano a sfilare e noi, da bravi "coglioni", ogni volta che ci sono un po' di soldi li ridividiamo per sette (compresi quindi ormai ex dipendenti) invece di dividerli per quelli che siamo rimasti.
A dicembre 2014 la decisione che ormai tutti aspettavano ma nessuno aveva il coraggio di dire. Convoco tutti. "Signori, secondo me dobbiamo pensare di metterci tutti a part-time per recuperare ciò che dobbiamo recuperare e poi chiudere".
Sono tutti d'accordo. Facciamo i conti per capire quale dovrebbe essere il range temporale di chiusura che viene fissato per Giugno.
Tutti ci sentiamo più sollevati: sta per finire un calvario lungo due anni e mezzo circa.
Nel frattempo la ditta originale fallisce, il curatore fallimentare ci contatta e ci dice che il contratto si intende risolto a meno di non fare un'offerta d'acquisto della precedente ditta. Ovviamente se vogliamo rientrare dei nostri soldi abbiamo l'obbligo di riscattare la ditta. Prendiamo tempo affinché questo riscatto arrivi il più tardi possibile (magari non ce ne sarà nemmeno bisogno).
Un giorno di fine Gennaio il curatore ci mette alle strette e siamo costretti a dirgli che entro metà Febbraio formuleremo una offerta d'acquisto.
A metà Febbraio formuliamo un'offerta di 2.000 €: potrà sembrare non congrua ma bisogna tenere conto del fatto che tale cifra è data unicamente dai beni tecnologici della società. Qualsiasi altro tipo di bene (software ecc) non è da considerare nel computo in quanto, se la ditta tornasse in mano al curatore, il software si fermerebbe ed il fatturato sarebbe da lì in poi pari a zero.
Nel frattempo uno dei colleghi ci riflette e, con l'ausilio di un conoscente, decide di rilevare lui la ditta pagando di tasca sua i 2.000 € e ci ammette a lavorare con lui mantenendo anche la cooperativa, se vogliamo. Siccome non è cambiato nulla rispetto a Novembre, quasi nessuno accetta e lui dichiara di voler proseguire da solo.
Quello che ci chiede è di poter rimanere con lui almeno fino a Giugno in modo da poter fare un passaggio di consegne "indolore".
E qui arrivano i primi lupi travestiti da pecore: quando le persone sentono questo decidono, ad una ad una, di abbandonare la nave. D'altronde se la cosa va avanti anche senza di loro, che senso ha rimanere a lavorare fintanto che ci sono altri che lavorano per te e possono farti rientrare dei tuoi soldi? Mi sembra logico.
Io sono l'unico che da la sua disponibilità: più per amicizia e senso del dovere che per altro.
E' notizia odierna che, oltre a varie ingiunzioni di ex dipendenti (della nuova cooperativa che si sono già sfilati dalla società), una delle creditrici della precedente società (quella pre-cooperativa) che nel frattempo è passata alla concorrenza, ha rifiutato (si, perché è nel diritto dei creditori) la nostra proposta di acquisto di 2.000 € in quanto ritenuta non congrua. Se almeno due altri creditori non accetteranno tale proposta, non riusciremo nemmeno ad arrivare a Giugno con conseguente impossibilità di recupero degli stipendi (di tutti) ma, a questo punto, con l'impossibilità per il mio collega di continuare l'attività lavorativa.
Ovviamente questa ex dipendente sta rifiutando l'offerta perché, in caso di revoca del comodato, potrà andare da tutti i nostri clienti, comunicare PER PRIMA la notizia e portarli nella società per la quale lavora.
E dire che noi con questa persona eravamo anche in bei rapporti.
Sono veramente distrutto da questa notizia, perché ogni giorno le cose mutano (in peggio).
Nonostante abbia deciso di seguire la mia ragazza in Belgio da Luglio a Settembre, non riesco a trovare la tranquillità da due anni e mezzo a questa parte. Più la cerco, più mi illudo di esserci arrivato, e meno riesco a stare in equilibrio.
Sono stanco, e benché a Giugno (nella migliore delle ipotesi) per me sarà tutto finito, non riesco a togliermi dalla testa tutto quello che ho passato per arrivare fino a qui, tutte le persone che si sono rivelate degli squali e quelle che, anche sul lato umano (ammesso che la cosa sia scindibile) si sono dimostrate assolutamente insensibili.
Stasera mentre cenavo ero assente ed avrei solo avuto voglia di tirare qualsiasi cosa contro il muro.
Siamo gli uni contro gli altri, sempre, in una giungla dove regna sovrana la legge di Darwin. E mi fa schifo. Non che sia nuova, ma ogni volta è come un taglio che produrrà una cicatrice.
Scusate la lunghezza del post (che non rileggerò) e scusate lo sfogo.