DQ. ha scritto:
Esatto Wong, sono d'accordissimo.
Ma la parte più interessante di tutto il saggio è quella in cui spiega come, secondo lei, si debba imparare anzitutto a leggere.
Bisogna imparare a leggere. Così come bisogna imparare ad ascoltare e a osservare. Conosco centinaia di persone che leggono e leggono, ma se gli chiedi un'opinione personale, un pensiero...se gli chiedi di elaborare qualcosa di proprio, fanno una confusione immensa.
In alcune persone leggere, e soprattutto farlo senza saperlo fare, contribuisce allo spegnimento del cervello, cioè che il soggetto trova in ogni cosa che vive e pensa, un collegamento con qualcosa di altri, perdendo il contatto con sé stesso. E' una cosa, secondo me, piuttosto diffusa e che continua a diffondersi esponenzialmente. Già l'ho detto in altri thread e non mi dilungo su questo aspetto.
Per me le due attività sono strettamente connesse, nei romanzi, o nelle poesie, cogliamo ciò che vogliamo dire noi stessi, ciò che abbiamo pensato o provato, sognamo con le parole altrui, mentre quando scriviamo vogliamo far provare queste stesse sensazioni ad altri.
Questo è un altro aspetto per me fondamentale.
Nelle parole di Virginia Woolf viene sempre sottolineata l'individualità. Parla di persone che hanno qualcosa di personale da dire, storie e pensieri propri. E' importante che "ciò che vogliamo dire noi stessi" esista e non sia l'imitazione di quel che abbiamo letto.
E dev'esserci anche il bisogno di dirle agli altri perché, come ben descrive la frase di Calvino che avete scelto come intestazione: "scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto".
Non si tratta di leggere per forza i classici, ma ciò che ci interessa, per vedere come fanno gli altri e poi poter scrivere la nostra storia, o poesia, o racconto, trovando un nostro stile, mescolando chissà quali altri stili che ricordiamo più o meno inconsciamente.
D'accordo anche su questo, ma lei sta parlando di stile e lo stile è una cosa successiva che, come ho detto altre volte, in questo forum ha troppa importanza, secondo me. Ci si dimentica, spesso, che, prima dello stile, Virginia Woolf ha parlato di individualità e, se non si conosce e lavora sulla propria individualità, parlare di stile ha senso fino a un certo punto. Altrimenti diventa l'esaltazione del bello (o del "corretto", meglio) che, capisco possa piacere, ma a me, presa da sola, non interessa e fa riflettere.
Per quanto mi riguarda, sono certo di poter sostituire la lettura con l'osservazione, la riflessione e l'esercizio del pensiero. Certo, non riuscirò mai a scrivere bene, ma almeno avrò qualcosa da scrivere.
Anche per questo motivo chiedevo spiegazioni sulla frase su Thomas Wolfe. Credo che si riferisse a un mal di pancia che ormai viene troppo spesso sostituito dalla scrittura tecnica. Possibilissimo che mi sbagli, eh. Proprio per questo avrei voluto che qualcuno mi illuminasse.
Sul discorso dello stile sono d'accordo, ma solo parzialmente. Diciamo che per me è importante perchè, personalmente, amo scrivere una bella frase, una descrizione particolarmente riuscita, e difatti spesso la mia prosa (chiamiamola così) tende ad essere poetica, è un tipo di scrittura quasi arcaica a volte, ottocentesca. Ma perchè questo? Perchè, come dice la Smith, si può scrivere anche solo per il piacere di farlo e di riuscire in una bella espressione.
Son d'accordo nel senso che, nel momento in cui si vuol far leggere ad altri, allora certamente bisogna aver qualcosa di personale, di individuale da trasmettere. Ma ho letto troppa buona letteratura (anche qui, buona per me) per non stare estremamente attento allo stile.
Poi se vogliamo dirla tutta, ho fatto la tesi magistrale su Leopardi, che nei suoi appunti discuteva proprio di stile, di prosa e poesia...