La rosa di Westminster di 6Rimbaud
Tra le grandi cose prodotte dalla mano dell’uomo certamente va ricordata l’abbazia di Westminster. Ma in questa sede non si parlerà propriamente della grandiosa bellezza austera della cattedrale anglicana.
Capitò che mi trovassi a Londra per lavoro, poco tempo fa. Riuscii a ritagliarmi del tempo per andare a vedere una cosa che in pochi conoscono.
Anni prima, in Italia, avevo conosciuto una ragazza giapponese appassionata di architettura e fotografa di professione.
Mi fece vedere la fotografia – una sua fotografia – di una piccola mattonella in ceramica raffigurante una rosa bianca su sfondo blu. L’immagine era molto nitida e talmente esatta da farmi volere toccare quel piccolo capolavoro. Quella rosa – mi disse – la potevo vedere a Londra, all’interno del chiostro a cui è possibile accedere dalla navata destra dell’abbazia di Westminster.
Questa è una di quelle classiche storielle da nulla. Una goccia nell’oceano dell’esistenza che con l’andare degli anni tende a sciogliersi nella memoria. Eppure non mi sono mai dimenticato di quell’immagine e mi sono ripromesso di andarla a cercare, almeno una volta nella vita.
E così, la mattina presto di un giorno in cui mi ero deciso che avrei potuto dedicarmi a questa ricerca, m’incamminai verso il luogo designato.
All’esterno l’abbazia si presenta come tante altre cattedrali gotiche: un’idea di sviluppo verticale, amplificato dal marmo chiaro e dalle innumerevoli guglie e statue che ne proiettano la struttura verso il cielo.
Per la verità Westminster ha una pianta davvero originale, quasi unica. Non ha la tipica forma a croce. O meglio, ce l’avrebbe, ma elementi complementari alla sua struttura originaria ne rendono la visione dall’alto – e dal lato – più massiccia di quanto i canoni dovrebbero consentire.
Entrai dall’ingresso principale. Entrai in silenzio, quasi in punta di piedi, come viene naturale fare quando si entra in una chiesa.
Non mi diressi subito verso il chiostro. Passeggiai per tutta la navata principale per arrivare all’abside, avendo cura di non calpestare – per quanto possibile – le salme delle più illustri personalità inglesi incastonate sotto terra.
In effetti il pavimento è letteralmente costellato da un numero imprecisato di tombe, accatastate una accanto all’altra e levigate, negli anni, dal passaggio dei numerosi visitatori.
Terminato il giro da turista, cercai con lo sguardo il pertugio per il chiostro e vi entrai.
Se l’interno dell’abbazia ha davvero un aspetto austero e solenne, il chiostro – per sua natura aperto al cielo – si presenta come un luogo lontano dal tempo. Vi si respira un’aria di quiete pastorale. Il che è incredibile se si pensa che siamo nel bel mezzo di una grande metropoli.
Nell’atmosfera idilliaca di quel luogo luminoso – aiutato dalla presenza di un quadrato di erba verdissima perfettamente incastrata al centro dei quattro lati del porticato – non dovetti perdere troppo tempo per trovare quello che andavo cercando e mi imbattei quasi subito nella tanto attesa mattonella di ceramica.
Mi piacerebbe poter raccontare di aver trovato una ragazza intenta a fotografarla, ma la vita non è un romanzo e dovetti accontentarmi di contemplare quella piccola meraviglia senza compagnia.
L’immagine era esattamente come me la ricordavo; persino più bella. I suoi contorni squadrati saranno stati non più grandi del palmo della mia mano.
Rimasi qualche minuto a fissare la figura, e la piccola grande bellezza che sprigionava.
La superficie della ceramica era lucida, quasi come se nessuno avesse mai osato mettere un piede sopra di essa. La rosa era lì da chissà quanti secoli e mi ritenni fortunato di potere averla vista almeno una volta.
Ripensai alla ragazza giapponese – una ragazza dal bel sorriso e dai capelli lunghi e ordinati – e la ringraziai mentalmente.
Naturalmente mi lasciai sfuggire un sorriso e mi resi conto che avrei voluto dirle che avevo davvero dedicato una mattinata per andare a vedere quella piccola rosa; che mi ero fidato ciecamente della ricostruzione logistica della posizione della mattonella. E che l’avevo trovata là, in quel luogo che mi ero figurato tante volte, quasi in attesa del mio passaggio.
Completai il camminamento sotto i portici e mi lasciai alle spalle quel fiore raro, custodito – nella sua fragilità - dalla possenza antica della grande cattedrale. Tornai dentro l’abbazia e, ridestatomi da tutti i pensieri, uscii dall’entrata principale, sempre in silenzio, con un passo un poco più pesante.