Sunshine di Tavajigen
Prima la luce, poi il buio. Di continuo.
Luce e buio, sempre alternati, con la stessa frequenza.
Da quante ore stava andando avanti questa tortura? Casian aveva perso il senso del tempo.
Comincia a fare freddo, la fine è vicina.
Sentì la mente scivolare via e pensò che forse lasciarsi andare sarebbe stata la soluzione migliore, o magari quella più facile; ma l'istinto di sopravvivenza e l'intenso addestramento a cui si era sottoposto negli ultimi anni lo costrinsero a reagire, a fissare il pensiero su qualcosa, su qualcuno.
Anna, non vieni a salutarmi?
La donna apparve davanti a lui, come una settimana prima.
Sei sicuro di partire?
Una domanda stupida, a primo impatto, ma Casian conosceva l'arguzia della moglie: dietro un quesito del genere c'erano mille cose non dette. Era il suo lavoro, come lei ben sapeva, ma si erano sposati da meno di un anno e lei era all'ottavo mese di gravidanza, quindi si sarebbe perso la nascita del loro primo figlio. Rinunciare a quella missione lo avrebbe probabilmente tagliato fuori dal programma spaziale, ma per lui sarebbe sempre stato pronto un comodo lavoro da ufficio, forse vicino a casa. Oddio, magari anche lontano, ma sarebbe stato comunque più vicino di centomila chilometri nello spazio.
Certo che sono sicuro. E vorrei che lo fossi anche tu...abbracciami dai.
A Casian venne naturale stringere le braccia anche lì, nel nulla, ma la tuta lo rendeva goffo e il movimento rallentato lo riportò immediatamente al presente.
Il freddo era sempre più pressante.
Sta cedendo il termoregolatore della tuta, significa che presto finirà anche l'ossigeno.
Luce, buio, senza sosta.
Chiuse gli occhi, anche se sapeva di non doverlo fare, ma non ne poteva più di quella giostra a intermittenza. Si ritrovò seduto nella cabina di pilotaggio, insieme ai due copiloti, come qualche ora prima. Nelle orecchie aveva di nuovo il countdown della torre di controllo di Houston.
Tutti i sistemi sono operativi, siamo pronti al decollo. Dieci, nove, otto, sette...
Sì, siamo pronti al decollo, e siamo anche pronti a schiantarci sulla stazione orbitante. Scommetto che non ve lo potreste mai immaginare voi cervelloni di Houston, eh? Eppure succederà, sì che succederà. Un maledetto asteroide ci colpirà quando staremo per eseguire la manovra di frenata e di attracco alla stazione, mandando in avaria i sistemi di pilotaggio.
E che schianto che sarà Houston! Ne vedrete delle belle! Non ho neanche idea di dove siano finiti gli altri. L'unica cosa che so è che io sono qui, da solo, nel nulla, in direzione nulla. Anzi, in direzione morte.
Casian riaprì gli occhi e la cabina di pilotaggio svanì, lasciando posto all'universo sconfinato, puntellato di una moltitudine di stelle. Gli venne in mente la citazione di Confucio che si era tatuato sull'avambraccio sinistro: “Le stelle sono buchi nel cielo da cui filtra la luce dell'infinito.”
E se fosse davvero così? Beh, forse presto lo scoprirò.
Sentì che stava raggiungendo la pace di chi è davvero consapevole di morire; quella che viene solo dopo la rabbia, la tristezza, la rassegnazione.
Sarebbe potuta essere perfino una bella morte, circondato da quell'incredibile scenario, se non fosse stato per quel tremendo fastidio dato dal continuo passaggio dalla luce al buio: il destino aveva infatti voluto che lo schianto lo portasse a girare su se stesso, senza fine, per il resto dell'eternità, mentre si allontanava nel vuoto più assoluto. Il sole spuntava da destra, per poi attraversare la sua visuale e scomparire a sinistra, tornandosene dietro il casco. La visiera dorata aiutava a sopportare il bagliore, ma non eliminava del tutto la bianca luce che veniva dalla stella.
Forse dovrei essere felice di avere il sole che albeggia e tramonta di continuo, solo per me, per chissà quanti anni a venire...
Cercò di convincersi di questo, mentre apriva il casco e guardava il sole ad occhio nudo, per l'ultima volta.