"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)

U5-08 Vertigine (1)

“I’m going home now.”

“Beh dai, è carino.”
“Visto? E' un pub bellino, ma soprattutto tranquillo. Il posto giusto per fare due chiacchiere tra vecchi amici. Com'è la tua birra?”
“Fresca e corposa, veramente ottima.”
“Bene! Però dai, ho acconsentito a sederci a questo tavolo seminascosto, ma almeno smetti di stare ingobbito; non ti riconoscerà nessuno qui, stai calmo.”
“Meglio, stasera non ho proprio voglia di mettermi a firmare autografi.”
“Se fossi io il grande Felix Baumgartner non vedrei l'ora di circondarmi di ammiratori, e soprattutto di ammiratrici! E invece tu guardati, sei sempre a nasconderti.”


“Dici così solo perché non hai idea di cosa voglia dire non avere quasi più una vita privata. Spero che questo periodo finisca presto: sembra che i media si stiano finalmente dimenticando di me.”
“Sì, devo darti ragione, del resto hai fatto decine di interviste...ma poi praticamente tutte uguali, piene di quei bla bla bla, potevi almeno raccontare qualcosa di diverso? Avrai trovato qualcosa di strano lassù, no?”
“No Chris, non ho trovato niente.”
“Suvvia, dico sul serio, non ti sto chiedendo se hai trovato alieni o roba simile, o almeno non ti sto chiedendo solo questo...ah ah ah! Vorrei sapere se hai trovato qualcosa di unico, dopotutto sei stato in un posto dove nessun uomo è mai stato prima.”
“Non è vero, gli astronauti vanno molto più lontano.”
“Giusto, ma loro partono da terra e arrivano direttamente nello spazio, te invece ti sei fermato al confine, al termine dell'atmosfera, in un luogo ancora mai visitato da nessuno. Qualcosa dovrai pure aver trovato, o pensato!”
“Non...non ho trovato niente, te l'ho detto.”
“Qualcosa c'è, te lo leggo negli occhi Felix. Non mi sembri più te stesso da quando sei tornato, hai qualcosa di diverso. Sei sempre cupo, sulle tue...capisco che ti stia stressando questa vita sotto i riflettori, ma non può essere l’unica causa del tuo malumore. Dai, dimmelo, sai che i tuoi segreti sono al sicuro con me; ci siamo sempre confidati e aiutati a vicenda, ti ho anche dato una mano a comporre quella frase che hai recitato lassù e che è già entrata nella storia: A volte dobbiamo andare davvero molto in alto per capire quanto siamo piccoli. Ti ricordi quanto tempo ci abbiamo messo per scriverla? Me lo devi!”
“Sì...forse te lo devo, hai ragione. Lassù...ho trovato...beh, ho trovato paura.”
“Immagino, ne avrei avuta tanta anche io! Chissà che paura di cadere hai provato, che vertigine. Se solo ci penso mi viene la pelle d'oca, guardami le braccia, ce l'ho anche ora!”
“Chris, porca troia, non mi interrompere.”
“Scusami...hai ragione, dicevi?”
“Dicevo...ho scoperto la paura lassù. Non fraintendermi, non avevo paura per i rischi della missione; cioè, mi ero allenato per mesi nei simulatori e tutto era stato progettato, costruito e controllato alla perfezione. Nonostante le bassissime probabilità, gli imprevisti sarebbero sempre potuti capitare e sapevo che sarei anche potuto morire, ma di questo non avevo minimamente paura; è il mio lavoro e lo faccio sempre con passione, come sai bene. La paura di cui parlo non l'avevo mai provata prima, in nessuno dei migliaia di lanci che ho fatto. L'ho avvertita poco prima di dire quella frase, quando ero lì, pronto a buttarmi. Non era paura del vuoto, o del salto, non so come spiegarmi...era paura della lontananza da terra, di non vederla più, di perderla. Tutto ciò misto ad un insopportabile desiderio di raggiungerla. Non riesco più a discriminare le emozioni ogni volta che sto per lanciarmi, non sento più il familiare formicolio della vertigine, che mi ha sempre accompagnato e quasi cullato in tanti anni di lavoro. Ora è questa la mia nuova vertigine, sto cercando di imparare a conviverci, ma non ci riesco. So che è sciocco, ma questa inaspettata sensazione mi ha davvero sconvolto la vita.”
“Cavoli...beh, non credo che sia una cosa stupida; certamente non sarai stato il primo ad averla provata, e non sarai l'ultimo. Prima mi hai portato l'esempio degli astronauti, anche a qualcuno di loro sarà successo, no?”
“Probabilmente sì...ma non ne sono tanto sicuro. D’altronde loro vedono la Terra sotto di sé, o davanti, ma da molto più lontano, e sanno che per tornare devono calcolare la rotta, comandare la navetta ed eseguire l'atterraggio; cioè non possono direttamente buttarsi, come invece potevo fare io in quel momento. Quel discorso che hai fatto prima sul confine dell'atmosfera mi ha fatto ulteriormente riflettere su questa cosa.”
“Non dirmi che con le mie parole ti ho incupito ancora di più, non ti ci provare nemmeno! Ok dai, allora basta con questi discorsi. Parliamo di cose più importanti ora: quante donne ti sei fatto da quando sei tornato? Cameriere, altre due birre per favore!”

Era notte inoltrata quando Felix Baumgartner aprì il portone del condominio e chiamò l'ascensore. Dopo una breve attesa, entrò e schiacciò il pulsante più in alto. Quando scese dall'ascensore si ritrovò sul pianerottolo davanti alla porta di casa: un ampio appartamento all'ultimo piano del palazzo.
Tirò fuori le chiavi e le inserì nella stoppa, ma, poco prima di aprire la porta, si voltò un attimo a guardare l'unica altra porta presente sul pianerottolo, quella che dava sulle scale che conducevano al tetto.

Come quasi ogni notte dal giorno del lancio, Felix era in piedi sul cornicione del tetto, intento a guardare giù, fissando il vuoto dal ventesimo piano di altezza. Quella nuova stuzzicante vertigine lo avvolgeva, mentre saliva intensamente il soffocante desiderio di riabbracciare il suolo.
Dopo qualche minuto, Felix si girò, scese dal cornicione e si diresse verso casa. La sua vita era cambiata per sempre: intuiva, o meglio sapeva, che prima o poi non si sarebbe più voltato.

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