Il ciabattino Bhialik di scarpax
“E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parea s’era laico o cherco.”
Dante, Inferno, Canto XVIII
Fino all'età di sedici anni non avevo mai visto un paio di scarpe. Non era una cosa strana ai miei tempi vedere gente a piedi scalzi nella cittadina di Homusk. Del resto Homusk era un piccolo e povero villaggio lontano da ogni altro villaggio; così piccolo che quando passava un carro il cavallo che lo trainava ne aveva la testa già fuori quando il culo stava ancora nella piazza; così povero che mi ricordo ancora il giorno quando vidi l’ultimo pidocchio andar via, ma che volete, anche i pidocchi devono mangiare.
Eravamo poveri ma anche molto generosi, ci scambiavamo tutto quello che possedevamo: sporcizia, malattie e fame. La povertà non costa niente condividerla.
L’unica cosa che abbondava ad Homusk, che poi era la nostra principale fonte di cibo, era una bacca rossa che cresceva su cespugli spinosi. Noi la chiamavamo Tribulaskaja che letteralmente vuol dire: soffrire tre volte. Si soffriva per prenderla tra i rovi, si soffriva per ingoiarla a causa del suo gusto terribilmente amaro e si soffriva una terza volta per il suo tremendo effetto lassativo. La cosa che vedevi più di sovente ad Homusk era la gente correre, non perché fossimo sportivi, semplicemente andavamo il più velocemente possibile fuori dal villaggio, tra i rovi di Tribulaskaja, a liberarci l’intestino. Ora che ci penso questo nome vuol dire soffrire quattro volte.
Ma che maleducato che sono, ancora non mi sono presentato, il mio nome è Bhialik e sono un ciabattino. Ma come, direte voi, non ho appena detto che non avevamo le scarpe ad Homusk? Si è vero, ma lasciate che vi racconti la mia storia.
Ad Homusk camminavamo a piedi scalzi, e come potete intuire avevamo i piedi parecchio sporchi, soprattutto quando andavamo a scorticarci le natiche fra i rovi di Tribulaskaja. Così, un giorno, presi a modellare la terra che mi rimaneva appiccicata ai piedi e mi feci un bel paio di scarpe. Tutti ad Homusk ammiravano le mie scarpe e mi facevano i complimenti, e tutti ne vollero un paio.Così diventai il Bhialik il ciabattino.
Avvenne un giorno che un gran dignitario di corte passò col suo carro e il suo seguito vicino ad Homusk, al dignitario si erano rotte le scarpe così mandò un suo servitore a cercare un ciabattino nel nostro piccolo e povero villaggio, naturalmente tutti gli abitanti fecero il mio nome, così si presentò alla mia porta. Io non avevo idea di come si potessero riparare ma pensai che di certo il gran dignitario non poteva andarsene da Homusk con le scarpe rotte, quale cattiva reputazione ne avremmo ricavato? così dissi al servo di lasciarmele e tornare all’indomani.
Quel giorno stesso andai a prendere un bel po’ di terra da sotto i rovi di Tribulaskaja e feci una copia della scarpe lasciatemi dal servo, che l’indomani se le venne a ritirare.
Passarono mesi di vita tranquilla ad Homusk, si mangiavano le bacche di Tribulaskaja, si correva verso i rovi di Tribulaskaja, si pativano il freddo, la sete e le malattie. Eravamo felici.
Un giorno un altro carro si fermò al limitare del paese e ne scese un altro servo, con un paio di scarpe in un vassoio, che venne diritto filato a casa mia. Mi disse che il conte Tal della casata dei Tali desiderava avere un paio delle mie famose scarpe, come quelle fatte al gran dignitario o anche meglio, e che me le le avrebbe pagate molto bene. Così feci le scarpe anche al conte.
Da quel giorno fu un viavai di carrozze e servitori che non si erano mai visti ad Homusk, tutti i dignitari, i cavalieri e nobili del regno volevano le scarpe fatte da me: Bhialik il ciabattino.
Finché arrivò ad Homusk un carrozza tutta d’oro trainata da 100 cavalli bianchi, era la carrozza dell’imperatore, che era stata mandata per portarmi al suo cospetto. Così raccolsi un bel sacco di terra da sotto la Tribulaskaja a andai a trovare l’imperatore in un carrozza d’oro.
Giunto al palazzo reale fui portato alla sala del trono. Tutt’intorno a me vi erano i più grandi nobili del regno, e tutti avevano le mie scarpe ai piedi. Davanti al trono m’inginocchiai.
L’imperatore mi chiese: Come ti chiami e da dove vieni, ciabattino?
Mi chiamo Bhialik e vengo dal piccolo e povero villaggio di Homusk, mio imperatore, dissi io.
Vedi tutti questi nobili e dignitari - disse l’imperatore - essi vogliono adularmi facendomi dono delle scarpe fatte da te. Dicono che sono le migliori scarpe del regno, e che non ve ne sono eguali al mondo. Ma io mi chiedo, ciabattino, come può l’uomo più povero, un uomo che vive in un paese dove non c’è nulla, fare le calzature senza pari?
Con le sole cose che abbiamo ad Homusk, mio imperatore, - risposi - la terra sotto la Tribulaskaja e la merda che ci facciamo sopra.
A queste mie parole prima si fece silenzio in tutta la sala, poi tutti i nobili e i dignitari iniziarono a gridare: a morte Bhialik, a morte Bhialik il ciabattino che ha messo la merda dei poveracci ai piedi dei nobili del regno! E sicuramente mi avrebbero messo il cappio al collo se l’imperatore stesso non li avesse fermati con una grassa risata.