"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)

U7-01: La partita

Cartolina di Drauen

Il tic tac dell'orologio finalmente sentenzia l'orario di fine giornata lavorativa. Esco con calma dopo aver timbrato il cartellino, con la mia borsa in mano e gli altri dipendenti che mi passano a fianco. Volgo per un attimo lo sguardo al cielo. E' primavera, le giornate si allungano, i fiori e gli uccelli ricominciano a vivere, io posso finalmente concedermi una passeggiata invece di usare i mezzi pubblici. Non che non potessi usare i miei piedi anche prima, ma l'atmosfera più tiepida risveglia i miei muscoli resi apatici dall'odiata stagione invernale.
La strada per casa mia non è lunga né trafficata, ma il marciapiede è sempre pregno di gente maleducata, di fretta o semplicemente sbadata. Preferisco allungare, fare il giro del quartiere, passare attraverso un parchetto maltenuto e ritrovarmi all'improvviso di fronte al cancello di casa mia. L'abitazione è piccola e vecchia, con un piccolo orto sul retro, ma è quel che mi basta. Ci abitarono i miei genitori prima di morire e io ci son venuto a vivere quando la mia ex moglie mi ha lasciato. Diceva che ero monotono, che non mostravo mai emozione per nulla, indifferente a tutti e con nessuna ambizione. Effettivamente la descrizione mi calza a pennello.
Mentre apro il cancello pedonale, cerco di prendere con le dita la corrispondenza inserita frettolosamente nella cassetta della posta. Apro il portone di casa, butto le buste sul tavolo, vicino alla tazza da latte vuota della mattina, e mi dirigo verso il frigo. Sento un rumore diverso dal solito, il lancio sbagliato o troppo forte deve aver mancato il tavolo e qualcosa è caduto a terra. Sul parquet rovinato, una cartolina ha fatto breccia infilandosi casualmente nella fessura tra un listello e un altro. La guardo, mi prendo una birra stappata la sera prima e mi siedo su una poltrona ornata da un fascio di luce filtrante tra le tende. La osservo di nuovo. Io non ricevo mai cartoline.
Mi decido ad alzarmi e prenderla. L'immagine mostra un tempio dorato immerso nel verde. Son sicuro di averlo visto in un documentario alla televisione, ma non ricordo il luogo, seppur sia sicuro dell'estremo oriente. La giro e vado diretto alla fine del messaggio per capire il mittente. Un sorriso fa capolino ad un lato delle mie labbra per poi scomparire rapidamente. Una smorfia che non si mostrava da anni, provocata dalla semplice firma di Riccardo.


Non lo vedo più da almeno due lustri. Forse non mi sbaglio nel credere sia e sia stato il mio unico amico. L'ho conosciuto alle scuole medie ma abbiamo cominciato a confrontarci solo successivamente. Io ero molto per le mie, mentre lui sapeva ben destreggiarsi tra la gente.
Durante una gita a Venezia passammo per uno dei tanti ponti della città. Mentre i miei coetanei schiamazzavano, si facevano scherzi o palpavano il sedere della compagna carina, io mi fermai a guardare una scritta. “Ponte de le tette”, una semplice frase che avrebbe fatto sbellicare ogni ragazzo della mia età. Stavo semplicemente zitto e incuriosito. Riccardo mi rivolse per la prima volta la parola, da dietro le spalle mi sorprese. “Pare che una volta questa fosse zona di puttane, ora purtroppo non più”. Mi girai e lui, facendomi l'occhiolino, proseguì seguendo gli altri.
Nei giorni successivi lo osservai maggiormente e vidi che lui faceva lo stesso. Venne naturale allora scambiare qualche parola, un saluto o una battuta stupida. Più il tempo passava però, più ci aprivamo a vicenda fino al punto, qualche anno dopo, di passare interi pomeriggi a discutere di ogni cosa.
Non erano semplici chiacchiere tra ragazzi, ma pensieri sul futuro, sulle persone, sul mondo che ci sarebbe spettato, quasi filosofici. Ad unirci è stata soprattutto la nostra comune capacità di osservare l'ambiente circostante e le persone, di trarne suggerimenti sulle logiche conseguenze. Riccardo però aveva una marcia in più. Non si limitava come me a pensare, ma voleva agire. Era individualista, molto ambizioso e voleva approfittare del talento della deduzione per ottenere tutto ciò che desiderava.
Ogni tanto facevamo una partita a scacchi, un gioco in cui il cervello la fa da padrone. Lui però non era dello stesso avviso e si annoiava presto. Lo definiva un semplice esercizio in cui tutti quelli dotati di un minimo di ragionamento o esperienza, avrebbero potuto vincere. Il gioco era statico, le mosse varie ma limitate, a lungo andare era solo memoria su schemi predefiniti. Riccardo preferiva invece il poker. Non mi ricordo una volta in cui abbia vinto. Seppur nella singola partita, o giocata, non mi ricordo come si chiama, la fortuna ha un peso fondamentale, a lungo andare il più bravo, o il più capace a cogliere i minimi atteggiamenti dell'avversario, si impone.
E' stata proprio per questa passione che non l'ho più visto. A dir la verità il tutto è avvolto nella nebbia e non riesco ancora a vedere uno spiraglio di luce. Una sera mi ha salutato, dicendo che avrebbe giocato una partita importante e che la sua vita sarebbe cambiata.
I fatti non li conosco, ma in un paese piccolo come il nostro le voci corrono. E a occuparsene furono anche i giornali, con tutte le loro incorrettezze e le storpiature volute per far ancora più notizia. Successe che fu ritrovato un uomo riverso sul ciglio di uno scolo, in aperta campagna. Per il contadino di passaggio era sembrato un ubriaco ben vestito che la sera prima avesse esagerato un po' troppo. Giorno dopo giorno giunsero sempre nuove notizie sul fatto. L'uomo in verità era morto. Non naturalmente, bensì avvelenato. E alcune tracce di pneumatici riconducevano a una villa lussuosa. E chi era il proprietario della sfarzosa residenza? Casualmente un uomo molto potente, noto per i suoi affari loschi e le sue mormorate conoscenze con la malavita.
In tutto questo trambusto, nessuno notò la notizia stampata in piccolo all'interno del quotidiano. I familiari di Riccardo ne denunciavano la scomparsa. Una notizia messa ben presto in sordina. Riccardo era maggiorenne e con poche vere conoscenze a cui importasse di lui.
Io sembravo l'unico a fare un semplice collegamento. Non era difficile, eppure la gente pareva non farci caso, o forse non voleva.
Riccardo faceva coppia con Claretta, una bella bionda ricciolina dai capelli lunghi. La ragazza era dotata di una buona dialettica e della capacità di pensieri più alti rispetto alla fauna femminile della stessa età. Era molto solitaria, sia per carattere personale che per invidie nei suoi confronti. Ed era la figlia dell'uomo ricco e potente.
Ancora meno voci si occuparono della sua partenza per un viaggio studio negli USA, due settimane dopo il ritrovamento del corpo sul ciglio del fosso.
Ci sono ancora sere in cui i pensieri mi tengono occupato su cosa potesse essere successo, ma nulla di certo ne viene mai fuori, solo illazioni e possibilità.
Osservo di nuovo la cartolina e mi sovviene in mente il monumento raffigurato. E' il tempio del padiglione dorato di Kyoto. Mi compiaccio di essermi ricordato e leggo finalmente il messaggio.
“Qui è il paradiso di Claretta. Alza il culo e vieni!”.
Ho conosciuto poco Claretta, ma so che non amava l'Asia. L'occhio mi cade sul timbro postale. Questo dev'essere uno dei giochi di Riccardo. Santiago del Cile. Lo conosco, sono quasi certo non si trovi neppure lì.
Le scritte impresse sulla cartolina continuano. “PS la vita è una partita a scacchi in cui l'alfiere può diventare re e a volte il pedone mangia anche non in diagonale”.
Sono ancora sulla poltrona. Non si sta male qui. Non intendo sprofondato sul cuscino, mi riferisco alla mia vita. Non ho alcun legame, sto bene fisicamente e psicologicamente, faccio un lavoro tranquillo che mi ha già permesso di mettere via qualcosa per un ipotetico futuro. L'ultima parola mi incupisce. Sono abitudinario e monotono, ma pensare di fare le stesse cose anche tra vent'anni mi rende nervoso.
Lancio la cartolina sul tavolino poggiapiedi, mi alzo e guardo fuori dalla finestra, scostando leggermente la tenda. Non ho intenzione di decidere al momento, ma so che un tarlo si sta già insinuando nel mio cervello come fosse legno morbido.
E' ora di fare la prima mossa e dare inizio alla partita della mia vita.

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