Due strade di arturobandini
1
Carlo spinge forte sui pedali, regolare e costante, ora che la salita si è fatta impegnativa. Non c’è nessuno per strada, in questo pomeriggio domenicale, soleggiato ma fresco. Ha sempre adorato andare in bici alla fine di settembre, periodo in cui si è anche espresso al meglio dal punto di visto atletico. Ma oggi è una giornata particolare, uno di quei rari momenti di passaggio in cui potrebbe nuovamente sentirsi se stesso, oppure perdersi del tutto. E’ la prima volta da due anni a questa parte, in cui torna a salire su per un pendio, dopo il grave incidente a causa del quale ha rischiato di non poter più camminare bene come prima.
Carlo ora non sta pensando a niente, immerso com’è nella fatica. Ha sempre amato la bicicletta, fin da quando era soltanto un bambino. L’ha preferita agli altri sport, pur essendo atletico e coordinato, bravo sia a calcio che a pallavolo. La soddisfazione di domare una salita, di arrivare in cima e di girarsi per un attimo prima di scollinare, per dire alla strada “Ho vinto io anche questa volta”, non l’ha mai provata per un gol o una schiacciata. Neppure per la vittoria in una partita tirata.
Carlo affronta un tornante stretto e inevitabilmente perde velocità. Ora dovrebbe rilanciare, dovrebbe spingere al massimo per ritrovare il giusto ritmo. Ma per farlo non può che alzarsi in piedi sui pedali. Per lui è proprio questa la prova finale, la dimostrazione concreta che il suo corpo è tornato a rispondergli come prima dell’incidente.
“E se non ci riesco? E se il ginocchio si ribella?”
La scelta del percorso non è stata casuale, tutt’altro. Carlo ha voluto quella strada per due ragioni, entrambe fondamentali. La prima è data dal pendio così impegnativo, per quanto si tratti soltanto di una collina e la salita non sia quindi troppo lunga. Una buona occasione per tornare a salire sul serio, senza andare troppo oltre i limiti fisici attuali. La seconda ragione è che l’incidente che l’ha visto protagonista in negativo è avvenuto proprio su questa strada. Vuole esorcizzare le sue paure, i timori che gli hanno impedito di poter praticare la sua attività fisica preferita. Non è stato ostacolato soltanto dal suo corpo, bensì anche dalla sua mente.
Carlo si vede passare davanti agli occhi gli ultimi mesi in una frazione di secondo. Ha trascorso l’estate ad andare in bici in pianura per fare fondo e fiato. Prima cinque ridicoli chilometri, poi dieci. Quando è arrivato a venti sembrava non riuscire più ad andare oltre. Attorno al quindicesimo cominciava ad avere dei dolori incredibili al ginocchio operato e ricostruito. Dolori inspiegabili, poiché dagli esami non risulta nessuna ragione fisica che possa originarli. Il suo medico di famiglia gli ha consigliato uno psicologo che si occupa di sportivi, specializzato nel recupero dagli infortuni più gravi.
“Poche persone sarebbero tornate in bicicletta dopo essere rimaste coinvolte in un incidente come il suo, signor Giovine. Il dolore che prova è quasi certamente generato dalla sua mente, da un comando involontario trasmesso al suo sistema nervoso, a scopo di auto protezione. Qualcuno li chiama dolori psicosomatici. Ma visto che vuole tornare in bici con tutto se stesso, deve imparare a gestire il dolore. E mano a mano che uscirà a pedalare, acquisterà nuova sicurezza e anche il suo subconscio si placherà, così come le sue paure”.
Carlo esce dal tornante lentissimo, perché si è distratto a rimuginare.
“Ma vaffanculo!”
Si alza sui pedali, subito pesta, poi spinge forte. La bici ondeggia prima a destra, poi a sinistra, e alla fine schizza in avanti.
L’adrenalina invade il suo corpo, creando eccitazione e benessere. Finalmente sembra essere tornato se stesso, giacché il corpo risponde come previsto. Il lieve dolore che stava cominciando ad attanagliare il ginocchio, quel dolore senza motivo, svanisce come neve al sole.
Carlo continua a scodare con la bicicletta, si impegna, rilancia ulteriormente, raggiunge la velocità alla quale era abituato prima del disastro. Il fresco di settembre gli dona ulteriori energie, facendolo salire come una scheggia per il ripido pendio.
Ora è libero davvero, non pensa più ai tempi bui, al coma, alla carrozzina, alle operazioni, alla fisioterapia, lenta, faticosa e snervante. Ora è Carlo Giovine, architetto e ciclista, come fa scrivere sui suoi biglietti da visita. La sua mente vola sulle onde della gioia ritrovata, sull’ebbrezza della sfida contro la strada. Non c’è altro che il nastro d’asfalto sotto le sue ruote, pronto per essere sconfitto nonostante le insidie che ogni volta racchiude. La vetta non è lontana, potrà scollinare tra un paio di chilometri.
Nemmeno si accorge che è proprio questo il punto in cui è stato travolto da quel pirata della strada, già noto alle forze dell’ordine per ragioni simili. Un piccolo stronzo figlio di papà, pieno di soldi, capace solo di distruggere macchine veloci e far mettere sul conto.
“ARCHITETTO IN FIN DI VITA A CAUSA DEL SOLITO FANNULLONE”.
Questo titolo tratto da un giornale locale ha spopolato sui social, rendendo nota la vicenda a livello nazionale. L’investitore era ubriaco, e la notizia è stata riportata e discussa persino in qualche talk show televisivo. Non si è fermato, ed è tornato sulla scena dell’incidente soltanto perché “obbligato” dalla ragazza che viaggiava al suo fianco. Hanno chiamato i soccorsi appena in tempo affinché Carlo potesse salvarsi la vita.
Ricorda bene di quando il ragazzo che l’ha travolto è venuto in ospedale a trovarlo. Non si è certo trattato di un risveglio di coscienza, bensì di una carta da utilizzare con il giudice per addolcire la propria posizione processuale. Sulle prime a Carlo aveva fatto addirittura piacere: dopo due mesi trascorsi in coma farmacologico si sentiva un sopravvissuto, un miracolato, disposto a perdonare persino chi l’aveva ridotto in quella condizione. Poi si è reso conto di chi sia davvero il personaggio e la sua opinione è cambiata, radicalmente.
Adesso tutto questo è lontano anni luce da Carlo. Esiste ancora, sempre sarà presente da qualche parte nella sua mente, motore di potenziali rabbie ed angosce, ma finalmente scivola in secondo piano. Anche il fatto che il suo investitore guidi ancora, grazie ai lavori di pubblica utilità svolti subito dopo l’incidente e ai soldi spesi dal suo facoltoso paparino, non lo disturba più come prima.
Ci sarà un processo penale dove Carlo si costituirà parte civile, ma tutto questo è il futuro, è oltre. Ora esiste solo il benessere attuale, l’aver ritrovato se stessi. Non ha mai amato perdere parti di se e ora che finalmente recupera questa, per lui così importante, riesce finalmente a sentirsi davvero completo.
Carlo giunge a un breve rettilineo dove la strada è meno impegnativa e finalmente alza la testa per guardarsi attorno. Sorride, rendendosi conto di non essersi neppure accorto di essere passato dal punto in cui è stato travolto, concentrato com’era sulla sua bicicletta. Per mesi non ha voluto percorrere questa strada nemmeno in macchina, terrorizzato dal ricordo dell’incidente. L’elemento che gli è rimasto più impresso di tutta la vicenda, è stato il rumore fragoroso e frastornante del motore potente della fuoriserie del bastardo, più ancora del momento dello scontro. A volte quel suono terribile lo sente ancora nei sogni peggiori, e quando succede si sveglia urlando, rimanendo poi con gli occhi sbarrati per tutto il resto della notte.
Attorno a lui la natura è splendida, nonostante le foglie abbiano cominciato a cadere. Il verde e il marrone brillanti dell’estate, hanno lasciato il passo al giallo e all’arancione/rosso dell’autunno. Il grigio della pioggia battente non è ancora arrivato e la campagna è dolce e accogliente, anche se si sta addormentando giorno dopo giorno, per poi scivolare nel letargo vegetativo.
Carlo stacca la mano dal manubrio incurvato e se la mette sul ginocchio. E’ incredibile pensare a quanto fosse martoriato dopo l’incidente, a come gli abbiano dovuto sostituire la rotula con una protesi in lega di titanio, a come i suoi legamenti siano ora del tutto artificiali. Per non piangere ha provato a scherzare spesso su questa cosa, chiamandosi da solo “Uomo da un milione di dollari”, “Architetto bionico” o con altre facezie simili. Ma nelle lunghe notti insonni dopo gli incubi, le lacrime sono arrivate, pensando a come avesse dei corpi estranei dentro di se.
La piccola vetta adesso è perfettamente visibile, fino ad ora rimasta nascosta dietro a dei pioppi da taglio. Carlo si alza ancora sui pedali ed accelera in maniera imperiosa, raggiungendo una velocità davvero notevole. Poco prima di scollinare si gira verso la strada, come d’abitudine, e questa volta alza il dito medio, mettendosi a ridere fragorosamente. Prende la discesa a bomba e mano a mano che scende in picchiata, incrementa ulteriormente la velocità. Ha sempre amato l’adrenalina del rischio e non ha mai avuto paura, incosciente e sicuro di se. Si concentra sul rumore delle ruote, avvolto dal fischio del vento e non sente più nulla. E’in una perfetta bolla di stasi, quella che ha sempre cercato e trovato grazie all’amata bicicletta.
All’improvviso Carlo intravede due macchie marroni provenienti da un boschetto, situato oltre il bordo della strada. Sia lui che le due “cose” sono talmente veloci che non riesce ad identificarne la natura. Per evitarle, deve scodare con violenza e toccare i freni, perdendo così il controllo della bici. Finisce in un piccolo fosso ancora a cavallo della sella, ma ne viene immediatamente sbalzato via non appena la ruota si infila nel solco, il corpo trasformato in una scheggia impazzita di energia cinetica.
Eppure avviene una sorta di miracolo, o meglio una bizzarria casuale e imprevedibile. Cadendo rovinosamente al suolo, Carlo protende in avanti proprio il ginocchio che tanto l’ha fatto dannare nel corso degli ultimi due anni. Incredibilmente la rotula di titanio regge, assorbendo l’urto terribile, permettendogli di rimbalzare dolcemente sul prato, senza danno alcuno.
2
Silvano orina a lungo, tenendo il pene raggrinzito con la mano destra. Appena finito, scrolla e si rende conto di aver bagnato le sue Hogan da 350 Euro. Bestemmia con una voce sorda, quasi afona, alterata dalla febbre che lo sta attanagliando ormai da qualche giorno. Come abbia fatto a prendersela non lo sa. Forse gliel’ha attaccata quella escort bulgara che ha affittato per tre giorni la settimana scorsa, o forse la cameriera filippina della zia. Entrambe tossivano parecchio, tra un pompino e l’altro.
Dopo qualche passo traballante, Silvano monta sulla sua Porsche giallo fluo e sbatte forte la portiera, senza neanche riuscire a chiuderla, la cintura presa in mezzo. Non è giornata e non soltanto per l’influenza che si sente addosso. Apre il cruscotto con nervosismo, tira fuori una bustina piena di coca e uno specchietto da trucco, preparando poi due piste. Appena le inala, avverte una botta pazzesca.
“Cazzo, che neve fantastica!”
Rimane con gli occhi chiusi a lungo, godendo dell’effetto immediato della droga. Questo è il momento che gli piace di più di quando si fa di coca. L’attimo perfetto, prolungato all’infinito, durante il quale il corpo raccoglie tutte le energie possibili e le trasforma in iperattività ad ogni livello pensabile.
Silvano riapre gli occhi e si sente come un super eroe, il malessere fisico alle spalle, pronto per qualsiasi cosa. Raccoglie la cintura e chiude la portiera con energia, mettendo in moto la macchina. Parte facendo slittare le gomme sulla ghiaia della strada di campagna dove si è fermato per la sua minzione. In questo momento non ha la più pallida idea di dove si trovi. Eppure questi luoghi gli sembrano in un qualche modo famigliari.
Non guida quasi mai di pomeriggio, normalmente lo passa a dormire, ma oggi ha fatto un’eccezione perché è andato a battere cassa al padre. Il vecchio gli ha staccato il solito generoso assegno senza neanche guardarlo in faccia. Non gli fa mai mancare i fondi, ma lo disprezza in maniera fredda, totale. Silvano ha smesso di sognare di riuscire a farsi amare da lui, ormai è troppo grande per avere ancora quella pretesa. Eppure ogni volta fa male, anche se ormai soltanto per un istante.
Accelera, spinto dalla cocaina e dal bisogno di rischiare. Adrenalina, adrenalina, adrenalina. Non chiede altro alla sua vita, adrenalina. Da qualche tempo scopa le prostitute di strada senza preservativo, per il semplice desiderio di mettere la propria vita in gioco. Per ora ha solo preso un paio di malattie veneree, ma prima o poi si ritroverà con qualcosa di peggio e sembra non vederne l’ora. Perché da un paio d’anni si crogiola in questo desiderio di autodistruzione? La risposta esiste ed è racchiusa in un nome.
“Barbara”.
Ora Silvano ricorda, ricorda che è più o meno da queste parti che ha “perso” Barbara, che è successa la “cosa” per cui lei l’ha lasciato. Tutta colpa di quel ciclista del cazzo, di quell’idiota con il suo abbigliamento tecnico, il caschetto e la bicicletta da gara. Lui può capire che un poveraccio vada in bici per spostarsi, se non può permettersi una macchina. Ma non riesce davvero a comprendere perché qualcuno dovrebbe fare tutta quella fatica solo per tenersi in forma. Ricorda bene quel pomeriggio di due anni prima, quando lui e la sua ex si sono imbattuti in quello stronzo d’architetto. Avevano mangiato in un agriturismo della zona, onorando generosamente la pregiata cantina.
“Guarda Ba, adesso gli faccio il pelo, guarda...”
Barbara aveva gridato allarmata, perché sapeva bene quanto il suo ragazzo fosse ubriaco. Del resto anche lei lo era e per quella ragione non aveva cercato di prendergli le chiavi per mettersi lei stessa alla guida.
“Ma no Silva, che cazzo fai… Noooo….”
Silvano aveva appena avvertito un colpo e subito si era preoccupato di aver rovinato la fiancata della macchina. Non gli era neppure venuto in mente di aver fatto male al ciclista, la cui unica colpa era stata quella di trovarsi sulla sua stessa strada.
“Torna indietro idiota coglione, torna indietrooo. Ma non ti sei accorto che l’hai toccato? Testa di cazzo...”
Perché Barbara si era scaldata tanto? Perché sembrava prossima a una crisi isterica? Alla fine Silvano era tornato sui suoi passi e si era accorto di come lei avesse ragione. Se non fosse stato per la sua donna, quel poveraccio sarebbe morto di sicuro, dato che su quella strada non passa mai nessuno.
Ora ricorda di quando è andato a trovare lo stronzo in ospedale, due mesi dopo l’incidente. Barbara l’aveva già lasciato, per giunta trasferendosi all’estero e Silvano aveva goduto nel vedere quell’uomo nel letto, con la gamba in trazione. Si era presentato da lui su consiglio dell’avvocato, ma ci sarebbe voluto andare comunque, per vedere come era ridotto il bastardo che gli aveva portato via la sua donna. Gli aveva sorriso con il miglior sorriso, certo di poter ingannare un appassionato di bici, di certo mezzo ritardato. Dentro di se l’aveva odiato come non aveva mai odiato nessuno, nemmeno il padre, perché per “colpa sua” Barbara se ne era andata e mai sarebbe tornata indietro.
Dopo che la sua ragazza lo ha lasciato, è ulteriormente peggiorato, avendo perso l’unico freno alla sua folle sregolatezza. Ancora più droga, ancora più alcol, solo più prostitute, per una vita fredda, senza amore, priva di ogni speranza.
Ora Silvano inchioda, lasciando parecchi euro di gomma sull’asfalto. Si trova ad un bivio, ed è certo che una delle due strade conduca al luogo dove ha investito quel deficiente. Vorrebbe rivederlo, quel luogo, vorrebbe celebrare nuovamente una delle poche cose buone degli ultimi anni, ovvero aver messo sotto quello stronzo. La cocaina parla forte per lui e dentro di lui, rimbombando direttamente nel suo cervello, amplificata dall’influenza. La rabbia viene pompata da ogni punto del suo corpo, pronta ad esplodere con potenza inaudita, selvaggia. Chiede al suo istinto di indicargli la strada giusta e all’improvviso gli giunge la rivelazione:
“Quella a destra, Silva”.
La macchina parte come un bolide, andando su di giri come se fosse un aeroplano. Non è la stessa con la quale ha investito Carlo, ogni anno cambia, ma il rumore del motore è più o meno lo stesso.
Ovviamente ha sbagliato. Il suo istinto fa schifo, la sua lucidità non esiste più, minata dall’alcol e dalle droghe. Se Silvano fosse stato in grado di riconoscere la strada giusta, si sarebbe imbattuto proprio in Carlo, durante la sua prima uscita in salita dai tempi dell’incidente. Per fortuna si è sbagliato, altrimenti avrebbe potuto “finire il lavoro”.
La strada che ha scelto, sale in maniera più morbida rispetto all’altra, e poi rimane in alto, sul costone, praticamente parallela alla prima. Al ciclista non è mai piaciuta particolarmente, perché il pendio è poco impegnativo, anche se il paesaggio è più bello.
Silvano accelera in maniera folle, incurante del fatto che lungo la strada vi siano diverse abitazioni e che potrebbero passare altre macchine. La sua Porsche è una macchia gialla lungo la collina, un pugno nell’occhio, perché fluo e quindi fasulla. Le curve sono strette e vengono affrontate tutte al limite. Da ragazzo ha pilotato i kart e pensa di essere un buon guidatore, ma ora i suoi sensi sono alterati e il suo corpo è sconquassato dal virus.
All’uscita da una curva, la macchina sbanda violentemente a causa di un buco nell’asfalto. Il pilota cerca di tenere la vettura in assetto, ma quando le ruote si imbattono in un piccolo dosso, perdono aderenza. La Porsche vola letteralmente all’interno del cortile di una grande cascina, travolgendo una cancellata e tutto quello che si trova sulla sua strada. Gli airbag stranamente non si aprono, difettosi. Il parabrezza si crepa e quando il veicolo raggiunge un’altra recinzione, Silvano viene sbalzato fuori, poiché non si è rimesso la cintura dopo essersi fermato ad orinare. Incredibilmente la macchina lo evita mentre lui plana sopra un immenso covone di paglia. Non ha grandi conseguenze fisiche, soltanto qualche piccola ferita sulle braccia e un lieve trauma cranico. Nulla che non si possa risolvere con qualche punto e molto riposo. La debolezza data dall’influenza ha alla fine vinto sull’iperattività fittizia concessa dalla cocaina, impedendogli di trovare la forza per controllare la potente vettura.
Quest’ultima prosegue la sua folle corsa, sempre più lentamente ma in maniera inesorabile. Per alcuni istanti danza sul bordo del dirupo che si apre dietro alla tenuta agricola. E’ una scarpata vera e propria, profonda e nel primo tratto quasi verticale. Silvano ha lo sguardo offuscato dalla botta, gli occhi pieni di lacrime. Ma si rende immediatamente conto del disastro quando la macchia gialla scompare oltre l’orlo. La gravità ha catturato l’auto, portandola nell’abisso.
La macchina precipita per molti metri tra gli arbusti, andandosi a schiantare laddove pochi istanti prima due caprioli stavano brucando gli sparuti germogli di alcune piante autunnali. Sono animali dannosi per le colture, e si riproducono in maniera incessante. Durante i periodi di caccia selettiva vengono decimati, ma ogni anno ricompaiono, diventando nuovamente una grave minaccia per i contadini.
I due caprioli sono terrorizzati, e schizzano tra gli alberi presenti sul fondo del dirupo senza controllo. Sono velocissimi e intenzionati a mettere quanta più distanza possibile tra loro e quella “cosa” che stava precipitando sulle loro teste. Giungono ad una strada, ma ovviamente non si fermano. A loro non interessa che lungo la carreggiata vi sia un ciclista, il cui nome è Carlo Giovine. Vogliono solo fuggire lontano, mettersi in salvo. Il loro pelo è marrone, come normale durante la muta autunnale.
Silvano saprà solo in un secondo momento di avere nuovamente attentato alla vita dell’architetto, per quanto involontariamente. Tra se e se maledirà il fatto di aver perso un’altra buona occasione per porre fine alla vita di quel ciclista del cazzo. L’uomo che gli ha portato via Barbara.