L'infermiera di arturobandini
Gretchen tira su i collant e subito passa una mano sul nylon per essere certa che non siano rimaste grinze. Poi indossa uno degli eleganti tailleur che porta la domenica alla funzione, prima la camicetta, poi la gonna e infine la giacca. L’ha indossato per la prima volta quando ha partecipato alla festa per il suo pensionamento, ormai più di un anno fa. Le è costato un occhio, ma è valso ogni dollaro speso, poiché le sta alla perfezione e la fa sembrare più sofisticata di quanto non sia. Calza delle scarpe alla moda, con un tacco non troppo alto ma che le slancia le gambe in maniera miracolosa. Non resiste e cammina su e giù per la stanza da letto con uno scattante passo da modella.
Gretchen si osserva nello specchio a figura intera, nascosto all’interno dell’anta dell’armadio. Ha ancora una bella linea, nonostante l’età non più verde. Molti uomini le hanno ronzato attorno nel corso degli anni e anche se ha avuto delle relazioni stabili non si è mai voluta sposare. Si trucca in maniera leggera, solo un po’ di mascara e di fard, poi pettina i capelli con grande attenzione. Ha un taglio elegante ma moderno, anche se da qualche anno ha smesso di tingersi ed è ormai quasi completamente grigia. Eppure le sta bene e il suo portamento sembra ancora quello di una donna molto più giovane.
Scende le scale della villetta e si dirige in salotto. Su un grande tavolo si trovano quarantacinque vasetti, e Gretchen li accarezza con lo sguardo, fiera della sua collezione. Ha iniziato a radunarli durante il primo anno lavorativo, appena uscita dal college e ha proseguito fino a quando non è andata in pensione. Ogni barattolo è sigillato e sul tappo vi è un’etichetta che indica quando il contenuto è stato raccolto.
La donna non resiste e si avvicina a quello dov’è scritto ‘1970’. Lo prende tra le mani sensibili e allo stesso tempo forti, quasi coccolandolo. Ricorda perfettamente la persona che gliel’ha regalato: si chiamava Lamarr ed era un reduce della guerra del Vietnam, un ragazzo alto e grosso, nero come la pece. Era tornato con quello che oggi si chiama disturbo post-traumatico da stress ma che allora non aveva ancora un nome. In un primo momento la bottiglia era stata il suo rifugio, e poi lo era diventata la stessa Gretchen. Quest’ultima ripone delicatamente il barattolo assieme agli altri e ne prende un altro al quale è particolarmente legata, quello con il ‘1983’.
Il contenuto le è stato regalato da un povero immigrato ucraino, Ivàn, fuggito dal regime sovietico, ma che non essendo in grado di imparare l’inglese non era riuscito a trovare un lavoro stabile, finendo quindi per strada. Un uomo dolce e gentile, ed ora Gretchen lo ricorda con affetto e un brivido di passione, poiché in un paio di occasioni sono stati a letto assieme.
Il campanello suona due volte, troppo forte, quasi petulante e un po’ la infastidisce. Sa di chi si tratta, del resto li sta aspettando. Ripone il vasetto tra gli altri, con delicatezza, e si reca lentamente alla porta d’ingresso: che l’attendano, del resto dovrà andare via con loro entro pochi minuti, lo sa bene. Quasi si ferma quando si rende conto che non potrà tenere con se la collezione. Che fine farà tutta quella meraviglia? Scaccia il pensiero fastidioso dalla testa mentre il campanello suona ancora, più volte, facendola affrettare.
“Arrivo, arrivo!”
La donna apre e si trova di fronte la simpatica detective che è passata a farle qualche domanda la settimana scorsa. La poliziotta è in borghese ed è accompagnata da altri due agenti in divisa. Prima che qualcuno possa parlare Gretchen si passa una mano tra i capelli con fare vezzoso.
“So perché siete qua. Prego, seguitemi”.
Detto questo si gira e li conduce in salotto. Una volta nella stanza mostra loro i barattoli, con orgoglio, allargando il braccio come se stesse mostrando un’opera d’arte. Non ha più senso tenere nascosta la sua collezione, la creazione dell’intera vita.
L’agente più giovane ha un evidente conato di vomito, mentre la detective e il collega più anziano strabuzzano gli occhi, inorriditi. Gretchen indossa velocemente un cappotto elegante, già pronto sullo schienale di una sedia, poi tende i polsi verso i poliziotti. Viene ammanettata e mentre le leggono i suoi diritti, l’infermiera in pensione sorride, poiché sa che il Signore è con lei.
Il giorno dopo il telegiornale della CNN apre così:
Arrestata dalla detective Flora Johnson della Polizia Metropolitana di Chicago, Gretchen Peterson, sessantasette anni, pensionata. La donna è accusata di aver assassinato e conseguentemente evirato quarantacinque senza tetto, tra il 1970 e il 2015, uno all’anno. Peterson, una stimata assistente di camera operatoria, è nota per il grande impegno nel sociale, da sempre attiva nella Chiesa Episcopale, frequentata assiduamente fin dalla più tenera età.
Pare che la donna scegliesse le vittime proprio tra le persone di cui si occupava durante le ore svolte come volontaria presso la mensa dei poveri organizzata dalla sua comunità religiosa. In un primo momento provocava loro un arresto cardiaco, grazie a un cocktail di farmaci di cui poteva disporre facilmente in ospedale, poi li evirava con un taglio netto ed esperto di bisturi e alla fine conservava i loro peni in barattoli sigillati, dopo averli posti sotto formaldeide.
Gli inquirenti non hanno ancora confermato o smentito, ma parrebbe quindi svelata l’identità del più longevo serial killer degli Stati Uniti, denominato ‘Il Collezionista di Peni’. Del resto i profiler non sono mai riusciti a stabilire con certezza se si trattasse di un uomo o di una donna.
Peterson, subito dopo l’arresto, avrebbe dichiarato:
“E’ stato il Signore a dirmi di agire, di mandare a lui i suoi angeli caduti e sofferenti, per poterli accogliere nel Regno dei Cieli. L’Altissimo mi ha ordinato di conservare una parte di loro, per poterli ricordare e celebrare ancora qua in Terra, ed io l’ho fatto: ci tengo al Paradiso”.