"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)

U8-01: Il ritorno

La notte dei cristalli di scarpax

L’ultima volta che vidi mio padre ero una bambina di tre anni, naturalmente non ricordo quel giorno, vive nella mia memoria attraverso i racconti di mia madre, ma ne conosco la data: il 7 novembre del 1914.
La Germania dopo la sconfitta sulla Marna portò altri uomini al fronte, tra i quali, appunto, mio padre. Quella che doveva essere una guerra lampo divenne però una guerra di trincee in cui gli uomini vivevano come topi. I più fortunati morivano per l’esplosione di una bomba o per un proiettile vagante, i meno fortunati per le esalazioni del gas al cloro.

MIo padre venne dichiarato disperso dopo la battaglia di Montdidier-Noyon nel giugno del 1918, a un passo dalla sconfitta della Germania e dalla fine della guerra, che avvenne a settembre.
Furono anni difficili quelli che seguirono, per tutto il popolo tedesco. La crisi economica alla fine degli anni ‘30 aveva messo in ginocchio la popolazione. La mia famiglia si adeguava come poteva e io e mio fratello cercavamo di portare qualcosa a casa.
Io, oltre a studiare dattilografia, lavoravo come domestica presso i Rosenthal, una famiglia ebrea che aveva un rinomato negozio di stoffe a Berlino. Era una famiglia per bene e avevano da poco avuto una bimba di nome Rachele alla quale ero molto legata. Poi avvenne qualcosa che cambiò tutto.
Nel 1934 ero fidanzata con un ragazzo di nome Hans, aveva fatto parte della gioventù hitleriana e voleva entrare nell’esercito. Hitler era diventato presidente del reich.
A settembre io e Hans eravamo di ritorno dal raduno di Norimberga “Il trionfo della volontà”, non che a me interessasse la politica, ai nostri tempi l’unico insegnamento che noi ragazze ricevevamo era l’obbedienza, non eravamo certo spinte a ragionare più di tanto, ma Hans era un convinto sostenitore delle idee nazionalsocialiste. Naturalmente non dissi mai nulla ai Rosenthal del fatto che andassi ai raduni con Hans, perchè avrei dovuto farli soffrire per idee che neanche mi appartenevano?
Fu proprio di ritorno da Norimberga che lo ritrovai a casa. Era un uomo alto e molto magro, con un grande naso aquilino e i capelli biondi e grigi tagliati a spazzola. Dimostrava molti più anni di quanti ne aveva e i suoi occhi cerulei non guardavano mai direttamente nessuno. Era in piedi accanto a mia madre, che piangeva e rideva allo stesso tempo. Mio fratello Karl me lo aveva anticipato alla porta dicendomi “E’ tornato” ma io non avevo capito esattamente di chi parlasse, quando entrai in cucina e lo vidi però compresi. Fu lui ad avvicinarsi e ad allungare la mano per salutarmi come si salutano con cortesia due estranei, dicendo “piacere io sono suo padre, Albrecht”. A mia volta mi presentai e presentai Hans. Per quella sera fu tutto. Lui andò nella stanza da letto e ne uscì solo l’indomani.
Era stato prigioniero in Francia, poi era tornato in germania e internato in vari ospedali e sanatori mentali, per i traumi dovuti alla guerra aveva perso la memoria. Ci vollero anni perché tornasse nel pieno delle sue facoltà. Forse l’unica cosa che lo aveva aiutato in questa odissea era l’istinto di sopravvivenza. Finché un giorno, anni dopo comunque l’aver recuperato tutti i suoi ricordi, si decise a tornare a casa. Un giorno mi confessò che non era stato facile, riteneva l’ipotesi di non essere accettato peggiore dell’idea di essere ritenuto morto. Per questo aveva aspettato tanto a dire ai medici di aver recuperato la memoria, per paura. Si dimostrò comunque una persona affidabile, anche se schiva e introversa. Riprese a lavorare in una falegnameria dando così il suo contributo a casa. Non parlava mai di politica anche se una volta lo vidi gettare nella spazzatura una copia del “der Stürmer” lasciata da Hans con grande disprezzo. Quando gli chiesi perché l’avesse gettata mi disse che aveva conosciuto molti ebrei che avevano perso la vita durante la guerra nell’esercito tedesco, e che
questa campagna antisemita era disgustosa.
Disprezzava anche Hans, si allontanava da lui ogni volta che entrava nel suo campo visivo. Odiava la sua fissazione per il partito nazionalsocialista e Hans spesso lo irritava coi suoi discorsi sulla superiorità della razza ariana. A volte si chiudeva nella stanza da letto e non usciva per giorni, Solo Dio sa cosa doveva aver passato durante la guerra, la prigionia e gli internamenti.
Quando furono emanate le leggi di Norimberga dovetti smettere di lavorare dai Rosenthal. L’ultima volta che andai a casa loro per salutarli chiesi oro perché non andassero via dalla germania, mi risposero che quella era casa loro e che tutto si sarebbe aggiustato. Rachele aveva ormai otto anni ed era una bellissima bambina, Piansi tanto quando tornai a casa.
Dopo l’assassinio di Ernst Eduard vom Rath a Parigi furono attaccate le sinagoghe di Kassel, Bad Hersfeld e di Mesusugen. Gobbels il 9 novembre del ‘38 incolpò gli ebrei della norte di vom Rath e anche se disse che il partito non organizzava rappresaglie ma disse pure che non avrebbe fatto nulla per fermarle.
Quella sera Hans, che era oramai in odore di SS, girava per le strade del quartiere con il suo gruppo di camerati infrangendo vetrine, bruciando case e arrestando ebrei. Sapevo che sarebbe andato anche dai Rosenthal, li odiava più di tutti perché per necessità avevo servito da loro. Corsi a casa loro per avvertirli, per dare loro una possibilità di fuga. Quando arrivai era tardi, già Hans era dentro casa. I Rosenthal erano fuori, tenuti legati e in ginocchio dagli sgherri di Hans. Mancava Rachele e capii che era ancora dentro e che Hans la cercava. Entrai. C’era fumo dovuto alle suppellettili alle quali era stato dato fuoco, sentii la voce di Hans arrivare dalla stanza in fondo al corridoio, chiamava Rachele. Corsi attraversai di corsa il corridoio ma mi bloccò il suono di un colpo di pistola. Mi arrestai, chiedendomi se avessi avuto la forza di guardare, attraverso la soglia della porta vidi Hans disteso a terra e mio padre che teneva abbracciata Rachele, con la pistola fumante ancora in mano.

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