"IL TROLL" di Maurocap
Buio umido.
Oscurità unta quasi appiccicosa.
Pochi suoni ovattati: uno smussato brusio di sottofondo interrotto da irregolari ma costanti tonfi sulla volta invisibile. Di tanto in tanto un vecchio cavo elettrico tranciato scoppiettava sprizzando qualche scintilla giallastra che si rifletteva sul rigagnolo a metà galleria.
Qua e là rare zone illuminate, un neon indeciso tra morire subito o soffrire un giorno in più, il debole cono di luce filtrante da un tombino mezzo otturato e poco più avanti una una pozza di liquame fosforescente. Alcuni funghi erano spuntati proprio lì in mezzo e in poco tempo si erano moltiplicati crescendo su una delle pareti fino a formare uno spugnoso altare avvolto da una invitante nebbiolina verde. Quello però era un luogo pericoloso: quando, ingolosito dalla loro morbidezza, ne aveva assaggiato uno era crollato esanime a ridosso della pozza e al suo risveglio, impossibile sapere quanto tempo dopo, alcune spore avevano attecchito sul suo avambraccio. Ancora adesso gli davano un gran prurito.
Per fortuna il cibo non era mai un problema laggiù perché quantità e qualità erano assicurate da innumerevoli fattori ambientali. Inoltre a lui bastava poco per mantenersi in forma. Con quella passeggiata aveva già assaggiato diverse prelibatezze: una gomma da masticare usata (al lampone), la crosta di una pizza bagnata di birra e due cubetti di ghiaccio chiusi in un bicchiere di plastica che sapevano ancora di buono.
Sapori avanzati, gusti di seconda mano. Era abbastanza.
Quando giunse al crocevia abbandonato un profumo inebriante gli fece venire l'acquolina in bocca. Seduto su uno dei binari annusò l'aria in tutte le direzioni, ma era difficile capirne la provenienza così approfittò del tempo impiegato a prendere una decisione per grattarsi via le croste di sporco sulla testa pelata, e con le spesse unghie che si ritrovava non fu un compito facile.
Non ebbe più dubbi. S'incamminò lungo la galleria in salita e in breve individuò il succulento cadavere di un piccione disteso su un letto di filtri di sigarette. Il ratto che aveva trascinato laggiù i resti del volatile, spaventato dal suo arrivo, si era infilato in una buca poco distante e per un attimo lo fissò con disappunto.
Che pacchia.
Impacciato dall'emozione sollevò delicatamente il piccione tenendolo per le ali, le aprì più che poté e soffiò forte per dar loro una ripulita da tutta quella cenere speziata infilata tra le piume. La detestava, era quasi allergico.
Era il momento.
Un po' di saliva gli colò sul mento.
Spalancò la bocca e...
Un inaspettato verso animale lo fece sussultare. Perse la presa sul corpicino che cadde sporcandosi di nuovo.
Gli sfuggì un grugnito contrariato. Un altro barbone? Proprio adesso?
Il ratto approfittò dell'esitazione e come un fulmine si precipitò sul pennuto addentandolo a tradimento. Fuggì via però solo con un paio di penne in bocca.
Il suono si ripeté meglio definito.
Un gemito.
Inaccettabile. Quello era il suo territorio!
Indispettito dall'invasione decise di avvicinarsi, con cautela, perché se qualcuno aveva avuto il coraggio di scendere così in basso nelle vecchie gallerie poteva essere molto pericoloso. Per fortuna nessuno conosceva quel luogo meglio di lui e una vita trascorsa laggiù gli aveva insegnato a spostarsi silenzioso come un fantasma. Nessuno lo avrebbe sentito arrivare.
Un centinaio di passi dopo li vide. Due uomini stavano grugnendo come ossessi, sagome scure accanto a una pila di libri incendiati per rischiarare l'ambiente.
Si fermò nel cono d'ombra tra due pilastri di cemento dove gli intrusi non potevano individuarlo. Udì di nuovo quello strano verso acuto e attutito. Sentì uno schiaffo, poi un altro. Era difficile vedere bene con tutta quella luce perciò impiegò parecchio prima di individuare la terza persona, una donna, immobilizzata sotto uno dei bruti.
Sapeva bene cosa stava accadendo: nei sotterranei non era certo la prima volta.
Non erano fatti suoi.
Arretrò di un passo sprofondando ancora di più nell'oscurità, ma per un istante i suoi occhi di fuoco incontrarono quelli di lei, disperati. Disperati al punto di invocare l'aiuto di un reietto come lui, uno dei dimenticati, uno degli indesiderati.
Chiuse le palpebre e tornò a essere tutt'uno col vuoto.
Espirò forte delle narici.
Uno scatto, tre falcate. Con un manrovescio investì l'uomo dai pantaloni calati scaraventandolo lontano e prima che l'altro potesse gridare di terrore gli prese la testa tra le mani callose facendole fare un intero giro sul collo. Con un solo schiocco osseo il secondo aggressore si afflosciò come un pupazzo.
Sei tremendi scoppi rimbombarono nella galleria, due proiettili rimbalzarono sul cemento mentre gli altri andarono tutti a segno su un bersaglio troppo grande per essere mancato. Un calore mai provato prima gli esplose nella schiena e gli cedettero le ginocchia.
Cadde.
E...
E ruggì di rabbia come non aveva più fatto da tempo immemorabile.
Fu questione di un attimo. Il dolore scomparve, scattò in piedi e piombò addosso al primo uomo che in preda al panico stava ancora premendo il grilletto a vuoto. Il pugno che gli sfondò il torace fu sufficiente.
La donna giaceva su un fianco accanto all'altro cadavere, troppo sconvolta per far altro che fissare la sagoma primitiva eretta al limitare delle tenebre. Con un dito ricoperto di muschio il troll le indicò l'uscita e poi arretrò, scomparendo nel buio senza neppure un fruscio.
Forse quel dannato ratto non aveva ancora mangiato tutto il piccione.