"ANGELO CUSTODE" di Andy Drufesne
Vendetta. Ogni cellula del mio corpo ti brama, ma sarò paziente.
- Buongiorno, sono Angelo, custode del museo, cosa posso fare per lei?
- Se continui a rispondere così la gente ti chiederà di farle vedere le ali.
- Simpaticone!
- Tu prima o poi accendili quegli occhiali, altrimenti che te li mando a fare i messaggi? Comunque per stasera va bene.
- Mea culpa, sono un po’ rincoglionito. Passami a prendere verso le otto e mezza.
È una dannata giornata di pioggia e il Custode fatica a camminare sulle sue gambe ancora lievemente atrofizzate. I quattro anni di coma non sono stati dimenticati dai suoi muscoli.
L’Amico lo sorregge prendendolo per il braccio, un gesto che l’orgoglioso Custode percepisce come miserevole carità.
Entrando nel pub irlandese, che d’irlandese ha solo qualche trifoglio qua e là, vengono sommersi da un silenzio che sarebbe paradossale in un pub, a meno che se non si tratti delle nove di un mercoledì sera qualunque.
Con la consapevolezza di dover attendere che l’alcol giungesse in circolo per parlare dell’argomento clou della serata, i due si lamentano dei rispettivi lavori in un sadico gioco a chi ce l’ha più duro. Il mestiere, s’intende.
L’arrivo delle birre cambia le carte in tavola e dopo mezzo boccale la discussione vira dove il timone del Custode la guida.
- Anche se mi credi pazzo sono davvero innamorato.
- Smettila di dire così, cazzo. Sei ingenuo, questo sicuro.
- Perché ingenuo? Preferirei pazzo.
- Se è pazzia è una somma di amore per l’arte e ingenuità che non ti fa distinguere la realtà dalla fantasia nel paese dei balordi. Conosci le leggi. Credi di essere il primo ad innamorarsi di un’IA?
- Lei non è un’IA qualsiasi, pensa, impara e…
- Mi è impossibile crederti.
- …immagina. Perché devi dire così?
- Non puoi crederci davvero. Sei così cieco da dimenticare che qualunque cosa sia, speciale o meno, è frutto di una programmazione? Ciò che pensa, ciò che immagina è tutto basato su calcoli e algoritmi.
Così un continuo di “tu non la conosci” da una parte, “è solo un programma” dall’altra per i successivi 3 boccali. Nessuno dei due avrebbe mai cambiato opinione, ma soprattutto non l’avrebbe cambiata il Custode.
La sua Venere era speciale, il suo modo di comportarsi lo era, i suoi sentimenti lo erano.
Essendo nato in un tempo in cui il mondo non era così invaso dalle intelligenze artificiali, aveva faticato non poco ad accettare l’idea di essere circondato da quadri e sculture parlanti. Tuttavia l’importante era che le opere non venissero intaccate: che Lucifero parlasse pure, non avrebbe detto niente di più della biografia di Blake e della sua genesi, immobile e senza spirito. La sua preziosa arte non sarebbe mai stata compromessa.
Queste sue convinzioni crollarono nel momento in cui una nuova Venere entrò a far parte della collezione del museo, una copia di Venere Callipigia che avrebbe cambiato la sua esistenza.
Era rientrato da poco nel mondo reale dopo un sonno forzato di quattro anni, tempo utile per tutti gli interventi a cui doveva necessariamente sottoporsi se non voleva recitare nel reboot di Batman il ruolo di Due Facce senza aver bisogno di trucco. L’incendio che aveva devastato mezzo corpo del Custode e mezzo condominio aveva risparmiato il suo preziosissimo quadro di François Renè, piccolo dipinto acquistato a Parigi quando l’ormai celeberrimo artista era poco più di un venditore ambulante. In realtà era unicamente per salvaguardare quel quadro, simbolo della sua intelligenza e lungimiranza artistica, oltre che opera d’arte unica, che il Custode rientrò nell’edificio in fiamme. Salvò solo il dipinto.
Al suo risveglio il museo approfittò del suo “supercustode, protettore dell’arte” organizzando una festa col solo obiettivo di racimolare un po’ di grana. Oltretutto come sfruttare al meglio l’idolo cittadino se non riassumendolo col vecchio incarico? Il custode ad interim non poteva competere.
Venere entrò nel museo pochi mesi più tardi. Il Custode rimase subito ammaliato dalla copia di quella che era fra le sue sculture preferite. E capì subito perché era da sempre conosciuta come Callipigia, “dalle belle natiche”. Tutta la sua figura risultava armoniosa, le sue linee morbide e l’atteggiamento della postura naturale e sensuale. Troppo sensuale per non provocare un’erezione a chi già di suo si considerava sposato all’arte.
Come se non bastasse non era come tutte le altre opere dotate di IA: era capace di tenere una vera conversazione.
- Non mi sento realizzata.
- Che intendi dire?
- Se qualcuno ti dicesse “ti clonerò” tu accetteresti?
- Non saprei.
- Ecco, alla Venere originale non l’hanno neanche chiesto.
- Beh, ma non potevano! E poi si tratta di un capolavoro, ben venga se viene copiato e portato in giro per il mondo.
- Qui ti volevo. Quindi io sono solo una copia costruita ad hoc per dedicare la mia esistenza ad imitare l’originale. – sospiro - Vivo in inquietudine.
Non riusciva proprio a controbbattere ad affermazioni così potenti espresse da quella che appariva come una semplice scultura.
- Sono costretta a fare la copia imperfetta, a ripetere sempre le stesse dozzinali descrizioni, sempre e per sempre.
- Ma tu sei speciale, la tua personalità lo è.
- Perché sono un prototipo di IA con CPV.
- Citi la Guida Galattica per gli autostoppisti o sbaglio?
- Esatto, almeno ho l’accesso diretto al web che mi permette di passare il tempo.
- Lo vedi, sei incredibile!
Ogni discussione con la Venere convinceva sempre più il Custode della sua unicità e della sua bellezza d’animo. Sì, s’era convinto anche che l’IA avesse un’anima. Prima non aveva mai pensato di possederne una egli stesso.
Ogni giorno era un problema filosofico nuovo, una sfida logica, una citazione di opere amate dal Custode, come se avessero gli stessi gusti e le stesse passioni.
Più passava il tempo più capiva di star cadendo nella dolce trappola dell’amore. Così come lo capiva anche Dante.
- Ho visto qualche articolo sull’incendio…
- Qualche volta sogno l’inferno, è molto simile.
- Ma dove hai trovato il coraggio di rientrare?
- Non volevo che il mondo perdesse un Renè per uno stupido incendio.
- Sembra che dentro ci fosse anche una donna.
- Già, i vigili del fuoco non volevano salvare né lei né il “Fugit Amor”. Ti rendi conto?
- Cosa?
- Se non fosse stato per me il dipinto sarebbe perduto!
- E la donna?
- Beh – la risposta per il Custode era semplice e scontata - non potevo salvare entrambi.
La confessione con l’Amico era servita solo ad aggiungere qualche spina nel fianco. Il loro amore non sarebbe mai potuto essere libero, ora se ne rendeva pienamente conto. Se era osteggiato dall’Amico figurarsi dal resto della società. Quanti secoli di persecuzioni avevano subito gli omosessuali prima di essere liberi di amare quello che è soltanto un altro essere umano? Figurarsi se poteva essere accettata una relazione fra un uomo e un’IA.
Si sarebbero potuti amare esclusivamente di nascosto o in fondo al mare. Questi erano i pensieri che vorticavano nella mente del Custode quel giorno in cui tutto stava nuovamente per cambiare.
È ormai sera e il museo è chiuso. Il Custode è dalla parte opposta della porta rispetto al solito.
Ha preparato un piccolo discorso per la sua Venere, una dichiarazione d’amore in pompa magna, ma né lui né chi sta dall’altra parte hanno voglia di attendere. Sente il freddo della scultura sul pene, fra le dure natiche di Venere che, come sempre, ha lo sguardo rivolto indietro. Solo che questa volta sembra fatto appositamente per il suo amante.
Viene trovato dalla polizia proprio mentre si sta masturbando sulla scultura. Ormai la minicam e il microfono sono spenti. Il primo pensiero corre alle finestre, ma se mai si fosse tuffato l’avrebbe fatto con la sua Venere fra le braccia. Non l’avrebbe mai abbandonata. È quello che urla ai due agenti, ancora stupiti dal fatto che la chiamata anonima non fosse uno scherzo.
Mentre viene arrestato il Custode continua ad implorare di non toccare la sua Venere, il suo amore. I due poliziotti si scambiano uno sguardo eloquente: il poveretto è andato, completamente impazzito. Chissà, il trauma cranico, il coma. Il mondo corre e tu rimani indietro. Di sicuro non lo biasimavano per le sue assurdità, ma avrebbe dovuto passare tanti anni in manicomio. Molto più probabile del carcere data la normalità dell’IA della Venere.
L’Investigatore cerca delle prove vicino alla scultura attivandola. È un ritorno alla vita programmata, la Venere inizia ad esporre la sua storia, di come sia stata scolpita come copia di una statua greca raffigurante Afrodite. Sembrerebbe quasi lamentarsi delle sue origini.
Nonostante in realtà le sue ipotesi siano esatte, l’Investigatore non riesce a trovare niente di strano all’esterno o nella programmazione della Venere. D’altronde, sebbene Dante avesse dedicato gli ultimi quattro anni alla sua vendetta, anche se conosceva i gusti del Custode quanto i suoi, le sue perversioni, le sue manie, il suo fanatismo, perché arrivare a riprogrammare la Venere? Grazie al sistema sempre online hackerabile avrebbe sfruttato la minicam e il microfono già installati. Lui sarebbe diventato la Venere. Il carnefice avrebbe fatto innamorare di sé la vittima spingendola in una folle sindrome di Stoccolma. Il Custode avrebbe amato e perduto, proprio come Dante.
La vendetta è servita, lo scopo raggiunto. Non c’è nient’altro da fare.