"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)

U5-09 Il Venditore

Il venditore/Il compratore di steve_vai_it

Nel preciso istante in cui misi il punto, nello stesso preciso istante in cui ebbi finito di scrivere il racconto, una sensazione di sconforto iniziò a prendersi possesso di me. Erano circa le quattro del mattino di una di quelle notti invernali dove la luce di fuori era ancora ben lontana dal rischiarare l’appiccicoso cielo nero che avvolgeva l’intera città, proprio come avrebbe fatto un prestigiatore con il proprio trucco davanti ad un pubblico ignaro di quello che si sarebbe trovato innanzi. Spingendo con entrambi i palmi sulla scrivania scostai la sedia facendola grattare sul pavimento sottostante: l’inquilino del piano di sotto avrebbe sicuramente avuto da ridire il mattino seguente. Quando fui in piedi ci impiegai poco a raggiungere la finestra. Una volta lì scostai la tendina e mi fermai a guardare il mondo dormiente, riportato nel micro agglomerato urbano della mia città. Per un attimo immaginai che in tutto l’emisfero dove in quel momento era buio la realtà si sarebbe presentata ad un ipotetico scrutatore nascosto tra le mura calde della propria casa, dalla propria stanza, proprio come lo ero io, nella stessa identica forma e negli stessi identici suoni che plasmavano la realtà al di là di quel vetro. L’oggetto della mia attenzione in quel momento fu una lontana fabbrica di laterizi che svettava tra gli altri palazzi. Il comignolo, punto più alto della struttura, produceva svogliato ma regolare qualche cerchio di fumo. Mano a mano che i pensieri si accumulavano iniziai a capire di non avere un particolare motivo per stare a quella finestra, per spiare il mondo.

Gli occhi si spostarono mentre abbassai la testa iniziando a mettere a fuoco qualche gocciolina di condensa che s’era attaccata al vetro, rendendo la strada di sotto e tutte le macchina parcheggiate un vero e proprio collage sfocato. Mi accesi una sigaretta imitando il comignolo della fabbrica, piccole nuvole regolari di tabacco, sospiri, il tutto inseguendo non so bene cosa al di fuori di quel rettangolo vetrato. Non appena ebbi esalato l’ultimo tiro dalle mie dita feci il percorso inverso. Tornato alla scrivania prestai attenzione nello spostare la sedia senza che questa gracchiasse per la seconda volta. Una volta seduto sollevai il monitor del laptop che si ravvivò in una esplosione di colori illuminandomi il volto di una luce simil-alogena. In pochi click aprii il documento che tanto mi stava tormentando, selezionai una pagina a caso nella metà centrale del racconto ed aggrottai le sopracciglia iniziando a leggere.

“Mia si stese sul letto lasciando che le pesanti membra ancora coperte dai vestiti gravassero sul materasso. Chiuse per un momento gli occhi abbandonandosi al buio e al silenzio che sognava da ore. Iniziò a pensare. A nulla in particolare. Il silenzio si ruppe qualche istante dopo quando una notifica di whatsapp le fece aprire l’occhio sinistro, quello dalla parte della testa non appoggiata sul cuscino.
«Lo leggerò dopo» pensò.
Nel buio del bulbo, ora che l’occhio s’era chiuso nuovamente, rimase però accesa una traccia luminosa che morì di lì a poco. Fu un attimo: un pensiero le attraversò la testa facendola sollevare dal materasso, elettrizzata. I lunghi capelli la seguirono in una danza profumata, leggiadra. Dovette scostare una ciocca dalla faccia per liberarsi il campo visivo. Dopo qualche attimo di indugio che mal si sposava con il precedente stato d'animo, scattò in posizione semieretta e si avviò definitivamente verso la finestra che dava su di un palazzo lontano circa un centinaio di metri. In mezzo, un cortiletto di cemento s’alternava a qualche spazio verde dove sorgevano alcuni alberi.”

Staccai gli occhi dal monitor. Dapprima osservando il muro davanti a me, poi ruotando il capo di quarantacinque gradi verso destra guardai la finestra alla quale ero affacciato poco prima. Tornai a leggere deglutendo piano.

“Mia concentrò la propria attenzione su di una finestra illuminata nel palazzo di fronte. Era l’unica anche questa volta. Scrivo “anche questa volta” perché tornando a casa, di sera, Mia usava osservare quello squarcio di luce nel buio del nulla indefinito. Non si limitava però ad osservare, faceva di più, qualcosa di audace: Mia immaginava la vita degli altri, di quelle persone che abitavano dall’altra parte. Una notte immaginò che l’abitante della casa della luce – l’aveva così ribattezzata – fosse un dottore costretto a dormire tutte le notti con la luce accesa, «per via della reperibilità, sì, dev’essere senz’altro questo» pensò ridacchiando. Un’altra volta invece immaginò uno scrittore, un imbrattacarte, un cantastorie. Le notti d’inverno passavano e Mia iniziava a trovare quel gioco un po’ stucchevole. Aveva voglia di uscire, di conoscere chi ci fosse realmente dall’altra parte.
«Chissà se anche lui guardando nella mia direzione ha fatto gli stessi pensieri» si ritrovò sorpresa a domandarsi.”

Ridussi ad icona il racconto che stavo rileggendo ed aprii una mail, quella del mio committente. Non era la prima volta che vendevo un breve scritto ad un’altra persona. I miei clienti erano composti per lo più da persone che volevano sorprendere qualcuno beandosi di un’abilità che non avevano e non avrebbero mai avuto: quella di poter dipingere un’idea, cambiarne i colori, comporre pezzi musicali con delle variazioni di nota da far rabbrividire Thelonious Monk, poi trasportare il tutto su pezzo di carta o un file virtuale. Rilessi brevemente:

“Salve, lei non mi conosce ed io non la conosco. La sua fama, però, la precede. Ho bisogno che lei scriva per me un racconto, ne ho urgente bisogno. Vorrei che il racconto non superasse i dodicimila caratteri. Il compenso sarà adeguato. L’unica cosa che le chiedo è che la storia racconti di una ragazza di nome Mia e del suo omicidio. Non c’è altro. La data di consegna è tassativamente fissata per il 30 Novembre. Mi faccia sapere. Cordialmente.”

In un primo istante mi ero detto «Lo faccio» ed avevo risposto affermativamente. Ora però la coscienza mi stava suggerendo di non inviare quel racconto. Perché?
Tornai a leggere fissando l’angolo in basso a destra dello schermo del pc: Domenica 29 Novembre, cinque del mattino. Non c’era più tempo.

“Mia attraversò il cortile di cemento sottostante e si voltò con il naso all’insù ad osservare la finestra della propria stanza. Aveva lasciato la luce appositamente accesa in modo da poterla mostrare alla persona o alle persone della “casa della luce” nel momento in cui avrebbe raccontato la storia. Si sentiva stranamente elettrizzata ed il cuore le batteva a ritmo sincopato. Accelerò dunque il passo facendo risuonare nella tromba del cortile un rumore sordo prodotto dal contatto dei piccoli tacchi degli stivaletti neri con il cemento. Aveva contato dal basso il numero dei piani che separavano la “casa della luce” dal terreno sottostante: quattro. Arrivata davanti ai campanelli del condominio, tentando di spegnere l’incendio che le si era formato nei polmoni, iniziò a cercare quelli del quarto piano; poté farlo grazie all’aiuto di alcune targhe color dell’oro recanti la scritta del piano al quale gli appartamenti collegati a quei precisi campanelli erano situati. Si era preparata anche una scusa. Non indugiò oltre e suonò ad uno dei tre. Non si udì altro rumore se non quello del vento che le faceva svolazzare i capelli fin dentro la bocca leggermente aperta nel tentativo di stabilizzare il respiro reso affannoso non più dalla corsa quanto dall’eccitazione. Suonò di nuovo ottenendo lo stesso verdetto: nessuno in casa. Si torse le mani mordicchiando nervosamente un mix di capelli e labbra. Poi si risollevò pensando che in fondo il margine d’errore s’era appena ridotto del trentatré percento. Suonò dunque al secondo e dopo qualche attimo una voce maschile le rispose.
«Pizza» balbettò lei.
«Ma io non ho ordinato alcuna pizza».
«Mi apra la prego, probabilmente ho sbagliato campanello.»
Il click del portone fu come una miccia per il cuore sopito.”

Guardai nuovamente l’orologio: era tardi e sapevo che il mio committente avrebbe voluto il racconto nella sua casella mail entro le otto della mattina. Lo sapevo perché avemmo altri scambi dopo quella prima mail. Decisi di saltare e leggere il finale, giusto per capire se potessi intervenire in qualche modo.

“Mia tornò nell’appartamento di quell’uomo che ormai frequentava da qualche tempo. Arrivò al campanello e suonò a colpo sicuro: non aveva più bisogno di orientarsi con lo sguardo, tanto conosceva quella fila di pulsanti dorati. Aspettò qualche secondo e premette nuovamente, in maniera prolungata. Nulla. Frugò dunque nella borsa estraendo il cellulare, sbloccò il display e compose il numero di Pablo. Il telefono squillò un paio di volte e poi rispose una voce femminile. Mia balbettò qualcosa, non sappiamo bene cosa, poco prima di udire la donna rivolgersi ad una persona, probabilmente Pablo, in maniera seccata. «Pablo, è ancora questa? Ma non le hai ancora detto la verità?» Sul momento Mia non capì cosa stesse succedendo. «No, non ho avuto il coraggio» rispose l’uomo. La chiamata si chiuse. Proprio in quel momento ricollegò la luce stranamente spenta nell’appartamento di fronte, la voce di donna, la frase pronunciata e tutto il resto. Amava Pablo ma Pablo aveva un’altra. Povera Mia, il cuore sembrò aprirsi, la luce della “casa della luce” da quel momento in poi l’avrebbe fatta piombare nelle tenebre più scure, profonde. Corse disperata verso casa, gli occhi gonfi di lacrime, il singhiozzo le toglieva il fiato ripetutamente. A casa non ci arrivò mai. Dietro l’angolo un malvivente provò a rapinarla ma lei dentro quella borsa non aveva altro che un cellulare. Il ladro lo prese con la forza ma evidentemente non bastava a soddisfarlo; scattò su tutte le furie. L’accoltellò ripetutamente. Mia sentì il suo stesso cellulare squillare in tasca al malvivente. «Forse è Pablo, forse c’è ancora possibilità» pensò mentre la vita le sgorgava fuori dal ventre, bagnando il selciato di un viscoso rosso amaranto. La carne divenne burro, le vene si allargarono collassando le une sulle altre mentre il viso del malfattore veniva colpito dagli ultimi schizzi di sangue prodotti dall’ennesima coltellata, quella che spense la luce negli occhi di Mia, definitivamente.”

Provai molta empatia per Mia. Lei amava Pablo ma io credetti per qualche istante di amare lei. Poi pensai che fosse tutto paradossale. Poi nuovamente di amarla. Avrei voluto cambiare il finale ma avrei dovuto venire meno alla consegna. Allora pensai di modificare completamente la storia, di non consegnare mai quelle pagine al mio committente in modo da poter rendere giustizia alla donna. Decisi istantaneamente di eliminare dalla storia quel maledetto di Pablo e di rendere la sua finestra la mia finestra. Di fare diventare il suo campanello il mio campanello. Di accoglierla nella “casa della luce”, la mia casa. Sognai di fare l’amore con Mia, di farle vivere la vita felice che si sarebbe meritata e che forse avrei voluto anche io per entrambi. Dopo tutta questa serie di pensieri dovetti tornare a fare i conti con la realtà: i soldi mi servivano, non ne avevo più tanti ed i committenti scarseggiavano. In un attimo mi trovai a passare da una tipologia di venditore all’altra, senza scrupoli, senza lacrime. Vendetti il mio amore, la mia umanità, la mia empatia: inviai il racconto a chi me lo aveva commissionato condannando Mia a morte certa. Perdonami Mia.

Il compratore

Finalmente arrivò la mail. La aprii e lessi il racconto. Era ciò che avevo in mente. Digitai sul computer l’indirizzo del sito di concorsi letterari ai quali partecipavo e sul quale non avevo mai scritto un racconto che fosse frutto del mio lavoro. Iniziai a copiare pedissequamente dalla mail:
Il venditore

Nel preciso istante in cui misi il punto, nello stesso preciso istante in cui ebbi finito di scrivere il racconto […]”

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