"Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto." (Italo Calvino)

U6-08: La scalata imperiale

Il ciabattino Bhialik di scarpax

“E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco,
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parea s’era laico o cherco.”
Dante, Inferno, Canto XVIII


Fino all'età di sedici anni non avevo mai visto un paio di scarpe. Non era una cosa strana ai miei tempi vedere gente a piedi scalzi nella cittadina di Homusk. Del resto Homusk era un piccolo e povero villaggio lontano da ogni altro villaggio; così piccolo che quando passava un carro il cavallo che lo trainava ne aveva la testa già fuori quando il culo stava ancora nella piazza; così povero che mi ricordo ancora il giorno quando vidi l’ultimo pidocchio andar via, ma che volete, anche i pidocchi devono mangiare.
Eravamo poveri ma anche molto generosi, ci scambiavamo tutto quello che possedevamo: sporcizia, malattie e fame. La povertà non costa niente condividerla.
L’unica cosa che abbondava ad Homusk, che poi era la nostra principale fonte di cibo, era una bacca rossa che cresceva su cespugli spinosi. Noi la chiamavamo Tribulaskaja che letteralmente vuol dire: soffrire tre volte. Si soffriva per prenderla tra i rovi, si soffriva per ingoiarla a causa del suo gusto terribilmente amaro e si soffriva una terza volta per il suo tremendo effetto lassativo. La cosa che vedevi più di sovente ad Homusk era la gente correre, non perché fossimo sportivi, semplicemente andavamo il più velocemente possibile fuori dal villaggio, tra i rovi di Tribulaskaja, a liberarci l’intestino. Ora che ci penso questo nome vuol dire soffrire quattro volte.

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U6-07: Acqua

Inshallah di arturobandini

Talal non aveva mai visto uno spettacolo simile in tutta la sua vita. Pensò al suo villaggio in Cisgiordania, a come non gli fosse mai stato possibile allontanarsi legalmente per più di pochi chilometri dall'abitato. Questo perché suo padre era stato un agitatore politico ed era in carcere da più di quindici anni. Non l'aveva quasi conosciuto e di lui non aveva altro che i ricordi di bambino. Non avrebbe mai ottenuto i documenti per potersi trasferire, per poter viaggiare o studiare all'estero. Non poteva richiedere nemmeno quelli per lavorare in Israele, come persona di servizio o bracciante, tanto meno quelli per poter svolgere i lavori stagionali negli insediamenti. Non contava nulla il fatto che suo padre fosse stato iscritto a un partito o che avesse compiuto la sua attività sindacale alla luce del sole. Per il nemico era solo un terrorista.
Guardò ancora verso il basso e gli occhi vennero folgorati dai mille riflessi del sole sull'acqua nell'immenso bacino. Strinse le palpebre per il fastidio ma continuò a guardare oltre il parapetto di cemento, ammirato dalla quantità e dalla forza di quel liquido così raro nella sua arida terra. Inevitabilmente la sua mente andò a ricordare un episodio della sua infanzia, accaduto poco dopo l'arresto del padre.

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U6-06: La danza del selvaggio

Figlio dei selvaggi di Steve_vai_it
La voce di Edmund sembra provenire dal diaframma di un uomo stentoreo.

 

Bob Eko di Tavajigen
Tirò le due ultime boccate una dietro l’altra e spense la cicca con la suola, entrò nella sede societaria esalando fumo dalle narici. Quante ne aveva già fumate quel giorno, una dozzina?

 

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U6-05: L'esperimento

Forza pensiero! di Signor-BOH

Inizio esperimento: h 24.00 data odierna
Luogo: sorgente
Generale Tasos

Kylon lesse il telegramma e sprofondò sconsolato nella poltrona fissando con occhi vuoti la scrivania.
Lavorava orgogliosamente nel laboratorio chimico nazionale da 30 anni, ma da quando il generale Tasos fu nominato ministro della sicurezza nazionale, iniziò a detestare il suo lavoro. Non più studi su nuovi farmaci, ma ricerche segrete per creare una sostanza, una specie di “fiala della rivelazione” come era solito definirla il generale. La qualità della vita a La Canea, così come in tutto il Paese, non era delle migliori; la povertà aumentava, e molte erano le persone senza un tetto e senza la possibilità di mangiare. La corruzione dilagava, e il pugno duro delle forze dell’ordine spegneva facilmente sul nascere i pochi principi di ribellione. Kylon aveva sempre pensato che un popolo ridotto alla fame e alla miseria riuscisse ad unirsi e a ribaltare le cose, a migliorare la propria vita e quelle degli altri, ma Tasos, con astuzia e ferocia, aveva protetto per bene i colleghi e tutto il sistema. Aveva installato telecamere in ogni piazza e via, i mezzi di comunicazione erano sotto il controllo dello stato; pc, telefoni e mail erano sempre sotto osservazione, e il popolo si era abituato a vivere a testa china e con la convinzione che nulla sarebbe cambiato.

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U6-04: Once upon a time

I Narratori di arturobandini

Il giovane uomo lava il corpo del suo Maestro, preparandolo per il Fuoco Finale, il momento in cui l'anziano potrà finalmente essere liberato dalla costrizione del corpo terreno per tornare da Mìsh, al contempo Padre e Madre di tutti noi. Non può fare a meno di osservarne con attenzione le venerande mani, macchiate dall'età avanzata, eppure con le unghie perfettamente curate. Il Maestro è stato un uomo pulito e gli insegnato ad esserlo, nei quindici anni in cui l'ha allevato e educato. Il corpo esanime è ora magro, scavato dentro dalla malattia che l'ha consumato negli ultimi mesi e lo fa sembrare ancora più minuto di quanto non sia stato in vita. Quando l'aveva raccolto nei Bassifondi di Jik, gli era sembrato immenso e fortissimo, anche se si era trattata soltanto della percezione di un bimbo.
Le monache del piccolo monastero in cui verrà celebrata la funzione mortuaria lo aiutano, ma l'uomo sa che deve essere lui a compiere il pietoso lavacro, in prima persona. Glielo deve, perché per lui quell'uomo è stato tutto, famiglia e casa, protezione e istruzione, maestro e amico. Gli ha anche dato un nome, poiché non ne possedeva uno, orfano abbandonato, più simile a una bestia che a un essere umano. L'ha chiamato Oneìm, che nella Vecchia Lingua significa 'Il Primo'. Non ha mai capito perché proprio quel nome, non gli è mai parso di essere il migliore, solo uno dei tanti. Forse il Maestro ha visto qualcosa in lui che non è ancora emerso e che forse non emergerà più ora che se ne è andato.
Il giovane uomo alza lo sguardo e guarda il vecchio volto, incorniciato da una curata barba bianca, degna di un Narratore. La carnagione scura lo indica come un gomoriano, così come la bassa statura e la grande bellezza dei lineamenti, mai svanita nonostante l'avanzare dell'età. Le palpebre sono abbassate, ma Oneìm sa bene che non si tratta di semplice sonno. Gli occhi sono ormai senza scintilla vitale e una lacrima scorre sul volto di quello che è solo poco più di un ragazzo. Rivede il Maestro più giovane, anche se già anziano e rivede sé stesso bambino, raccolto da poco tempo.

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U6-03: La casa sulla collina

Il diario di Wong Fei Hung


La saletta puzzava di fumo e di chiuso. Il caos cittadino si andava calmando, clacson e smog lasciavano la presa sulle strade londinesi.
-Cos’abbiamo oggi, Carl?- chiese l’avvenente bionda, sdraiata sul divano a sorseggiare un Martini.
-Le solite cose…spettri nei cimiteri, riti satanici, manicomi infestati…hai da accendere?- rispose l’uomo sui cinquanta, camicia aperta e barba incolta.
Lei lo guardò di sottecchi, con quei due diamanti verdi ornati da ciglia lunghe e ammiccanti.
-Non stavi smettendo? Cristo santo, sarai al secondo pacchetto…- gli disse.
-Dai Beth, parliamo di cose serie. Che cazzo ci inventiamo stavolta? L’ultima puntata è stata uno schifo…-
-Prima di tutto, non essere volgare. Ricordati che stai parlando con una signora, e che cazzo!- rispose lei, strappando un sorriso al collega.
Posò il drink sul tavolino coperto di lettere, fotocopie, buste, tutto quello che arrivava in redazione ogni giorno.
-A parte che sei signorina, cosa che nessuno riesce a spiegarsi. E poi vieni da New York, vuoi fare lezione di buone maniere a un inglese?- scherzò Carl, visibilmente stanco.
Mentre lei sfogliava le carte, lui la guardò con intensità, forse anche con desiderio, nonostante i vent’anni di differenza. Era una bellezza fuori dal comune. Il fisico da eterna adolescente era spesso nascosto da quegli ampi maglioni che adorava indossare, ma Carl conosceva bene quelle forme: era il terzo anno da conduttrice per lei.

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U6-02: Paradise City

N52 di arturobandini

Entro nel locale e come sempre avverto le luci della ribalta su di me: è come se l'occhio di bue mi illuminasse dalle quinte, facendomi risplendere come un faro nella notte. Le donne si girano immediatamente, non necessitano nemmeno di vedermi fisicamente: loro mi "sentono". Una due tre, bionda rossa mora, la prima col seno grande, l'altra con le gambe chilometriche, la terza con il culo più da sballo mai entrato in un paio di pantaloncini aderenti. Le ragazze aspettano che mi sieda al bancone, poi scivolano verso di me, attratte irresistibilmente dal mio fascino. Non devo neppure aprire bocca, non devo neanche citare le frasi dei vecchi film che mi piacciono tanto, quelli 2D del ventesimo secolo:
“Ehi baby, tu ed io non saremo mai amici”.
“Bambina, non ho niente che tu non possa sistemare”.
Una mi appoggia una mano sulla spalla, languidamente, l'altra ride a ogni mia parola, la terza sogna persa dentro i miei occhi con le labbra leggermente dischiuse.
Beviamo molto e parliamo poco, saliamo fino al mio appartamento, entriamo e la notte comincia irrefrenabile e convulsa, un turbinio di lenzuola, tette e chiappe da leccare, da succhiare, da condividere, la mia virilità continuamente sollecitata e immersa ora qui, dopo là.

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U6-01 L'Ultima Thule

Sophia di arturobandini

Io Guglielmo Ludovisi, mi accingo a vergare le mie ultime parole, chiuso in questa cella fredda e umida, certo ormai di avere pochi giorni da vivere se non addirittura poche ore. Nacqui figlio cadetto in una delle più importanti famiglie di Bologna e per me venne scelta la carriera ecclesiastica, anche se non nutrivo alcuna vocazione e mai il Signore me la concesse nel corso degli anni, più avvezzo a tirare di spada, a gozzovigliare con gli amici e ad insidiare la virtù delle donne, senza timore di perdere la mia anima immortale.
Un profondo affetto e una grande fiducia reciproca mi legavano al mio primo cugino, Alessandro, cardinale arcivescovo della nostra gloriosa città e fu così che venni inviato come legato alla Corte di Sua Santità Paolo V, sul finire del 1612. Amai fin da subito Roma, lo splendore dei palazzi, il panorama che si apriva salendo i Colli, l'opulenza e il potere della Chiesa. E amai anche i bassifondi, le bettole e le servette, le prostitute, i duelli all'arma bianca. Evidentemente la sete di avventura non si era ancora spenta nel mio sangue nonostante l'Altissimo mi avesse già concesso trentacinque anni su questa Terra.

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U5-09 Il Venditore

Il venditore/Il compratore di steve_vai_it

Nel preciso istante in cui misi il punto, nello stesso preciso istante in cui ebbi finito di scrivere il racconto, una sensazione di sconforto iniziò a prendersi possesso di me. Erano circa le quattro del mattino di una di quelle notti invernali dove la luce di fuori era ancora ben lontana dal rischiarare l’appiccicoso cielo nero che avvolgeva l’intera città, proprio come avrebbe fatto un prestigiatore con il proprio trucco davanti ad un pubblico ignaro di quello che si sarebbe trovato innanzi. Spingendo con entrambi i palmi sulla scrivania scostai la sedia facendola grattare sul pavimento sottostante: l’inquilino del piano di sotto avrebbe sicuramente avuto da ridire il mattino seguente. Quando fui in piedi ci impiegai poco a raggiungere la finestra. Una volta lì scostai la tendina e mi fermai a guardare il mondo dormiente, riportato nel micro agglomerato urbano della mia città. Per un attimo immaginai che in tutto l’emisfero dove in quel momento era buio la realtà si sarebbe presentata ad un ipotetico scrutatore nascosto tra le mura calde della propria casa, dalla propria stanza, proprio come lo ero io, nella stessa identica forma e negli stessi identici suoni che plasmavano la realtà al di là di quel vetro. L’oggetto della mia attenzione in quel momento fu una lontana fabbrica di laterizi che svettava tra gli altri palazzi. Il comignolo, punto più alto della struttura, produceva svogliato ma regolare qualche cerchio di fumo. Mano a mano che i pensieri si accumulavano iniziai a capire di non avere un particolare motivo per stare a quella finestra, per spiare il mondo.

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U5-08 Vertigine (2)

Inizio di una storia d’amore

La prima volta che portai Viola a camminare in montagna decisi di andare in Grignetta.
Da Milano non ci vuole molto, poco più di un’ora.
Arrivati al punto da cui parte la direttissima – che poi direttissima non è – le spiegai i pochi semplici passaggi che ci saremmo trovati a fronteggiare. Robe da dilettanti, ma non si deve dare nulla per scontato.
Scelsi di imbragarla nel punto più complicato perché mi pareva un po’ titubante.
- E se cado da qui?
- Non puoi cadere perché sei agganciata coi moschettoni. E poi col dissipatore non dovresti nemmeno sentire il colpo
- E se si stacca la catena e cado?

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